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Volksjaeger
Haunebu
Horten
No, non è la formazione del Bayern Monaco del ’72, ma l’elenco delle 11 più note fra le cosiddette “wunderwaffen”, le armi portentose di Hitler che avrebbero dovuto ribaltare le sorti della Seconda guerra mondiale in favore della Germania. Di fatto, un’imbarazzante sequela di aborti tecnologici buoni più a rinfrancare la propaganda di Goebbels che a fornire un reale supporto sul fronte.
È allora quantomeno singolare che ancor oggi aleggi un’aura leggendaria intorno a carri armati troppo pesanti per attraversare i ponti o a pseudo-jet che trascorsero la maggior parte della già breve carriera in manutenzione anziché in volo. Per contro, un’idea di Hitler messa a punto poco prima della guerra, una volta cessate le ostilità ebbe successo su scala planetaria a tal punto da diventare un vero e proprio fenomeno di costume nel mondo occidentale e far dimenticare al grande pubblico le sue imbarazzanti origini. Stiamo parlando di una vettura che, grazie a una forma e a un rumore inconfondibili, continuò a spiccare in mezzo al crescente traffico urbano per numerosi lustri: il “maggiolino” Volkswagen.
Hitler aveva fatto molto per la motorizzazione di massa già nel suo primo anno da cancelliere, quando la sua ossessione per una “macchina del popolo” indusse Ferdinand Porsche a presentargli il cosiddetto “progetto 12”: il Führer lo approvò nel maggio del 1934, a patto però che la vettura consumasse 7 litri ogni 100 km e costasse meno di 1000 marchi. La seconda condizione si rivelò il principale ostacolo e comportò una messa a punto costellata di imprevisti e ritardi, oltre a un crescente malumore da parte dei grandi industriali tedeschi dell’automobile, impensieriti dal rischio, una volta approntato il prototipo, di dover produrre un veicolo a condizioni-capestro.
Fu quindi una sorpresa gradita un po’ a tutti la decisione di Hitler, nel ‘37, di accollare la produzione dell’"auto del popolo" alla KdF (Kraft durch Freude, “Forza nella Gioia”), il dopolavoro nazionale, che avrebbe provveduto coi propri fondi alla costruzione di uno stabilimento apposito presso Wolfsburg in Bassa Sassonia: una vera e propria cittàfabbrica, dimensionata per due turni da 12000 operai per un totale di 90000 abitanti come da progetto dell’immancabile Albert Speer. Già durante il cantiere fioccavano le prenotazioni: il regime aveva organizzato la vendita della KdF-wagen (sarebbe stata chiamata “maggiolino” solo dagli anni ’60) tramite una sorta di raccolta punti che avrebbe richiesto circa tre anni e mezzo per essere ultimata. Nel frattempo però accadde ben altro.
Dal 1940 lo stabilimento della KdF venne riconvertito alla produzione bellica, le vetture fino ad allora prodotte furono destinate alla Wehrmacht e lo staff di Porsche ricavò dallo stesso progetto una versione decappottabile più spartana, dalla carrozzeria elementare: la Kübelwagen, soprannominata a posteriori “il maggiolino nudo”, cui fece seguito il modello anfibio denominato Schwimmwagen. Lo scenario desolante di Wolfsburg alla fine della guerra lasciava presupporre la definitiva archiviazione dell’”auto del popolo”, ma l’amministrazione provvisoria britannica fu dissuasa dal completare la demolizione della fabbrica da un suo ufficiale, Ivan Hirst, che fece riprendere la produzione di veicoli ad uso delle autorità occupanti.
Sempre a lui si deve il successivo affidamento dell’impianto ad Heinz Nordoff, ex dirigente Opel e acerrimo nemico di Porsche, che curò il rilancio di Wolfsburg proprio basandosi sul maggiolino, le cui doti di robustezza ed economicità erano alquanto apprezzate nel Dopoguerra e avrebbero contribuito alla clamorosa carriera trentennale di questa vettura, via via associata ai film di Walt Disney, alle prime esperienze automobilistiche di giovani ribelli, nonché, previa applicazione di ciglia adesive sui fanali anteriori, all’iconografia della Swingin’ London.
È allora motivo di rinnovata ammirazione per l’ironia della Sorte constatare che razionalmente non si sarebbe potuto concepire contrappasso più appropriato per una macchina pensata per trasportare docili e omogenee famigliole ariane sulle autostrade del “reich millenario”.
Bibliografia:
Alessio Mazzocco, Auto storiche: il mito del Maggiolino, in Giornale Motori, 2/07/2014
Jonathan Glancey, The VW Beetle: How Hitler’s idea became a design icon, http://www.bbc.com/, 21/10/2014
Alfio Manganaro, Hitler e la Volkswagen, ecco tutta l'incredibile storia, in Repubblica, 11/05/2015