Qual è il modo ideale di gestire – dal punto di vista della psiche, dell’equilibrio, della salute mentale, della stabilità – i fenomeni migratori, soprattutto se di massa e forzati da necessità, quindi con un dato di pluritraumatismo psichico? Qui di seguito espongo la mia particolare opinione, frutto di concetti assodati in psicologia, di esperienza con pazienti di altre culture, in particolare con le neo-mamme straniere in reparto di maternità.
Il modo ottimale è quello di prendere la cultura del Paese ospitante, di affiancarla alle culture dei Paesi di provenienza dei soggetti che arrivano, di presentare cioè tutte le culture insieme, di fare in modo che le persone – non soltanto le persone che arrivano, ma anche quelle del Paese ospitante – conoscano e lentamente acquisiscano informazioni e dati per loro nuovi, nel contempo vedendo e toccando con mano che i dati culturali che per loro sono di base non spariscono nel nulla, ma anzi vengono rafforzati, evidenziati, presentati agli altri. Lo stesso discorso vale per le religioni, che possono a tutti gli effetti essere considerate parte del patrimonio culturale di un popolo.
La soluzione vincente è:
- La conoscenza reciproca;
- lo stimolo alla curiosità verso le culture (tradizioni, lingue, religioni, arte, cucina, colori, profumi);
- la rassicurazione che la propria identità non va persa nel mare che ci separa.
Ma vediamo il perché quella che ho presentato è di fatto la soluzione vincente.
Ciò che fa di un essere umano un’entità unica al mondo, unica nell’universo, che mai c’è stata prima e mai ci sarà dopo è l’identità, che fonda le sue radici nel nucleo psicobiologico più profondo dell’essere. Questo rende la persona così com’è, essendo la struttura identitaria un nucleo che, dopo la fase evolutiva, si mantiene pressoché stabile nel tempo e nello spazio di vita. Esistono poi i tratti, che invece sono caratteristiche variabili le quali, per effetto della volontà cosciente, di processi inconsci o di sollecitazioni esterne, possono venire modificate, generalmente in un senso più funzionale alla vita del soggetto in quel frangente temporale e in quello specifico ambiente.
Ebbene, la cultura, insieme ai dati biologici (il DNA) è un dato in grado di permeare e connotare la struttura identitaria di un soggetto, soprattutto se essa agisce sul soggetto quando egli è piccolo, e per tutta la sua fase evolutiva. A questo punto, davanti ai fenomeni migratori di massa, è dovere politico tenere nella dovuta considerazione ciò che succede quando un soggetto, dotato di una propria identità psicobiologica, si sposta in un Paese diverso e quindi si immerge in un contesto culturale differente rispetto a quello d’origine.
Occorre a mio parere operare un distinguo:
• L’adulto: terminato il processo evolutivo, la struttura identitaria del soggetto diviene ormai stabile e poco o per nulla modificabile. L’adulto che entra in un contesto culturale diverso da quello d’origine, per non avere problemi nella sua nuova esistenza, è chiamato a fare proprie alcune caratteristiche del luogo che lo ospita, mantenendo ferma e stabile la sua componente identitaria, quindi anche i suoi dati culturali di partenza. Il soggetto adulto è cioè chiamato – come da legge dell’evoluzione – ad adattarsi all’ambiente per lui nuovo, ma nello stesso tempo, per evitare reazioni negative di frammentazione identitaria, a mantenere ferma la sua identità.
• Il bambino: la formazione del nucleo stabile della sua identità è in fase di sviluppo, per cui per il bambino il fatto di arrivare in un nuovo contesto culturale significa far entrare direttamente elementi del “nuovo” nella sua identità. In questo caso il processo è sì di adattamento, ma si può dire che l’adattamento per il bambino cambia la sua persona e con il tempo consolida le nuove acquisizioni identitarie.
Soprattutto per l’adulto, quindi, ma anche per il ragazzo come per il bambino, è importante che venga favorito il processo adattativo di acquisizione del nuovo e al contempo mantenuto, nella sua stabilità identitaria, il dato di partenza, cioè la cultura d’origine. Anche per le persone del Paese ospitante vale lo stesso discorso, in quanto l’ambiente culturale cambia, non è più quello di prima, quindi anche per loro – per rispondere a necessità evolutive – è fondamentale innescare un processo di adattamento al nuovo contesto, pur nel mantenimento dell’identità culturale di partenza.