La ginnastica e i fiammiferi, Greta Garbo e il premio Nobel, gli Abba e le ragazze (tutte invariabilmente bionde), Bjorn Borg e Jussi Bjorling… E poi tanti calciatori, che soprattutto nell’immediato dopoguerra sono venuti a giocare in Italia, sulla spinta della sconfitta subita dagli azzurri nell’infausta nostra spedizione ai Mondiali del 1950, in Brasile.
Non vogliamo apparire riduttivi, superficiali, ma quelle appena citate sono le prime immagini che vengono alla mente pensando alla Svezia. La Svezia in generale, ovviamente. Per la Svezia del calcio, invece, che l’Italia ha incontrato a metà novembre per cercare di arrivare finalmente al Mondiale di Russia, citazioni e memoria sono, oggi, per Zlatan Ibrahimovic come ieri lo erano, e lo sono stati a lungo, per Gunnar Nordhal e Nils Liedholm, Kurt Hamrin e Hasse Jeppson, Lennart Skoglung e Gunnar Gren, icone d’un calcio d’antan che è stato d’esempio anche in Italia.
Anche in questa occasione, la Svezia ci è andata, come dire?, di traverso. Per poter giocare la fase finale del mondiale l’anno prossimo, l’Italia avrebbe dovuto infatti superare lo scoglio dei play off, cui sono state costrette le seconde classificate dei nove gironi europei. All’Italia il sorteggio aveva assegnato, appunto, la Svezia una nazionale che è riuscita a rialzarsi nonostante l’assenza fondamentale di un leader come Ibrahimovic. Ma, diciamocelo, quell’Italia francamente era poca cosa, ancorché la squadra svedese fosse, altrettanto francamente, poca cosa a sua volta.
Un po’ di storia - Facendo il conto in tutte le varie competizioni, i precedenti con la nazionale gialloblu erano 23, nel corso delle quali sono stati registrati 11 trionfi italiani, 6 pareggi e altrettante sconfitte. Ultimo match in ordine cronologico, prima della doppia sfida pre Mondiale è stato nella fase a gironi dell’Europeo 2016 in Francia, quando la nazionale guidata da Conte aveva battuto gli svedesi per 1-0 con gol di Eder.
Il primo match in cui Italia e Svezia si sono incontrati è stato nel 1912, in occasione delle Olimpiadi di Stoccolma (vinsero gli azzurri per 1-0 con rete di Bontadini). La vera prima beffa per la nazionale italiana avviene nel Mondiale 1950 in Brasile, quando gli azzurri di Novo vennero sconfitti nella fase a gironi per 3-2 (reti di Carapellese e Muccinelli per gli Azzurri e doppietta di Jeppson e rete di Andersson per i gialloblu). La sconfitta costò l’uscita dell’Italia dal campionato del mondo. Dopo varie amichevoli, la rivincita dell’Italia si realizzò al Mondiale 1970 in Messico, con la vittoria (1-0, gol di Domenghini) nel girone eliminatorio. Un anno più tardi, Italia e Svezia si affrontarono nella doppia sfida del gruppo 6 valevole per la qualificazione a Euro ’72 in Belgio: la prima gara giocata a Stoccolma si concluse 0-0, il ritorno, a San Siro, vide vincere l’Italia per 3-0 grazie ad una rete di Boninsegna e una doppietta di Riva.
Risale al 2004 il ricordo di un altro match amaro per gli azzurri a un Campionato europeo. Italia e Svezia si ritrovarono nella fase eliminatoria del girone C: il match si chiuse con un pareggio (1-1, reti di Cassano e Ibrahimovic), ma l’Italia, allora allenata da Trapattoni, chiuse anzitempo la manifestazione a causa di quello che fu definito “biscotto” (cioè un tacito e non dimostrato né dimostrabile accordo) tra la stessa Svezia e la Danimarca che, a pari punti degli Italiani e pareggiando 2-2 nell’ultimo incontro, si qualificarono ambedue grazie al maggior numero di gol segnati negli scontri diretti rispetto agli azzurri. È anche per “vendicare” quella beffa (che lascia ancora tanta amarezza), che la squadra di Ventura avrebbe dovuto affrontare con ben altro piglio le partite decisive per riuscire a strappare il pass per Russia 2018.
Calcio a rotoli? – L’evento, da sportivo, si è presto tramutato – succede spesso in Italia… - in mediatico, politico, sociale. Coinvolgendo, come da prassi, non solo gli ambienti calcistici ma tutti quelli, e sono tanti, che col calcio hanno qualcosa da spartire, dalla sociologia più o meno spicciola all’economia, dall’editoria al turismo, dalla medicina all’informazione, mass media davanti a tutti, ovviamente. Erano sessant’anni, ci hanno ricordato almanacchi e gazzette, che l’Italia calcistica non subiva un’estromissione così pesante. Ma subito confortandoci con il ricordo delle gesta che dopo quell’infelice esperienza portarono il calcio italiano alla vittoria europea (Roma 1968) e alla finale mondiale (Mexico 1970). Solo chi cade può risorgere, dunque? È lecito pensarlo. È inevitabile augurarselo. Con una diversa gestione, va da sé. Imprenditoriale, dirigenziale e tecnica.