Progetto europeo triennale da 2,2 milioni di euro per decifrare la storia del clima. L’Italia partecipa nell’ambito del Pnra, insieme con diversi centri di ricerca ed università. Il capo ufficio stampa del Cnr in missione al Polo Sud.
Il recente appuntamento internazionale di Marrakesh, il Cop 22, seguito logico e operativo dell’analoga riunione di Parigi lo scorso anno, ha portato dinanzi al mondo tutti i motivi che rendono urgente una cooperazione internazionale per conservare l’equilibrio della natura, l’equilibrio climatico e le grandi aree disabitate che sono il vero polmone a garanzia dell’umanità! La domanda che ha percorso parte dei lavori ed è apparsa anche sui media a tal proposito è stata “sino a quando?”.
Inevitabile parlare – e lo si è fatto anche nella città marocchina – dell’Antartide, il continente di ghiaccio, patrimonio mondiale, cassaforte del passato e garanzia per il futuro! E non sono mancati gli allarmi! Se è ormai un dato di fatto che il surriscaldamento del pianeta stia provocando la scomparsa dei ghiacci artici (dopo quelli sulle alte montagne o il loro inesorabile ritiro), le previsioni più aggiornate e attendibili degli scienziati hanno messo in guardia da ulteriori aumenti indiscriminati delle temperature nell’atmosfera che potrebbero minacciare lo stesso sterminato continente del Polo Sud! Una prospettiva catastrofica per la vita sul pianeta e per gran parte dei centri abitati che si trovano sulle coste (praticamente gran parte delle più importanti città del mondo)!
Ecco perché, accanto ai rimedi, agli interventi, è opportuno non smettere mai di approfondire le conoscenze scientifiche per strappare nuovi dati e nuove indicazioni capaci di farci assumere scelte più coordinate e basate su dati certi e inoppugnabili. E, in fondo, è proprio questo il motivo per il quale glaciologi e climatologi di dieci paesi europei cercano proprio in Antartide il ghiaccio più antico sulla Terra. L’obiettivo è trovare il punto della calotta antartica dal quale estrarre la carota di ghiaccio che permetta di andare più indietro nella storia del pianeta. Da quanto emergerà da questo archivio del passato, sarà possibile provare a decifrare i processi del sistema climatico nelle antiche ere per migliorare le proiezioni su quelli futuri. L’opera di questi scienziati è finanziata direttamente dalla Commissione Europea con il progetto Beyond Epica – Oldest Ice (BE-OI) con una dotazione finanziaria di 2,2 milioni di euro. Il team è coordinato dall’Istituto tedesco Alfred Wegener, Helmholtz Centre for Polar and Marine Research (Awi).
Il nostro paese partecipa al progetto nell’ambito del Programma nazionale di ricerca in Antartide (Pnra) finanziato dal Ministero dell’istruzione, dell’università e della ricerca (Miur), ed è presente nel consorzio con l’Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Enea) e l’Università di Bologna. Sono coinvolti scienziati di università italiane (Ca’ Foscari Venezia, Firenze e Milano-Bicocca), dell’Istituto per la dinamica dei processi ambientali del Consiglio nazionale delle ricerche (Idpa-Cnr) e dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia (Ingv).
L’obiettivo ambizioso è trovare il ghiaccio di un milione e mezzo di anni fa (praticamente prima che l’uomo apparisse sulla terra). Per dare l’idea, basta ricordare che il campione di ghiaccio più antico oggi disponibile risale a 800mila anni fa. Tali carote di ghiaccio contengono particelle di aria che risalgono al momento della loro formazione. Analizzate in laboratorio, rivelano la composizione dell’atmosfera del passato. “Quello che ancora non siamo riusciti a comprendere è perché cambiò il ciclo dei periodi glaciali e interglaciali tra 900mila e 1,2 milioni di anni fa”, osserva Carlo Barbante, professore all’Università Ca’ Foscari Venezia e direttore dell’Idpa-Cnr. Prima della cosiddetta transizione di metà Pleistocéne, i periodi glaciali e interglaciali si alternavano all’incirca ogni 40mila anni. Da allora invece ogni periodo è durato circa 100mila anni. Questa conoscenza deriva per esempio dall’analisi di campioni di sedimenti, i quali però sono privi di informazioni sui gas presenti nell’atmosfera. “Non possiamo indagare il ruolo dei gas ad effetto serra, perché non abbiamo campioni adeguati per farlo, in quanto gli unici archivi geologici che contengono la composizione chimica dell’atmosfera sono le carote di ghiaccio”, afferma Barbara Stenni, professoressa all’Università Ca’ Foscari Venezia.
