Ora, ripensandoci, al fondo della discussione non mi rivelò il suo vero nome.
A dir la verità, forse, mi dimenticai di domandare.
Si limitò ad ammiccare, con un suo solito cenno, quasi una smorfia tra l'incredulo e lo stupito, con l'immancabile aria da signore di animo sobrio e distinto.
Il liquido lucente fece due giri untuosi nella pancia del bicchiere, le lacrime scesero fino al fondo del vetro lasciando un solco che distorceva la luce, quella poca che filtrava timida sembrava quasi chieder permesso; doveva esser color ebano, tanto pregiato da trovar armonia di oboi, flauti e clarinetti al naso.
Un concerto di Natale, leggermente confettato, avvolgente, caldo.
Una melodia profonda, minuziosamente preparata dal tempo al passar delle stagioni.
E al fiutarlo non si poteva che vagare, per poi perdersi in un'inondazione salivare dei bottoni gustativi al sol pensiero di riceverne un sorso.
Miele, ambra, foglie di fico, caramello bruciato, praticamente un giardino magico.
I pensieri correvano veloci.
L'olfatto si concentrava nell'immortalare ogni particolare, tentando nell'impresa di catturare l'infinita sfumatura e fissarla, inchiodarla, renderla viva e indelebile proprio lì.
Lì dove tutto può rivivere, basta soffiarne via la polvere con grande delicatezza, con la giusta dolcezza.
Un posto del tutto personale, esattamente nello sconclusionato reparto di confusione, quello spartito tra mente e cuore, dove un dato tecnico non basta per far scivolare tra bocca e palato ciò che si conosce, ciò che si vive.
Portò il vetro alla bocca, ne fece un sorso sufficientemente lungo.
Una melodia differente, che soffre per necessità di imprecisioni.
Sospirò.
Il suo viso si distese, per un attimo.
Stesso attimo utile per placare l'inondazione di saliva nella bocca che ora si miscelava tumultuosamente al liquido, risacca del mare che restituiva all'uomo la fatica delle sue mani.
Ogni goccia di sudore portata via dal caldo vento, ora tornava salata e liquida.
Deglutì, qualcosa di misterioso passò, prima per i solchi della fronte a esaltare le rughe di stupore e dopo per i contorni delle labbra a disegnarne una piacevole soddisfazione.
Slock!
Schioccò le labbra con suono godereccio.
Me ne versò un poco nel bicchiere.
Nettare scivoloso di pensieri.
Fuori la luce abbagliava al riflesso del terreno color avorio.
Le viti si crogiolavano al sole, accarezzate da un timido vento.
Un plotone di legni in ordine militaresco, con l'armatura verde, apparentemente immobile, con una missione importante quanto la vita: chiudere gli stomi per non perder acqua.
Un gioco di equilibrio col tutto, dove ogni minuscolo particolare ha il suo senso, una sua perfetta casualità.
Non vi è goccia d'acqua che vada sprecata.
Stesso principio applicabile al vino.
Me ne versai ancora una lacrima.
Dentro, l'ombra rinfrescava l'aria che, timida e con un certo senso di religiosità, si lasciava sfilare tra due feritoie poste nella parte più alta delle pareti della cantina.
Una cattedrale dal pavimento sabbioso.
"Vedi, se non esistesse tutto questo, non esisterei nemmeno io!
Sarebbe solo un inutile spreco di tempo, perché non ci sarebbe gioia alcuna.
Invece, grazie al cielo qui ogni singolo granello di sabbia sorride, anche nelle annate difficili. Ogni singola vite si attorciglia a se stessa mostrando in vendemmia tutta la sua dolcezza. Ogni goccia di questo è incanto e meraviglia".
Feci scivolare il liquido nel bicchiere con due movimenti convinti, lo portai al naso, poi in bocca dove trovò rifugio nell'apnea.
Mi voltai.
Se ne era andato.
Forse fuori a cercar un po' di luce.
Se ne andò, sul fondo della discussione, senza dirmi il suo vero nome.
Ne rimase un appunto a matita in una piccola agenda di quelle che si usano per viaggiare e ricordare a se stessi alcune cose che altrimenti andrebbero inesorabilmente dimenticate: Conoscere Pedro (Ximénez).