“La mia dimora non è grande, ma idealmente è un immenso palazzo perché colma di oggetti vecchi e antichi, scelti con cura, ognuno dei quali mi racconta la sua storia e la sua essenza; così, di storia in storia, di essenza in essenza, faccio il giro del tempo e del mondo. Parafrasando Borges, ogni oggetto presuppone l'universo. Perciò mi annoio di rado”
(Fausto Gianfranceschi, Aforismi del dissenso, 2012)
Nella quotidianità del microcosmo oggettuale, nella banalità del gesto, che divengono ovvietà solo perché non abbiamo più il tempo di curare con attenzione lo sguardo, in queste cose risiede la bellezza della poetica dell’artista barese Giuseppe De Mattia, classe 1980, un fantastico osservatore delle origini, dei luoghi, delle memorie, un cultore dell’immagine visiva nella sua preziosa caducità e povertà.
Trasversale, come il contemporaneo urge, De Mattia passa con agilità, ma soprattutto curiosità, dal disegno, alla fotografia, dal video, al sonoro. Laureato al DAMS Cinema di Bologna dopo aver abbandonato gli studi di Urbanistica ha collaborato con l’Archivio fotografico della Cineteca di Bologna come co-autore della programmazione Fotografia al cinema e come curatore di mostre fotografiche. È stato direttore del Festival di cinema indipendente Imaginaria dal 2003 al 2009, ed è stato assistente del produttore cinematografico Francisco Vila-Lobos; ha collaborato a diverse produzioni di lungometraggi e documentari. E, non di ultima importanza, collabora da diverso tempo con l’Associazione Nazionale del film di famiglia Home Movies come fotografo e curatore.
A conferma della continua ascesa dell'artista, quest’estate si è tenuta presso la Galleria Corraini di Mantova la mostra Carte di Balistica Elastica che ha raccolto 24 disegni di De Mattia, in cui ha riprodotto lanci di elastici attraverso tecniche diverse e su carte di varia natura (da disegno, vetrate, povere), in un campionario secondo forme casuali. Da un banale gioco da bambini, quello di mirare il compagno con un elastico, De Mattia coglie e restituisce la magia dell’attimo in cui l’elastico si ritrova sospeso a mezz’aria, proiettato in una forma originaria e pura, nella sua casualità dell’accadere. Un appuntamento inaspettato del poetare.
Racconta, l’artista:
“Mio nonno materno mi avrebbe voluto cacciatore, lasciandomi la sua doppietta calibro venti in eredità. Non volendo armi in casa mi sono concesso una doppietta ad elastici che spara lontano questi pezzi di gomma che, cadendo, diventano modelli bellissimi e pronti ad essere ritratti, fermi immobili davanti agli occhi di uno che cerca di riprenderli e di interpretarli in tutta la loro plasticità”.
In mostra anche la serie di disegni a china 7 forme semplici, in cui l’artista, partendo dall’osservazione di una fotografia di un paesaggio sconosciuto scattata da qualcuno molti anni prima, ne ha scorto e scansionato sette forme geometriche essenziali, riproponendole in un secondo momento in completa autonomia e rotazione rispetto alla loro posizione originale.
Dagli archivi, dai mercatini, dagli accumuli seriali, dalla collezioni, da queste serialità è attratto l’artista, dal ritrovamento di oggetti che il tempo ha modificato, e dalle vite che esso gli ha regalato. La poiesis di De Mattia si regge sull’osservazione attenta di fenomeni, accadimenti semplici, ma tant’è vero che non esiste niente di più complesso della semplicità, per citare Jung. E tanta complessità è resa palese dalla nostra incapacità di meravigliarci, soffermarci a gesti di incompiuta e inconsapevole bellezza. Proprio sull’inconsapevolezza nasce gran parte del lavoro di De Mattia, che tramite gesti piccoli, modesti non invasivi, è in grado di ottenere nell’osservatore attento riflessioni profonde, che richiedono tempo ed esercizio di sguardo. Sì, perché le opere di De Mattia non puntano a sedurre per impatto, ma ambiscono a penetrare la coscienza, attraverso una stratificazione di sguardi (in)consapevoli.
