Riccardo adesso è un uomo (ci salutammo il giorno dell'esame della nostra maturità, compagno dei banchi di scuola), ha cambiato la sua vita, buttato all'aria convenzioni e parte di una vita “facile”, dedicando molto del suo tempo libero al volontariato (7 anni con la ONG Emergency).
Ad agosto scorso è stato per la sesta volta nel Programma Italia e ha visto cose che noi frequentatori del circoscritto quotidiano non immaginiamo neppure. Ha raccontato in alcune pagine del suo diario l'esperienza vissuta a Polistena, cittadina di 10.000 abitanti alla fine dell'Italia continentale, fondata sotto l'Impero d'Oriente e così chiamata dal greco polis (città) e tena o tenon (fortezza). È un luogo forte infatti, all'interno del quale, in un palazzo confiscato alla 'ndrangheta è stato realizzato un centro culturale e il poliambulatorio di Emergency. Riccardo ha donato il suo tempo e la sua umanità proprio a questa struttura, al servizio di chi non ha voce, degli ultimi, di chi non ha nessuno che si prenda cura di lui.
Riccardo, come passavi le giornate a Polistena?
La giornata tipo inizia la mattina dalle otto, più o meno (se non ci sono accompagnamenti prima). Alle 8.30 c'è il primo giro con il furgone per la piana di Gioia Tauro per prendere i ragazzi che devono venire all'ambulatorio, un giro di oltre 50 km, oltre un'ora di tempo. Poi iniziano gli accompagnamenti: ospedale per analisi e medicazioni; ambulatori pubblici per visite specialistiche; ambulatori privati per fisioterapia e altre visite; uffici per documenti vari (codici STP/ENI , Codice Fiscale, ecc). Gli accompagnamenti sono sia a Polistena che a Taurianova, Gioia Tauro, Rosarno, a volte anche più lontano: Reggio Calabria, Catanzaro...
Durante i tuoi giri hai incontrato tante persone di ogni età e di ogni provenienza ma alcune le definisci “speciali”; è il caso di Abasi (nome di fantasia) un ragazzo del Gambia, che parla diverse lingue ma si racconta in inglese. Sei andato a prenderlo a Reggio Calabria, dimesso dall'ospedale per sospetto di una displasia. Cosa ti ha raccontato questo ragazzo durante il tempo che siete stati insieme?
Mi ha raccontato del suo paese e della sua famiglia, ha 9 fratelli e 6 sorelle. Mi ha detto che il suo paese è meraviglioso, con una bellissima vegetazione. Sarebbe rimasto molto volentieri a vivere in Gambia se non ci fossero stati scontri e soprusi dell'esercito. Chiunque fuggirebbe da situazioni di pericolo e da dove non c'è un futuro. Mi ha raccontato che ha fatto un viaggio di migliaia di chilometri attraverso Niger e Libia, in condizioni spesso disumane e allucinanti. Gli ho chiesto quando è arrivato in Italia, e mi ha risposto: 29/11/2013. Ho sentito spesso la data esatta di arrivo in Italia. Per molti è come un secondo compleanno, come una rinascita dalla morte scampata in Libia e in mare.
Riccardo parla a ruota libera trasportato da emozione e rabbia
Lo hanno dimesso la sera senza neanche il pranzo. L'ho invitato a mangiare una pizza con me a Rosarno. Mi ha ringraziato e siamo andati in una pizzeria al taglio. Abbiamo preso un pezzo di pizza a testa e una bibita. Lui ne ha mangiato un pezzetto e poi si è appoggiato al tavolo. Aveva un mal di testa forte. Gli ho preso un altro pezzo di pizza e mi sono fatto incartare tutto, ho preso una bottiglia d'acqua e ho messo tutto in una busta. L'ho accompagnato a dormire perché non stava bene. Mi ha detto quanto sarebbe stato bello andare in un letto pulito, avere un bagno per lavarsi e invece l'ho accompagnato alla tendopoli dove viveva, e dove aveva solo un materasso in una delle tende non bruciate dall'incendio.
In effetti la tendopoli di Rosarno è simile ad una bidonville, ad una favela brasiliana dove centinaia di uomini, la maggior parte braccianti per la raccolta delle arance, vivono al limite dell'igiene e della dignità umana. Un vero “monumento alla negazione dei diritti umani”. Nel periodo in cui Riccardo ha prestato il suo contributo all'aiuto degli ultimi, si stava coordinando il trasferimento nella nuova tendopoli di San Ferdinando, nei pressi del Porto di Gioia Tauro (a poca distanza dalla vecchia tendopoli), in grado di ospitare circa 450 rifugiati, ma in quel momento, a causa della diffidenza verso la nuova insufficiente dislocazione, soltanto un centinaio di migranti dei 7/800 che erano nell'altra, si erano registrati per il nuovo alloggio. Non sono mancate le contestazioni, volte ad alcuni aspetti di vita giornaliera come il problema delle poche docce (10 con due scaldabagni per 450 persone) e il problema del pranzo (le autorità ne avevano previsto solo uno al giorno). La richiesta era quella di poter cucinare anche in autonomia cibi della loro tradizione con una postazione di fornelli utilizzabili da tutti. Oltre alla richiesta di una ventina di pilozzi per lavare i panni sporchi.
Riccardo racconta che tutto il campo è recintato con la rete e che per entrare e uscire si devono presentare i documenti, come un campo di concentramento con la possibilità di uscire per lavorare, molto spesso in condizioni di totale sfruttamento fisico e sottomissione psicologica. È proprio lui che spesso, durante gli accompagnamenti, ha visto con i propri occhi la reale situazione.
Quindi Riccardo come commenteresti questa ennesima esperienza?
Anche questo anno il periodo nel Programma Italia è volato... sono stato a Polistena un mese tra luglio e agosto. Il periodo estivo è più tranquillo in ambulatorio, ma ci sono molte persone in ferie, quindi il lavoro non manca, anzi... Ad agosto ero l'unico logista, quindi ho fatto anche quattro giri in un giorno (oltre 50 km ciascuno), oltre agli accompagnamenti in ospedale e cliniche varie, alla spesa, ecc. Poi ho sistemato tutti i libri donati all'ambulatorio (moltissimi in lingua inglese e francese), li ho classificati e numerati. A settembre un altro logista ha costruito una biblioteca artigianale e i libri sono stati messi al pubblico. La fatica del lavoro è ampiamente ripagata dai grazie, dai racconti dei ragazzi che vengono in ambulatorio, dalle strette di mano e a volte dagli abbracci sinceri. E anche dai racconti e le condivisioni con tutto lo staff: persone, anzi amici che vengono da tutte le parti di Italia e del mondo; alcuni ci lavorano con passione, altri donano il loro tempo e parte della loro vita per i meno fortunati.
In questa era della nostra storia, il volontariato mostra la sua grande e indispensabile forza, una ricchezza da tutelare da sostenere con ogni mezzo. Gran parte dei contributi al sociale e alla cultura arrivano dal volontariato, il vero esercito del nostro paese. Non credere nella sua importanza è da sciocchi, adesso più che mai la coesione volta alla collettività è l'unica arma contro il dilagare dell'indifferenza, dell'egoismo, del razzismo e dell'intolleranza, da quel male oscuro del quale molti si fanno ahimè, oggi nuovi promotori. Pensare che quando la nostra classe si salutò al termine degli esami di maturità eravamo individui appena abbozzati dei quali nessuno di noi avrebbe intuito il potenziale, Riccardo è stata una bella sorpresa e lo ringrazio a nome di tutta la 5E!