"Quando ero un ragazzo, signore e signori, ero un sognatore. Leggevo i fumetti ed ero l'eroe di quei fumetti. Andavo al cinema ed ero l'eroe dei film. Adesso ogni mio sogno è diventato realtà un milione di volte..."
MM: Distretto di polizia, RIS, Cuore contro cuore, Romanzo Criminale – La serie, Il mostro di Firenze, hai tanti lavori importanti alle spalle. Che esperienza è stata ognuna di questi?
LV: Ognuna ha lasciato un segno nella mia vita e nella mia carriera e ognuna è stata necessaria e propedeutica all’altra. Distretto è stato l’inizio, la prima cosa scritta per la tv, la prima serie che ho curato come story editor, un’esperienza in cui ho appreso tanto facendo errori e azzeccando delle cose, ma con la voglia di innovare la tv. Cuore contro cuore è stato un passo falso o per meglio dire il passo più lungo della gamba. Ho accettato di farlo prendendomi la responsabilità del progetto e pensando di poterlo gestire facendone un prodotto di successo. Purtroppo la mia ambizione si è scontrata con l’inesperienza e con la superficialità della giovane età in cui l’ho scritta. Se lo rifacessi oggi, sarebbe molto diverso. Forse andrebbe male lo stesso, ma ne sarei più soddisfatto. RIS invece è stata la prova che l’innovazione, seppur graduale, in tv è possibile. Ho finalmente avuto la possibilità di scrivere una serie con un linguaggio televisivo più avanzato rispetto ai prodotti italiani dell’epoca (ma anche di ora). Checché se ne dica, RIS rimane la serie tv italiana più moderna mai prodotta, assieme a Romanzo Criminale. Già, perché se Romanzo ha innovato la scrittura dei personaggi televisivi, RIS ha innovato il linguaggio. Con RIS ho affinato il mio mestiere e senza di esso Romanzo Criminale non sarebbe venuto come è venuto. E passiamo proprio a Romanzo, che è stato il consolidamento definitivo della mia carriera, determinandone anche il massimo di visibilità possibile. Poter lavorare su quel romanzo e per Sky, ha permesso di mettere mano su un materiale esplosivo, che io e miei colleghi abbiamo maneggiato divertendoci e divertendo chi lo guardava. Ed è solo grazie a esso che finalmente ho potuto fare una miniserie sul Mostro di Firenze, un progetto che inseguivo da anni, e che è venuto esattamente come lo pensavo. Insomma, tante tappe. E vedremo quale sarà la prossima…
MM: Come mai ti sei concentrato principalmente sulla cronaca nera e il giallo?
LV: Sai, alla base sono un appassionato di fantastico e fantascienza. Va da sé che questi generi non sono praticati in Italia e quando ho iniziato ancor meno di ora. Quindi ho capito abbastanza presto che per lavorare avrei dovuto approfondire il genere poliziesco e il noir. Sono arrivato, dunque, al poliziesco e le atmosfere livide, dure e realistiche di questo genere hanno attecchito subito. E forse alla fine ho capito che in questo riuscivo a esprimermi bene.
MM: Le tue ultime creature sono state ACAB – All Cops Are Bastards e Il clan dei camorristi, che ha riscosso un enorme successo di pubblico. Raccontaci questi due progetti, come sono nati, l’impegno profuso, le soddisfazioni e anche le delusioni, se ce ne sono state.
LV: Partiamo da ACAB. È nato tutto grazie a Romanzo Criminale. Bonini, l’autore del libro, ha chiesto a Cattleya di avere gli autori di Romanzo Criminale – la serie per adattare la serie. L’entusiasmo iniziale si è scontrato con la difficoltà di elaborazione dello script. Chi conosce il libro originale si sarà accorto che dell’opera originale rimangono poche cose, ma permane invariato lo spirito di fondo. Per arrivare alla stesura del film, siamo passati attraverso diverse fasi. All’inizio l’io giudicante dello scrittore ha prevalso e in un primo momento il progetto aveva assunto un tono estremamente critico rispetto all’ideologia di destra della celere. Poi è stato Sollima a portarci verso la giusta strada. ACAB avrebbe funzionato solo se avessimo attecchito allo spirito del libro di Bonini, che non giudica, ma racconta. Quindi abbiamo fatto un passo indietro e ci siamo lasciati condurre da Sollima e dalla produzione in un interessante viaggio creativo, che mi ha messo a contatto con gente che il mestiere del celerino lo fa veramente e che mi ha cambiato profondamente. Esiste un Leonardo pre e post ACAB, sia umanamente che professionalmente. Dunque le soddisfazioni sono state tante. L’unica piccola delusione è che in Francia, paese coproduttore del film, la pellicola non ha funzionato come in Italia.
