Farina di ceci, acqua, sale e olio extravergine di oliva. A quale delizioso piatto porta l’unione di questi semplici ingredienti? La farinata. Sottile, croccante e allo stesso tempo cremosa. Solletica la gola di chi ama concedersi uno spuntino, ed è considerata una “ricchezza” ligure, ma lo è davvero?
Fainà, farinata, cecina, torta, socca e bèlecauda sono alcuni dei soprannomi che le vengono attribuiti nelle diverse zone in cui viene prodotta. Questo delizioso piatto la cui scoperta risulta tutt’oggi dubbia, è diventata protagonista di due miti risalenti allo stesso periodo storico del XIII secolo. Il primo narra il giorno in cui i genovesi sconfissero i pisani nella famosa battaglia della Meloria. Durante il viaggio di ritorno le prigioni delle imbarcazioni liguri erano affollate di pisani e si trovarono a dover combattere con un ulteriore nemico, una violenta tempesta. Le fatiche accumulate dai vogatori portarono una delle navi a imbarcare acqua, la quale si infilò insidiosamente in coperta, inondando prigioni, cuccette e dispensa.
A quei tempi uno dei prodotti maggiormente trasportati erano i legumi, (tra cui i ceci) poiché di difficile deperibilità. L’acqua invadente rovesciò numerosi badili di olio e ammollò i ceci, rendendoli una specie di poltiglia molto poco invitante. Il giorno seguente ai prigionieri venne servito come pasto un piatto contenente una viscida miscela di olio e ceci ammollati. Alcuni prigionieri si rifiutarono di mangiare un pasto dalle sembianze predigerite da un gabbiano e decisero di mettere il piatto al sole finché i morsi della fame non sarebbero diventati insopportabili. Qualche giorno dopo il calore del sole aveva reso l’orrenda poltiglia asciutta, come una specie di piadina umida, trasformandola in qualcosa di maggiormente invitante. I genovesi rimasero incuriositi da quella casuale scoperta e una volta rientrati in patria decisero di affinare la ricetta, provando a cuocerla sulla legna. Grazie alla bramosia dimostrata dai fortunati commensali per ottenere un ulteriore boccone capirono immediatamente di aver fatto una scoperta; ribattezzandola per scherno verso i rivali “oro pisano”.
Il secondo mito, apparentemente più credibile narra di una carestia. Guglielmo di Pegli, Console dei genovesi nel 1277, quando tornò nella sua terra dopo un viaggio la trovò sprofondata nel dramma di una carestia. La fortuna volle che durante il suo viaggio di ritorno, la nave si scontrò con un battello saraceno, il quale venne sconfitto e saccheggiato, lasciando a Guglielmo dei generosi sacchi di provviste tra cui legumi e in particolare i ceci. Una volta rimpatriato decise di dare ai suoi concittadini le granaglie conquistate, provando a macinarle per ottenere del pane (prodotto lungamente conservabile), ma i ceci non offrivano una farina adatta alla panificazione e vennero quindi utilizzati nelle cotture e arricchiti con un'abbondante porzione di olio extravergine di oliva. Da questa cottura nacque la prima farinata. Il tondo tegame di rame utilizzato per la cottura chiamato “testo” deriva dall’arabo “teestoh”, ovvero scudo, poiché ricordava la forma degli scudi militari saraceni. L’origine di questa deliziosa ricetta è in realtà facilmente attribuibile ai due grandi imperi: Greco e Romano, i quali per tradizione erano soliti utilizzare farine diverse dal grano per la creazione di “piadine” facilmente trasportabili e che fornissero energia sufficiente durante gli spostamenti.
Ad oggi la sua diffusione è dovuta a territori prevalentemente agricoli come Liguria, Toscana, Piemonte e Sardegna; le cui tradizioni gastronomiche sono sempre ruotate intorno a ricette ottenute dalla trasformazione di ingredienti poveri, di facile utilizzo e stoccaggio. Queste regioni condividono la produzione di un alimento essenziale per la realizzazione di questo piatto, che lo rende strettamente legato al clima mediterraneo: l’olio d’oliva. È proprio grazie all’olio che la farinata rimane protagonista delle regioni poste in prossimità di un clima mite e caratterizzata dalla sua inconfondibile fragranza; conosciuta da molti anche grazie alla sua assenza di glutine (argomento molto discusso per il continuo crescere di persone celiache).
La farinata, oro ligure che occupa giornalmente le tavole delle nostre case è un piatto semplice e ricco, la cui superficiale croccantezza nasconde e protegge un cuore caldo e cremoso; il gusto vanta diverse variazioni a seconda della zona in cui si trova: rosmarino, cipollina bianca, salsiccia, tonno o liscia. Io la preferisco semplice, con una timida tritata di pepe nero, il cui aroma non nasconde le singole note dei ceci e dell’olio, ma ne risalta quello che è un vero e proprio abbraccio sensoriale che diventa più forte a ogni singolo morso. La farinata non può essere protagonista di un singolo morso, è un momento, è una pausa, è quello sfizio che desideriamo concederci in ufficio o facendo una passeggiata in collina e che non è in grado di limitarsi a un singolo, isolato istante.