Il progetto BE-OI “nasce proprio per colmare questa lacuna, con analisi geofisiche, tecnologie di perforazione rapida e datazione del ghiaccio sul campo”. Inoltre, le tecnologie di perforazione saranno ulteriormente sviluppate e testate. Il primo lavoro sul campo partirà a breve: in Antartide il glaciologo Massimo Frezzotti (Enea) e i geofisici Stefano Urbini (Ingv) e Luca Vittuari (Università di Bologna), assieme ai colleghi degli altri istituti coinvolti nel progetto, analizzeranno lo spessore dei ghiacci, le loro caratteristiche fisiche e la topografia del basamento roccioso in due differenti siti sia da aereo sia a terra. Lo spessore della calotta glaciale è solo un primo indicatore della presenza di ghiaccio del passato, perché a determinare quanto sono antichi gli strati di ghiaccio sono l’accumulo di neve e i flussi dei ghiacci dal cuore dell’Antartide verso la costa.
Durante il programma di ricerca sul campo gli scienziati contemporaneamente misureranno l’accumulo di neve, la dinamica del ghiaccio e useranno nuove tecnologie per perforare il ghiaccio e misurare le temperature. “Durante studi precedenti abbiamo individuato aree chiave in cui ci aspettiamo di trovare i più antichi archivi di ghiaccio della Terra – spiega a sua volta il professor Olaf Eisen (Alfred Wegener Institute), coordinatore del progetto – ora dobbiamo verificarlo ed è importante per noi apprendere più possibile riguardo i processi di deposizione e della dinamica del ghiaccio”. “Oltre a questi interrogativi scientifici, 'Beyond Epica – Oldest Ice' ha l’obiettivo di mettere assieme l’esperienza tecnologica e scientifica necessaria per affrontare questo piano di perforazione profonda, per definire la pianificazione scientifica, la gestione del budget e i finanziamenti, precisa un comunicato del Cnr. Per generare il massimo avanzamento scientifico, sono coinvolte le più ampie comunità scientifiche europee dedicate alla paleoclimatologia e allo studio dei modelli climatici”.
Del consorzio fanno parte l’Alfred Wegener Institute, Helmholtz Centre for Polar and Marine Research (Awi, Germania), in funzione di coordinamento; l’Institut Polaire Français Paul Émile Victor (Ipev, Francia); l’Enea - Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l'energia e lo sviluppo economico sostenibile (Italia); il Centre National de la Recherche Scientifique (Cnrs, Francia); Natural Environment Research Council - British Antarctic Survey (Gran Bretagna); Universiteit Utrecht – Institute for Marine and Atmospheric Research (Olanda); Norwegian Polar Institute (Norvegia); Stockholms Universitet (Svezia); Universität Bern (Svizzera); Università di Bologna (Italia); University of Cambridge (Gran Bretagna); Kobenhavns Universitet (Danimarca); Université Libre de Bruxelles (Belgio); Lunds Universitet (Svezia).
Per documentare quanto si sta già facendo laggiù, nel quadro del PNRA, abbiamo posto qualche domanda a Marco Ferrazzoli, capo Ufficio stampa del Consiglio Nazionale delle Ricerche, in missione a metà novembre in Antartide.
Dunque, Marco, come è nata l’idea di immergerti dal vivo nella missione del Programma Nazionale di ricerca? Un impegno istituzionale o una curiosità culturale e scientifica?
Un impegno istituzionale che conduco insieme con un collega nella Base Mario Zucchelli per realizzare riprese e interviste finalizzate alla costruzione di un documentario istituzionale e divulgativo per il PNRA, ma naturalmente contiamo di fare anche alcuni reportage e servizi per i mass media. Sarebbe però ipocrita negare che si affronta questa missione anche con grandissima curiosità personale, culturale e giornalistica.
Con quale spirito visitare quelle zone così lontane e inospitali, per un neofita “probabilmente” impreparato ad affrontare i ghiacci eterni.
Un minimo di esperienza ce l’ho, avendo visitato la Base Artica Dirigibile Italia del CNR, ma so bene che l’Antartide è molto diverso. Teniamo comunque conto che siamo in estate e che a MZS ci sono condizioni meteo-climatiche “relativamente” migliori rispetto a Concordia-Dome C, che si trova in quota.
Qual è il programma per il periodo nel quale sarai a Mario Zucchelli?
Abbiamo già realizzato alcune interviste preventive e, durante i giorni di permanenza in base, in accordo con i responsabili, pur cercando di interferire meno possibile con le attività logistiche e istituzionali ci siamo impegnati a seguirle con la massima attenzione e fedeltà possibile.
Pensi che questa esperienza possa aiutarti a comunicare meglio il lavoro dei nostri scienziati e tecnici e ti permetta a tua volta di aiutare noi giornalisti a occuparci al meglio delle ricerca italiana, partendo da una vera eccellenza nazionale?
È proprio questo l’intento: documentare un lavoro duro e faticoso, svolto con entusiasmo da tanti ricercatori italiani di CNR, ENEA e degli altri enti e università coinvolti nelle attività antartiche italiane. Una comunità che lavora in stretta collaborazione con quella internazionale, in particolare nella stazione italo-francese di Concordia.