La mostra mantovana ha inoltre regalato un dialogo tra De Mattia e un altro artista barese come Mimmo Conenna, voluto dallo stesso De Mattia. Quel Conenna celebre per gli imbuti di latta sovradimensionati presenti anche nella famigerata e geniale pellicola di Alberto Sordi Dove vai in vacanza? del 1978, nell’episodio di Vacanze Intelligenti. Ma non solo Conenna è estremamente affine a De Mattia per un’altra urgenza artistica, e cioè l’elezione di materiali semplici, poveri, ma anche perché l’artista utilizzava, come pigmenti per i suoi disegni, proprio l’olio d’oliva. Semplicità, tradizione, memoria. Tutto fa parte di questo grande archivio di vita, De Mattia ne sceglie delle appendici, dei brani, e ce ne restituisce delle versioni autentiche, personali interpretazioni sospese “tra cemento e seta”, lievi interventi, ma dalla potenza pervasiva e immaginifica.
10 lanci di fascia elastica è la prova fisica di un’esposizione vincente come quella mantovana, il libro d’artista pubblicato da Corraini Edizioni, con testi critici di Claudio Musso (con il quale insieme a Luca Coclite sono i fautori del progetto Casa a mare) e Vasco Forconi, curatore della mostra che inaugurerà il 20 settembre a New York dal titolo Disrupted Drawings.
È così che tra pochi giorni De Mattia inaugurerà un’altra mostra a Roma, alla Galleria Matèria: Dispositivi per non vedere bene Roma, evoluzione progettuale del Dispositivo per non vedere bene, un’opera sperimentale realizzata da De Mattia nel 2014. Dispositivi per non vedere bene Roma mette in primo piano l’importanza della collaborazione: nel tentativo di vedere Roma, l’artista si è avvalso di contributi vari, tra i quali quelli degli amici e compagni di viaggio: la curatrice Chiara Argentino, l’artista Fabio Barile, il critico Luca Panaro, l’artista Stefano Canto, l’artista Luca Coclite e il gallerista Niccolò Fano. Persino sul web è stato possibile seguire la genesi del progetto, tramite un diario in progress online, sin dal principio, quando De Mattia ha spedito una cartolina vintage di Roma a Luca Panaro chiedendogli il testo della mostra scritto a matita, sempre sul retro della stessa cartolina.
Nelle opere esposte a Roma le operazioni di cancellazione e distorsione dell’immagine, pressoché simbolica (come le palme, o la Lupa) riscrivono e riscoprono i codici di un’altra grammatica visiva. Una sintassi che non chiarifica, ma interroga, desta perplessità, disturba, non risolve e non vuole dare risposte. Una lingua dell’alterità della forma. Perché è sempre tra forme inconsapevoli che l’artista ci accende la curiosità.
Tentativi semplici per com-prendere (?) quel folle archivio chiamato realtà, quelli di De Mattia.
E quale città meglio della Capitale? Meglio di una Roma dicotomica, sospesa a metà tra i suoi fasti eroici millenari propri di una storia che ritrova nella classicità valori e splendori morali andati perduti, soprattutto nella cronaca politica di oggi. Roma non riesce a vedere più se stessa. È lei per prima a non riuscire a mettersi a fuoco. E De Mattia, prova a farci riflettere attraverso il linguaggio dell’arte, tramite uno dei dispositivi più potenti dell’uomo. Come anche Luca Panaro ha splendidamente affermato: “Giornali, riviste, radio, televisione, web, informano. L’arte depista. Svia dalla strada più battuta. Suggerisce percorsi diversi.”
Ed è questo che fa De Mattia, ci suggerisce sottovoce, a matita, le battute di un film in cui siamo tutti coinvolti, nel paradosso, emblema di questo contemporaneo che, come scrivo sempre, sfugge.
“Oggetti di tenerezza: le comparse nei film americani degli anni Trenta, i dischi a 78 giri, i calendari degli anni passati...”
(Gesualdo Bufalino, Bluff di parole, 1994)