Il clan invece è stata un’esperienza diversa. Per certi versi la cronaca aveva già tutti gli elementi necessari per lo sviluppo di una trama articolata e infatti la scrittura è andata liscia come l’olio. In questo caso, la sfida era quella di creare una sorta di affresco, che raccontasse tutte le parti in gioco quando si parla di camorra. Quindi non solo l’eroe e il cattivo, ma anche un universo di personaggi che vengono toccati o addirittura avviluppati dalle spire dei camorristi. Dal punto di vista professionale, il progetto ha segnato un cambio di formato per le mie abitudini. Di solito ho scritto episodi da 50 minuti, qui invece per richiesta del produttore, mi sono confrontato con i 100 minuti. La cosa può sembrare di scarsa rilevanza, invece cambia completamente il modo di strutturare il racconto. Le soddisfazioni sono state molte: dall’aver convinto con la bontà degli script un attore di nome come Stefano Accorsi, dall’aver avuto un cast di attori perfetto e due registi eccezionali… Le delusioni sono stati i dati di ascolto. Il Clan dei camorristi nelle intenzioni era un progetto che doveva fare circa 6 milioni di telespettatori, anche qualcosa di più, ma si è fermato sotto i 5 milioni. Il gradimento è stato alto, ma in termini numerici il prodotto avrebbe dovuto fare di più.
MM: Non solo tv e cinema nella tua vita, ma anche fumetto. Quali fumetti hai realizzato finora e chi è Cassandra?
LV: Per ora ho realizzato quattro volumi a fumetti. Due di cronaca nera a fumetti (La Banda della Magliana e Il Massacro del Circeo, Ed. Becco Giallo), una creazione completamente originale (Sala d’attesa, Ed. BD) e l’adattamento di un racconto di De Cataldo… cioè Cassandra, edito da Tunué. Cassandra è la co-protagonista della storia, una testimone di un delitto a sfondo razziale che viene avvicinata da Marco, un poliziotto sotto copertura. Entrambi nascondono un segreto: Cassandra è un transessuale e lo scopriamo ben presto, Marco invece nasconde altro, qualcosa che lo logora, legata alla morte di suo fratello e che scopriremo lungo il corso della storia. Il problema è che i due si innamorano, ma Marco non riesce ad accettare l’idea di amare un transessuale. Il racconto mi è piaciuto per tanti motivi, ma soprattutto perché parla dell’accettazione e del rifiuto della diversità sotto molteplici aspetti. E inoltre il racconto incrocia molti generi: il crime, il romance, la denuncia sociale… Inoltre i personaggi di Cassandra e di Marco erano sulla carta molto belli e svilupparli sotto forma di fumetto mi ha dato un’enorme soddisfazione.
MM: Elvis su carta è il tuo sito, perché questo nome?
LV: E’ tutto spiegato nella homepage. Ma ecco qui di seguito quello che c’è scritto: “Qualcuno si chiederà il perché. Cosa c'entra Elvis con la carta? E soprattutto, cosa c'entra Elvis con la mia professione: lo sceneggiatore? … c'è un motivo "semantico". Le mie iniziali sono L e V che pronunciate all'inglese suonano "el" e "vi" e dunque questo è il sito di LV (LV's=eL Vi's). E poi c'è un motivo nostalgico. Elvis è un'icona che ha battezzato la mia adolescenza. Basette lunghe e banana rockabilly hanno incorniciato il mio volto per un sacco di anni e Love me tender è stato il mio cavallo di battaglia nei karaoke estivi. Ormai gli anni hanno lasciato spazio a un aspetto più sobrio e professionale (anche se le basette sono sempre là!) e i karaoke estivi sono diventati off limits. Ma è lo spirito che è rimasto invariato! L'eterno rock'n'roller è ancora qui per cantare e ballare!
MM: Il tuo più grande successo professionale?
LV: Romanzo Criminale – la serie, senza ombra di dubbio.
MM: Come si costruisce una sceneggiatura e quali sono le doti di un bravo sceneggiatore?
