Ogni sostanza alimentare non ha solo una componente organolettica costituita dai noti e diversi principi nutritivi, ma anche una sua qualità energetica, uno stato vibratorio espresso dalla valutazione dei componenti sottili che sono insiti e costituenti la materia grossolana. Questi stati sono conosciuti come i tre guna: il tamas, il rajas e il sattva. Possono rendere il cibo pesante o ottundente, cioè tamasico, eccessivamente stimolante, cioè rajasico, equilibrato, nutriente e sottile, cioè sattwico. I guna sono la modalità di vibrazione profonda di una sostanza. La condizione di tamas è negli atomi che vibrano lentamente, la fase rajasica è quando cominciano ad accelerare e nella loro condizione più sottile, veloce e in equilibrio, la fase sattvica.
Nel macrocosmo i guna sono perennemente presenti in infinite manifestazioni: l’acqua, non è tamasica nella sua ghiacciata occasionale staticità? Non è rajasica quando è pioggia battente? O sattvica nel vapore acqueo? La manifestazione dei guna è nei processi della natura: un albero è tamasico in inverno, è rajasico in primavera e sattvico in estate. La materia, nella manifestazione del risveglio della sua energia potenziale, nascosta nei legami degli atomi, è sattvica nel suo equilibrio, è tamasica nei legami stabili di coesione, ma spaventosamente rajasica quando viene risvegliata e slegata dai suoi complessi legami atomici. Esiste armonia ed equilibrio nel sattva; inattività e inerzia nel tamas; attività, movimento e azione nel rajas.
Dormire profondamente in maniera rigenerante ci rende sattvici, pronti, attivi, ricaricati per il dinamismo del nostro rajas, ma dormire troppo, esageratamente (e non negli orari adatti) ci rende tamasici e letargici. Mangiare del cibo buono, ben preparato, ben consumato, ci porta del sattva e del buon rajas, ma mangiarne troppo oltre le nostre capacità digestive ci porterà verso un condizione di pesantezza tamasica. La kundalini è tamasica nella sua apparente immobilità, è rajasica nella sua attivazione e sattvica nella sua manifestazione. Così illustra la Baghavad Gita:
Anche il cibo che a ciascuno è caro è di tre specie, similmente ai sacrifici, alle penitenze, alle donazioni. Ascolta dunque codesta loro distinzione. I cibi che accrescono la longevità, l’energia, la forza, la salute, il benessere e la gioia, che sono saporiti, teneri, nutrienti, gradevoli vengono preferiti da coloro che partecipano del Sattwa. I cibi amari, agri, salati, caldi, piccanti, aspri e asciutti, pungenti, che fanno male, procurano malinconia e sono indigesti, vengono preferiti da coloro i quali sono dominati dalle passioni, Rajas. Ciò che è avariato, insipido, putrido, guasto, rifiuto e impuro, questo è il cibo preferito da chi si trova nel Tamas.
Un cibo industriale, manipolato, addizionato, colorato, artificiale, creato sfruttando animali e persone, consumato in piedi e senza consapevolezza e gratitudine, non può essere altro che tamasico. Il percorso yogico tende alla prevalenza del Sattwa, sia sul piano psicofisico, sia sul piano spirituale. Consumare il più possibile cibo, emozioni, pensieri, relazioni umane, luoghi, letture sattwiche, ci rende sempre più sottili ed equilibrati. Nelle pratiche avanzate yogiche si cerca di nutrirsi e di ricaricarsi da fonti sempre più sottili, allontanandosi da ogni consumo e dipendenza dal cibo tamasico e rajasico. Lo Yoga dà più importanza al sattwa e all’essere shakahari, cioè colui che si nutre di sole verdure (ancora ritroviamo il termine ahari già indicato). L’Ayurveda, dal suo punto di valutazione medico e terapeutico, potrà consigliare, se necessario, anche cibi rajasici o tamasici, non escluderà il consumo di prodotti di origine animale e all’essere mansahari (colui che mangia anche la carne).
