Il processo di invecchiamento, essendo il frutto della convergenza di numerosi fattori (soprattutto stile di vita, genetica e influenze ambientali), deve essere letto e interpretato in una prospettiva sistemica.
Le trasformazioni fisiche e psichiche che accompagnano questa particolare fase della vita fanno parte di un processo naturale e sono evidenziate da una serie di adattamenti e risposte individuali, solitamente associati a disturbi di varia natura come perdita di massa e forza muscolare, calo di memoria, alterazioni della regolazione di numerosi processi vitali, aumento del grasso viscerale, sbalzi d’umore, diminuzione del calcio nelle ossa (osteoporosi), ecc.
Uno dei principali fattori responsabili dell’invecchiamento cellulare è rappresentato da un elevato livello di stress ossidativo (accumulo di radicali liberi), il quale provoca gravi danni alle membrane, al citoplasma e a tutte le macromolecole organiche (soprattuto acidi nucleici, proteine e lipidi), compromettendone la funzionalità, spesso in maniera irreversibile. Per quanto riguarda la pelle, la perdita di tonicità e la formazione di rughe sono il risultato dei danni subiti dalle proteine strutturali del tessuto connettivo (collagene), la cui alterazione porta alla formazione di legami crociati tra collagene ed elastina.
Ma in questo scenario anche gli ormoni svolgono un ruolo preminente; del resto è ormai accertato che con l’avanzare dell’età la sintesi di queste importanti sostanze endogene perde progressivamente la sua efficienza, con evidenti ripercussioni sull’equilibrio e l’armonia di tutto l’organismo (omeostasi). Estrogeno, progesterone, testosterone, cortisolo, insulina, tiroxina, somatotropina sono alcuni dei numerosi composti coinvolti in questo ampio sistema di regolazione. Tutti agiscono in maniera autonoma, ma allo stesso tempo fanno parte di una complessa orchestrazione che lavora per mantenere l’organismo in uno stato di salute ottimale. Alterazioni della regolazione ormonale possono essere favorite da cattive abitudini alimentari e da esposizioni croniche a stress di natura fisica ed emozionale.
Di particolare importanza sono i livelli ematici d’insulina (ormone che regola il metabolismo degli zuccheri) in relazione all’assunzione di certi cibi. Ad esempio, un consumo eccessivo di carboidrati raffinati (dolci, pasta, bibite zuccherate, ecc.) favorisce i picchi glicemici, caratterizzati da un veloce aumento del tasso di zucchero nel sangue (iperglicemia); questa situazione di allarme (picco glicemico) spinge il pancreas a incrementare la produzione di insulina, provocando una reazione opposta (ipoglicemia). Il protrarsi di queste oscillazioni dei livelli di glucosio nel sangue favorisce l’instaurarsi di una particolare sindrome metabolica, chiamata resistenza insulinica: con il tempo le cellule dell’organismo perdono la sensibilità all’azione dell’insulina, favorendo la comparsa di varie patologie (diabete, obesità, disturbi cardio-circolatori, ecc.). Anche un’eccessiva sintesi di cortisolo, da parte delle ghiandole surrenali, in risposta a situazione di stress cronico e di intesi sforzi fisici, innesca una serie di problematiche, tra cui un aumento delle risposte infiammatorie e della pressione sanguigna, l’insorgenza della sindrome da stanchezza e affaticamento cronici, di disordini metabolici (tra cui iperglicemia) e un accrescimento del grasso addominale. Ma nel panorama generale legato ai processi d’invecchiamento, le modificazioni ormonali più evidenti si registrano a carico degli organi sessuali.
Nella donna gli estrogeni sono molto utili, soprattutto per la formazione degli organi femminili e la preparazione degli eventi riproduttivi; successivamente, con la scomparsa dell’ovulazione e del ciclo mestruale, si innesca un quadro sintomatologico estremamente variabile caratterizzato da vampate di calore, sudorazioni notturne, ansietà, irritabilità, cefalea, palpitazioni, aumento della massa grassa, secchezza della cute, ecc. Nell’uomo, invece, la diminuzione di testosterone è una delle principali cause delle modificazioni che accompagnano l’andropausa, anch’essa segnata da particolari effetti psicofisici, ma d’intensità decisamente inferiore rispetto alla controparte femminile. Scompensi di questo tipo, in entrambi i sessi, vengono trattati con terapie mirate basate sulla somministrazione di ormoni sintetici (terapia ormonale sostitutiva). Purtroppo questi trattamenti, se prolungati nel tempo, non sono esenti da effetti collaterali, soprattutto per quanto riguarda gli estrogeni, responsabili di neoplasie a carico del tessuto mammario.
