PMS è l’isola felice di due donne che dedicano la loro vita alla musica. L’arte è un canale di comunicazione per capire che non si è soli, che è possibile convivere e condividere, crescere e migliorarsi attraverso la sperimentazione di se stessi con e per gli altri. "Scriviamo d’amore per imparare a conoscerlo, parliamo di sogni per farli avverare, provochiamo per svilupparci come esseri umani. È una scelta, una filosofia di vita che dà speranza, un modo di essere donne".
Di giallo e grigio esce a un anno di distanza dall’Ep Premenstrual Syndrome. Che differenze ci sono tra i due lavori?
Caterina: Siamo diverse noi. Alla soglia dei trent’anni ci troviamo in un’età in cui ci si definisce come persone, e anche pochi mesi possono cambiare tanto il proprio modo di sentire e di pensare. Crediamo però che ci sia un rapporto di continuità tra i due lavori, le idee compositive e le linee guida di cui si intuivano le direzioni nell’Ep in quest’anno e mezzo si sono evolute nei nostri brani, affermandosi poi nello spazio più ampio del Lp: l’idea è quella di voler riprendere il filo del discorso lasciato in sospeso un anno fa dopo l’uscita dell’Ep. Abbiamo voluto sottolineare questa continuità anche dal punto di vista visivo affidandoci anche questa volta alle sapienti mani di Kriss Barone e Carlo William Rossi, a cui si è aggiunto Fabio Mureddu per questo lavoro.
Martina: Premenstrual Syndrome è stata la fine di un percorso durato 4 anni, nei quali io e Caterina abbiamo avuto la possibilità di conoscerci e sperimentare tutto ciò che ci piaceva, senza porci mai limiti. Era fondamentale uscire dal mondo classico per approfondire quelli che da sempre, fin dall’adolescenza, erano gli interessi verso altre sonorità che non necessariamente dovessero appartenere ad uno stile preciso. La cosa importante era ed è stata sempre ricercare un carattere completamente nostro, per noi chiaro e definito come il sole, che se lo ascolti sai che è PMS. Di giallo e grigio è stato creato in molto meno tempo, in poco più di otto mesi. È stata semplicemente una conferma ed una meravigliosa sorpresa allo stesso tempo: sapere di avere tante cose da raccontare, sapere di volerlo fare insieme, nella magica unione che si crea tra noi due tutte le volte che cominciamo a lavorare ad un brano.
Una cosa che colpirà sicuramente gli appassionati di musica è l’ideale divisione in “lato A” e “lato B”. Ci spiegate questa scelta?
Martina. Questa scelta è stata fatta dalla produzione, ed inizialmente è stato molto strano per entrambe. Siamo del ’90 e siamo cresciute con i cd, non con i dischi. Avremmo mischiato cantati e strumentali per rendere l’ascolto del disco più morbido; spesso siamo abituate a dover decidere la successione dei brani per un live, quindi inizialmente è stata la prima cosa a cui abbiamo pensato. Poi però ci siamo rese conto che il mondo della discografia è diverso, l’approccio alla musica e all’ascolto è diverso, specialmente quando non hai un artista di fronte che suona per te. Siamo molto felici di questa scelta così come siamo felici di aver imparato qualcosa in più. È importante saper ascoltare e fidarsi degli altri.
Davide Mastropaolo: L'idea è mia ed è l'unico contributo creativo a questo lavoro; per il resto mi sono limitato a fare il produttore esecutivo, cioè a gestire e organizzare, a mettere insieme le persone giuste – o quelle che ho ritenuto tali - un lavoro che ho imparato dopo anni di attività da discografico indipendente. Vengo da un'altra generazione musicale, quella abituata ad ascoltare musica su supporti che avevano una durata prestabilita, molto diverso come approccio da quello del 'flusso' continuo delle playlist dell'epoca della musica 'liquida'. Ritengo che quest'album abbia un forte legame con molta musica di quel periodo, per varie ragioni, non ultima quella della scelta di un sound analogico (vedi i synth – tutti “veri” - e soprattutto il mix finale fatto sul 'banco' da un vero e proprio fuoriclasse come Salvio Vassallo). Lato A e lato B non esistono più, ma restano un concept ideale; nel caso di Di giallo e grigio l'ispirazione è Gone to Earth di David Sylvian, uno dei miei album preferiti, che è organizzato proprio in questo modo (addirittura si trattava di un doppio vinile!).
C’è un filo conduttore, magari tenue ma presente, che lega i brani del disco: un tono intimo, tra ribellione e introspezione, insofferenza e malinconia. Di giallo e grigio è un concept?
Caterina: Non nasce come un concept vero e proprio, eppure è difficile non dire che i brani siano legati tra loro. Al di fuori dal mainstream è difficile che si facciano dischi “pot pourri”, raccolte di brani slegati tra loro, mi sembra che ci sia sempre un’idea di fondo, che sia di suono, di senso, o semplicemente uno stato d’animo comune che lega tutti i brani. In questo caso abbiamo scelto brani scritti nell’ambito di una stessa fase compositiva, quella degli ultimi mesi, e che quindi rispecchiano forse la nostra inquietudine di diventare grandi in un mondo che, tutto sommato, non ci piace.
Martina: No, non credo possa definirsi un concept. È presente un filo tra tutti i brani, ma è una conseguenza del nostro modo di vivere molto intenso. Ci prendiamo cura di ogni emozione che ci sfiora, dalla positiva alle negativa e capita quasi sempre di riportarla nella musica che scriviamo, nella maniera più fedele possibile. Siamo entrambe in un periodo di grosso cambiamento, succedono mille cose in tempi davvero brevi e l’esigenza di liberazione, di maturazione e di comprensione di alcuni sentimenti porta inevitabilmente a dover cacciare tutto fuori attraverso l’unico mezzo di comunicazione per noi più semplice in assoluto.