L’alimentazione yogica indirizza verso un nutrimento sempre più fine e semplificato. Lo yoga è un sistema di decrescita felice: rendere la mente, la vita, sempre più semplici, alleggerirsi di oggetti, di attaccamenti, di condizionamenti, paure e per quanto riguarda il cibo, un nutrimento semplice, leggero, essenziale e consumato con rispetto e gratitudine. Un classico piatto indiano, il kichari, materializza questo principio: è un tipico pasto monopiatto molto amato dagli yogi, è composto da riso, un legume (una particolare qualità di lenticchia molto proteica e digeribile), verdure e ortaggi a scelta, le immancabili spezie e generalmente del ghee (burro chiarificato). Questo pasto è una combinazione equilibrata di cereale e legume, che combinano un apporto proteico, fornendo un apporto vegetale, spezie antiossidanti favorenti la digestione e la depurazione, una parte di grassi animali, dove, tramite la chiarificazione del burro, si abbassano notevolmente i grassi saturi. Il kichari è molto apprezzato perché nutre e produce poche tossine metaboliche. Una versione personalizzata è un kichari con riso integrale (il gustoso basmati) e al posto del ghee dell’olio di girasole (o sesamo) biologico e spremuto a freddo. A tal proposito, all’apertura della bottiglia, aggiungo dalle 20 alle 30 gocce di olio essenziale di limone, di produzione biologica e/o biodinamica, che aiuta a rallentarne l’ossidazione, si beneficia, inoltre, delle numerose proprietà dell’olio essenziale. Si consiglia la conservazione in frigorifero e l’utilizzo a crudo.
Lo yogi segue un’altra importante indicazione: mangiare poco e cibi di qualità, alzarsi da tavola con ancora un po’ di appetito, come è ricordato in un testo classico “riempi lo stomaco per metà di cibo, per un quarto di liquidi, un quarto di aria”, cioè lasciato ... vuoto. Quello che la scienza indica attualmente come uno dei più efficaci sistemi antinvecchiamento, la restrizione calorica, era già indicato da millenni, dai saggi maestri dello yoga. Mangiare poco non è solo una indicazione salutistica o di rafforzamento della volontà, gli yogi applicano il concetto di deprivazione calorica, sanno che poco cibo permette una vita longeva, utilizzando inoltre digiuni intermittenti secondo cicli circadiani, ultradiani e rispettando attentamente la costituzione biotipica secondo i principi ayurvedici (prakriti).
Il cibo permette non solo il sostentamento del corpo fisico, definito annamayakosha, dove il kosha è inteso come stratificazione, come livello, come piano, in questo caso nutrito dal cibo materiale (anna), ma permette anche il sostentamento del sistema dei corpi sottili e del prana che in esso scorre. L’energia contenuta negli alimenti, infatti, fornisce il nutrimento sia al piano pranico (pranamayakosha) sia a quello mentale (manomayakosha). Inoltre, un cibo scelto, preparato e consumato adeguatamente, influenza, attraverso la sua componente sattvica, anche i livelli di coscienza superiori. Il mangiare poco deve essere compreso da un altro punto di vista esoterico, come uno strumento di trasformazione e di accesso al controllo del prana: ridurre l’apporto del prana dal cibo materiale per aprire vie di rifornimento attraverso i corpi sottili.
I punti principali suggeriti dallo yoga per l’azione antinvecchiamento:
• mangiare poco e cibi freschi ricchi di luce (fotoni);
• digiuni, semidigiuni secondo cicli stagionali e rispettando la propria costituzione biotipica (prakriti);
• utilizzo di piante officinali e spezie con azione antiossidante;
• assenza di stress, di dissipazione delle energie mentali e l’indispensabile applicazione dello strumento della meditazione;
• cercare di abbassare un poco la temperatura del corpo (aspetto accessibile solo a yogi più avanzati);
• l’integrazione di tutta la conoscenza dell’ayurveda, una sua branca è il rasayana, l’arte di rallentare la degenerazione psicofisica.
Argomenti, questi, per i nostri prossimi incontri.