Lucia di Lammermoor è l’opera romantica tout court, il sommo capolavoro del primo romanticismo italiano, la sua espressione più forte e drammatica, il gioiello più brillante nella corona del bel canto. Quasi due secoli dopo la prima, è un’opera che dà ancora i brividi agli spettatori. L’opera fu presentata a Napoli nel 1835 e da allora è restata in cartellone in tutto il mondo, anche dopo che l’astro di Verdi aveva oscurato tutti i concorrenti, diventando nel dopoguerra il cavallo di battaglia delle grandi regine della coloratura (i passaggi virtuosistici di una melodia vocale) del secondo dopoguerra: Maria Callas, Joan Sutherland, Beverly Sills, più recentemente Diana Damrau e Mariella Devia.
La storia è tratta da uno dei romanzi più cupi e cruenti di Walter Scott, The Bride of Lammermoor, in cui sono combinati assieme diversi ingredienti del racconto gotico: faide familiari, amore proibito, matrimonio forzato, violenze coniugali, assassinio, pazzia. Anche se è piena di melodie e momenti musicali memorabili, la ragione principale della sua popolarità risiede in un momento preciso del terzo atto: la scena della follia. Lucia, che ama Edgardo, è costretta dalla famiglia a sposare Arturo, ma impazzisce e pugnala il poveretto la prima notte di nozze. La sua agghiacciante ricomparsa tra gli inorriditi ospiti del ricevimento di nozze, sporca di sangue e con i capelli in disordine, è indimenticabile ed è diventata una delle scene più celebri di tutta letteratura operistica.
Con Rossini che si era ritirato, Bellini che era morto giovane, e in attesa di Verdi che ancora doveva confermarsi grande compositore, Donizetti era il campione in carica dell’opera italiana. Nella Lucia egli sapientemente crea melodie che producono un effetto sia drammatico che psicologico, realizzando momenti scenici spettacolari, scintillanti di colori orchestrali (ad esempio, il sestetto “Chi mi frena in tal momento” è uno dei più grandi in tutta l'opera lirica), struggenti arie per soprano (“Regnava nel silenzio”) o per tenore (“Tu che a Dio spiegasti l'ali”) o il celeberrimo duetto “Verranno a te sull’aure”.
In tutta l’opera, a cominciare dalle prime battute del Preludio, la vena melodica del compositore scorre fluente e inesauribile, la costruzione armonica è intensa e ricca, la strumentazione è piena di soluzioni originali. Per descrivere la follia di Lucia, Donizetti, adopera tutti i trucchi del mestiere. Dapprima la donna viene come assalita da vari temi orchestrali, di cui alcuni ripresi da momenti precedenti, e ai quali nel disordine mentale in cui si trova lei non può che rispondere con lacerati frammenti vocali. Ma quando con la fantasia raggiunge il suo amato, il suo canto diventa sempre più rigoglioso e fermo, e dalla scena arriva un turbinio di note, una cascata di straordinari vocalizzi.
Intorno alla follia di Lucia è fiorita tutta una letteratura, e tanti hanno provato a di darne un’interpretazione. Viene ad esempio ricordato che nel XIX secolo, in un’epoca in cui le donne dovevano sottostare a rigide norme sociali, la follia era tipicamente un "male femminile": così il canto allucinato di Lucia è letto da alcuni come il disperato pianto di una donna prigioniera di invisibili ma ferree catene, da altri come il rifiuto orgoglioso di obbedire a quelle regole, una vittoria sulle spietato mondo maschile.
Inizialmente, Donizetti aveva previsto per questa scena l’uso non del flauto solista (come è poi tradizionalmente stato), ma dell’armonica a bicchieri, o glassarmonica, uno strumento raro, il cui misterioso timbro veniva all’epoca associato al soprannaturale. Tuttavia, il suonatore del bizzarro strumento litigò con la direzione del San Carlo di Napoli e, poco prima del debutto, abbandonò l’orchestra. Donizetti lo sostituì senza indugio con il flauto. Le produzioni moderne ora stanno ripristinando la versione con l'armonica a bicchieri, che dà un meraviglioso e singolare colore a tutta la scena.
Lucia è la capostipite delle eroine romantiche, fragili, insicure, che sembrano predestinate alla follia. Con l'aiuto di folli cadenze e di strumenti stravaganti, è sopravvissuta ai cambiamenti epocali della lirica, e anzi è diventata un’icona del romanticismo, anche di maniera, tanto da essere citata in diverse opere letterarie: se in Anna Karenina di Tolstoj la protagonista va all’opera per vedere Lucia, in Madame Bovary di Flaubert, Emma Bovary identifica il suo rapporto adulterino con Léon con lo sventurato amore di Lucia ed Edgardo, come se fosse una soap opera dell’epoca. Un capitolo del romanzo è dedicato all’opera: Emma e suo marito Charles, vanno a vedere Lucia di Lammermoor al teatro di Rouen; lei, che scorge Léon tra il pubblico, si fa suggestionare dalla tragedia che va in scena: «Per vederlo meglio, Emma si sporgeva piantando le unghie nel velluto del parapetto, si riempiva il cuore dei lamenti melodiosi strascicantisi sull’accompagnamento dei contrabbassi come urli di un naufrago nel tumultuar d’una tempesta. Le riconosceva tutte, quelle ebbrezze, quelle angosce, lei, non ne era morta per poco? La voce della cantante le pareva il riecheggiare stesso della propria coscienza: quell’illusione scenica che la affascinava, la sentiva parte della propria vita. Ma nessuno sulla terra le aveva mai votato un simile amore. Non aveva mica pianto come Edgardo, lui, l’ultima sera quando s’eran detti “A domani! A domani!”».
Anche Giuseppe Tomasi di Lampedusa nel Gattopardo fa un riferimento a Lucia: Don Fabrizio, in agonia sul letto di morte, viene ridestato per un attimo da un organetto che suona “Tu che a Dio spiegasti l’ali”. E così l’aristocratico principe di Salina si spegne sulle note di quella che era diventata una canzonetta tanto popolare negli anni dell’unità d’Italia, da essere suonata per strada dalle pianole meccaniche.
Per una crudele ironia della sorte, i suoi ultimi anni Donizetti li ha passati in un manicomio a Parigi, dove, inebetito dalla sifilide, non rispondeva più alle sollecitazioni esterne. Un commovente aneddoto racconta che c'era solo un brano musicale che poteva risvegliare il compositore, ascoltando il quale egli alzava la testa, apriva gli occhi e batteva il tempo. Era la scena della follia di Lucia di Lammermoor, non più, quindi, solo finzione scenica, ma ultimo legame con la vita dell’autore di alcune tra le opere più amate di sempre.