Di giallo e grigio è nato con la produzione di Ernesto Nobili e il design sonoro di Salvio Vassallo: quanto è stata importante la loro partecipazione?
Caterina: Importantissima. Se alcuni brani sono rimasti vicinissimi alla loro prima forma, altri non avrebbero avuto tanta di quella “magia” che crediamo si respiri nella loro veste definitiva senza l’apporto prezioso di Salvio e di Ernesto.
Martina: La loro partecipazione è stata importantissima. Con Ernesto abbiamo lavorato vari mesi e quasi sempre quello che potrebbe essere definito arrangiamento è sempre e comunque possibile definirlo come nuova creazione. Dico questo perché con lui è stato possibile unirci senza imbarazzo, avendo un solo unico obiettivo: creare bellezza. Il rispetto e la delicatezza che ci ha offerto hanno permesso di viaggiare costantemente in parallelo sulla stessa strada, senza mai sbagliare il tiro, senza mai avere il bisogno di accelerare o rallentare. Con Salvio abbiamo lavorato meno, ma i giorni in studio con lui sono stati per noi carichi di novità, stimoli, scambi. Il suo lavoro è stato bellissimo e originale. Quando il disco è terminato, ci siamo detti che non bastava. Speriamo in una prossima collaborazione quanto prima!
Viandanti è stata scritta da Massimo Mollo, uno dei fondatori di ‘E Zezi, coi quali avete collaborato. Qual è il vostro rapporto con la musica tradizionale?
Caterina: Siamo convinte che la tradizione sia un’eredità da conservare e rispettare, ma allo stesso tempo da mettere a frutto. È storia che insegna e linfa che nutre, e per fare questo deve essere fatta propria e rielaborata nel linguaggio più vicino possibile a se stessi.
Martina: Per me è fondamentale. In realtà credo sia importante per ogni artista sapere quali sono le radici della propria terra, ricercarle, coltivarle e soprattutto tramandarle. Sono le tradizioni che ci possono far migliorare, hanno dentro centinaia di anni di storia che ci insegnano molto più di ciò che possiamo immaginare.
Spesso il background classico tende a condizionare, a ingabbiare e “ingessare” un compositore, nel vostro caso invece si è trattato di un punto di partenza…
Caterina: Per noi la formazione classica è il presupposto fondamentale, il percorso che ci ha insegnato a trattare ogni nota che emettiamo con amore e cura. Partendo da qui, tutte le strade sono percorribili, e con l’atteggiamento giusto ci si può misurare con molti generi. In fin dei conti anche la musica classica è una tradizione, è profondamente radicata nel nostro DNA di europei. In sostanza, non ci piace pensare che esistano degli “ipse dixit” o degli schemi rigidi: bisogna sentirsi liberi di recepire qualsiasi influenza e sperimentare il più possibile.
Martina: Sì, all’inizio è stato difficile perché tutto ci risultava spesso troppo “semplice”. Essendo abituate a suonare sempre tante note e spesso a velocità improponibili, affrontare il discorso dello spazio sonoro e quindi della possibilità di togliere anziché mettere non è stato per nulla facile. In effetti ancora oggi siamo sempre portate ad aggiungere, ma credo che ora lo facciamo con più gusto e soprattutto con più consapevolezza.
Accanto all’estrazione colta c’è anche un amore per sonorità dark: cosa vi colpisce di questa estetica?
Caterina: Il legame con la musica dark viene dalle esperienze che abbiamo fatto, anche insieme, in quest’ambito, più che da un’estetica condivisa. Inoltre il pubblico dark è solitamente molto competente e attento, abbiamo sempre avuto grandi riscontri ogni volta che ci siamo affacciate a questo mondo.
Solitamente negli ambienti musicali dark c’è molta attenzione alle parole al loro potere evocativo. Cosa si cela dietro un titolo come Di giallo e grigio?
Ci piaceva che anche solo il titolo riempisse gli occhi. Queste parole proiettano subito nella mente una tavolozza di colori con cui si potrebbe scegliere di dipingere una tempesta estiva così come un incendio o certi tramonti… Indicano comunque turbamento e movimento, che è quello che ci tiene in vita.
Avete studiato a Napoli, città che inevitabilmente caratterizza e condiziona, come tutte le città d’arte e di musica. Quali sono le opportunità e quali le difficoltà del fare musica a Napoli?
Caterina: Da sempre Napoli ha prodotto e attirato a sé artisti di grande levatura. La sua storia e la sua arte si respirano nelle pietre, nei vicoli, nei volti espressivi di coloro che la abitano. Napoli è così bella che si corre il rischio di pensare che non occorra vedere e vivere nient’altro. È come vivere in provincia illudendosi di stare al centro del mondo, e credo che questo ponga un grande freno alla crescita personale e artistica delle persone.
Martina: Ormai si ripete quasi tutti i giorni, quasi come se fosse un mantra da non dimenticare: Napoli si ama e si odia, è una storia d’amore che si chiama malamore, cioè di quelle difficili da portare avanti, che sai che sono finite ma che non riesci a chiudere, mai! La possibilità di incontrare tanti validi artisti in questa città la rende preziosa come un diamante. Ma pensare che oltre ad uno scambio artistico si possa ottenere anche un guadagno, è uno sbaglio che ahimè tanti fanno. Qui si può vivere, vivacchiare forse è il termine più adatto, ma solo perché siamo un popolo molto versatile, fantasioso e creativo quindi l’arte dell’improvvisarsi è sempre dietro l’angolo. Ma questo non lo rende un posto speciale, semplicemente diverso da qualche altro posto.