Per ovviare a questi inconvenienti è possibile impiegare sostanze ormonali con effetti deboli, come l’estriolo, nella sua forma naturale micronizzata, il quale esercita un’azione antiproliferativa, riparativa a livello cellulare e addirittura di protezione nei confronti dell’insorgenza di eventuali carcinomi. Altri candidati che risultano in linea con le migliori aspettative, sono i fitoestrogeni, cioè ormoni di origine naturale, largamente diffusi nel mondo vegetale e raggruppati in tre principali classi: isoflavoni (presenti in numerosi legumi), lignani (abbondanti nella cuticola di cereali, frutta, verdure, semi oleosi e relativi oli) e cumestani (rintracciabili nei germogli).
Meritano una particolare attenzione, per le loro potenzialità terapeutiche, gli isoflavoni contenuti nella soia, soprattutto genisteina, gliciteina e daidzeina; questi composti esercitano un’azione di tipo antagonista, rispetto a quella esercitata dagli estrogeni di provenienza endogena (in particolare estradiolo ed estrone) e di contrasto nei confronti di alcuni di fattori di crescita cellulare coinvolti nei processi di angiogenesi neoplastica (proliferazione di vasi sanguigni che alimentano le cellule tumorali). A volte è sufficiente correggere le proprie abitudini alimentari introducendo gradualmente il consumo di alimenti vegetali ricchi di fitoestrogeni il cui debole potere ormonale, in determinate circostanze, può apportare numerosi benefici alla salute, contrastando l’invecchiamento dell’organismo.
Tra gli alimenti ricchi di fitoestrogeni abbiamo: soia e suoi derivati (latte, tofu, miso, tempeh), semi oleosi e relativi oli (lino, noci, mandorle, oliva, sesamo, girasole, ecc.) legumi (in particolare ceci, fagioli, piselli), cereali integrali (avena, riso, orzo, grano saraceno, farro e frumento), frutta (mele, melagrana, papaya, prugne, datteri, banane, avocado, pompelmo, uva, ecc.), verdure (barbabietole, cavoli, cavolfiori e specie affini, carote, zucca, patate, peperoni, cetrioli, ecc.), numerosi germogli (soia verde e rossa, erba medica, piselli, ceci, zucca, ecc.), piante officinali (luppolo, trifoglio, galega, fieno greco, agnocasto, finocchio, anice, salvia, liquirizia, cumino, curcuma, zenzero, peperoncino, ecc.).
In questo ambito, destano preoccupazione anche le numerose sostanze inquinanti, presenti nell’ambiente, che possono esercitare pericolosi effetti estrogenici. Si tratta di molecole sintetiche contenute in quasi tutte le materie plastiche (sostanze indurenti o ammorbidenti come ad esempio il bisfenolo A o BPA e i ftalati presenti nelle bottiglie, nelle pellicole, nella carta termica, nei rivestimenti protettivi dei contenitori alimentari e nei giocattoli), in molti fitofarmaci (pesticidi, erbicidi, fungicidi, nematocidi), negli additivi alimentari, nelle sostanze chimiche industriali, in alcuni farmaci e cosmetici, ecc.. Alcune di esse riescono a diffondersi in maniera capillare sfruttando i mezzi di trasporto offerti dall’ambiente (falde acquifere, correnti marine, venti, ecc.) e la loro empatia nei confronti delle sostanze grasse: vengono facilmente accumulati nei tessuti lipidici di pesci e mammiferi per diffondersi, poi, nelle catene alimentari. Il bisfenolo, in particolare, può mimare, secondo un meccanismo epigenetico, l’azione degli estrogeni con conseguenti alterazioni della funzionalità di dei principali apparati e sistemi (riproduttivo, metabolico, nervoso, immunitario, ecc.).