LV: Scrivere una sceneggiatura è un lavoro di pazienza e si procede per gradi. Si raccolgono idee sui personaggi, sulla struttura del racconto, poi si prova a mettere giù queste idee in forma organica. Si approfondisce sempre di più, ampliando e definendo una scaletta degli eventi, che descrivano bene anche i comportamenti dei personaggi, forse anche qualche linea di dialogo. E poi solo dopo tutto questo si passa allo script vero e proprio. Insomma, l’ispirazione c’entra, ma c’entra molto anche la dedizione e l’organizzazione del lavoro. Ci si deve organizzare come per un lavoro, con orari di scrittura e scadenze, anche se non si hanno scadenze da un produttore. I bohemien della sceneggiatura, di solito non sono professionisti…
MM: Da poco sei diventato padre e ti sei trasferito in Francia, come concili la tua vita privata con quella professionale?
LV: Il mio lavoro mi permette di avere lunghi periodi di scrittura a casa. Nessuno ha mai detto che casa debba essere Roma o l’Italia. Quindi ho scelto di andarmene via dall’Italia e di mettere su famiglia qui. Quando c’è bisogno prendo l’aereo e torno nel Bel Paese, e per parlare con i colleghi uso mail e Skype. Lavoro la mattina e a volte dopo mangiato se devo. Il resto della giornata è tutto dedicato a mia figlia e alla mia compagna.
MM: E’ d’obbligo chiederti, qual è il tuo film preferito?
LV: Il mio film preferito è sicuramente Blade Runner, un film che ha tutto dentro: crime story, fantascienza, romance… Lo script è geniale, con alcuni passaggi di dialogo entrati nella storia del cinema. Una particolarità è che preferisco la versione producer’s cut al director’s cut. Quella voce off così hardboiled è stato uno dei motivi per cui mi sono innamorato del film.
MM: Cosa guardi in tv?
LV: Di tutto! Ma soprattutto serie. Nell’ultimo anno ho visto parecchia roba francese interessante. La Francia comincia a essere competitiva con USA, UK e paesi scandinavi, in quanto a qualità della serialità!
MM: Che ambiente è quello della televisione e come si differenzia dal cinema? Hai mai trovato ostilità, venendo da una cittadina di provincia come Terni o ti sei ambientato facilmente?
LV: Devo dire che la mia provenienza ternana non ha mai pesato. Per il resto, finché i soldi giravano nel settore, la tv era vista dai cineasti un po’ come una discarica. Quando il lavoro al cinema è cominciato a scarseggiare, anche gli autori e (meno spesso) gli attori di cinema si sono riversati in tv e all’improvviso la Cenerentola è diventata una ricca principessa da corteggiare e saccheggiare. La coerenza, evidentemente, non è di questo mondo. Io amo fare tv e continuerò a farla. Il cinema per me non è un grande traguardo, ma solo un altro modo di raccontare storie. Purtroppo invece per molti, fare un film d’autore è più importante che fare una buona serie. Quando questa generazione di autori sarà spazzata via dall’età e dal mercato, potremo finalmente gridare “Alleluia!”
MM: Lo sceneggiatore che più ammiri, il regista che più ami e l’attore con cui hai lavorato meglio?
LV: Paul Abbott, per la sua capacità di attraversare i generi e di essere sempre originale e popolare allo stesso tempo. Già, perché si può e si deve fare entrambe le cose. Tra i miei registi preferiti c’è sicuramente Nolan, che a oggi ha prodotto alcuni tra i miei film preferiti. E per quanto riguarda gli attori, ti cito tutto il cast di Romanzo Criminale senza preferenze di sorta tra di essi.
MM: Tra le citazioni riportate sul tuo sito, c’è "Quando ero un ragazzo, signore e signori, ero un sognatore. Leggevo i fumetti ed ero l'eroe di quei fumetti. Andavo al cinema ed ero l'eroe dei film. Adesso ogni mio sogno è diventato realtà un milione di volte...". Ogni tuo sogno è diventato realtà un milione di volte o hai altri sogni nel cassetto?
LV: Molti dei miei sogni sono diventati realtà come si sarà capito dall’intervista, ma ci sono alcune cose che vorrei ancora fare. Lavorare all’estero, ad esempio. O anche lavorare a un progetto fantastico. E perché no? Anche un cartoon!
Per maggiori informazioni:
www.elvisucarta.webr.ly