"Robbie non è un abominevole macchina. È di gran lunga il miglior robot che ci sia sul mercato e, Cristo, mi costa la metà del reddito di un anno. Ma valeva la pena comprarlo. È molto, molto più in gamba di metà del personale del mio ufficio". Questo replicava George Weston alla moglie Grace che gli chiedeva di allontanare Robbie, parallelepipedo di metallo con gli occhi lucenti, dalla figlia Gloria. Era diventato il suo compagno di giochi preferito, al punto che la piccola non voleva più neanche incontrare i suoi coetanei. "Ma i robot non hanno un'anima e i bambini non sono fatti per essere accuditi da un affare di metallo" , spiegava la signora Weston a un marito recalcitrante.
Era il 1940 quando questa conversazione avveniva sotto un pergolato della campagna americana immaginato da Isaac Asimov per uno dei suoi primi racconti sui robot, in un mondo di fantascienza che un po' spaventava e un po' faceva sorridere. Quasi 80 anni dopo quel primo baby sitter metallico siamo nel cuore della Toscana, a Peccioli, nel laboratorio Casa Domotica dell'Istituto di Biorobotica della Scuola Superiore Sant'Anna. Lisa abbassa gli occhioni luminosi dentro uno screen metallico tutto blu e ci dice che sì, lei può davvero fare tante cose e le fa anche molto bene. Un po' più in là c'è Diago, volto ovale, busto leggero e tre ruote al posto dei piedi: si sposta velocemente, cerca di conoscere meglio l'ambiente che lo circonda per muoversi con maggiore agilità. Altri robot li guardano, aspettano il loro turno per dimostrare tutto ciò di cui sono capaci e tornare a casa con la coppa dei vincitori.
È la tappa italiana della gara europea dei robot domestici, una sfida tra ricercatori dei vari Paesi e i loro prototipi di ultimissima generazione, chiamati a cimentarsi in varie imprese, come quella di sapersi orientare all'interno di uno spazio, individuare gli oggetti, capire i comandi vocali impartiti dagli uomini ed eseguire gli ordini con precisione e puntualità. Sono i nipotini di Robbie, addestrati ad assisterci nelle nostre svariate attività quotidiane, sia a casa che in ufficio, nelle aziende o negli ospedali. "Lisa, per favore, mi porti gli occhiali?" E Lisa obbedisce al comando e prontamente consegna ciò che gli è stato chiesto. "Diago, potresti ricordarmi di telefonare a Mario alle 18,30 precise?" E state tranquilli che lui non se ne dimenticherà. Così come Bit-bots e tutti gli altri a cui è stato insegnato a diventare ottimi maggiordomi. E non basta. Se dovesse succedere di essere soli in casa e di cadere, sono pronti a chiamare i soccorsi senza che nessuno glielo abbia ordinato.
"Il loro funzionameno è basato sull'interazione naturale", spiega Luca Iocchi, docente del dipartimento di Ingegneria informatica, automatica e gestionale della Sapienza di Roma. "Prima di guidare un'auto dobbiamo andare a scuola guida e poi c'è bisogno di premere alcuni pulsanti o pedali per metterla in movimento. Per 'guidare' questi robot non è invece necessario alcun insegnamento. Loro interagiscono con le persone proprio come se fossero persone essi stessi. Basta chiamarli e loro arrivano, basta chiedere e loro eseguono, fin dal primo momento, senza interruttori da accendere o cose da sapere. Il nostro obiettivo è proprio quello di renderli capaci di capire cosa sta succedendo e di fare la scelta giusta".
L'obiettivo in realtà è già centrato: ora si tratta di costruire prototipi sempre più perfetti, in grado di non sbagliare mai, quindi più bravi, molto più bravi dell'uomo. Per questo il Gran Premio dei robot di servizio organizzato dalla European League Service Robot, mette a confronto i risultati della ricerca raggiunti nei vari laboratori universitari. Lo scorso anno le sfide sono avvenute in Portogallo e in Germania. Dal 30 gennaio al 3 febbraio 2017 erano a Peccioli, in provincia di Pisa, ospiti della Scuola Sant'Anna, che da anni è all'avanguardia nella ricerca robotica. Nelle prossime settimane nuovi tornei sono previsti in Inghilterra e in Spagna. Poi la premiazione durante l'European Robotic Forum a Edimburgo.
Cosa si vince? Prestigio internazionale e la consapevolezza di essere vicini al traguardo, quello che Asimov aveva previsto già 80 anni fa, e cioè la presenza di robot - verrebbe quasi da dire in carne e ossa - nella vita di tutti i giorni di ciascuno di noi. Alla tappa pisana del torneo hanno partecipato il team congiunto italiano-inglese di studenti dell'Università La Sapienza e della Lincoln University; il gruppo tedesco dell'Università di Koblenz; un secondo gruppo proveniente dalla Germania, della Bonn-Rhein-Sieg University of Applied Sciences.
Lisa, nata nell'Università di Koblenz, e Diago, frutto della collaborazione tra Italia e Inghilterra, hanno vinto ex equo l'edizione italiana del "talent" europeo, la prima perché è stata la più brava a muoversi nello spazio a lei affidato, il secondo perché è stato più pronto a riconoscere gli ordini vocali impartiti. E ora si andrà ancora avanti, si elimineranno i difetti e si uniranno i pregi, fino ad arrivare a robot programmati per essere completamente a loro agio in qualsiasi situazione. "In realtà tecnicamente siamo già pronti a realizzare applicazioni per la vita quotidiana", sottolinea il professor Iocchi, "ma ci sono problemi legislativi ed economici da superare. Manca il consenso della politica oltre all'investimento industriale perché i nostri prototipi fatti artigianalmente possano diventare un prodotto di massa. Difficile fare previsioni. Se politica e industria si alleano i primi robot di massa possono essere disponibili in pochi anni. Altrimenti aspetteremo anche 10 o 20 anni. O forse non li vedremo mai".
I detrattori della robotica individuano in questi quasi-uomini un pericolo sociale che potrebbe portare anche alla perdita di posti di lavoro. "Certo, è facile immaginare che alcuni impieghi potrebbero scomparire, ma al loro posto ne nascerebbero altri molto più importanti", è la replica. "Per avere questi robot ci vuole chi li costruisce, cioè materiale e competenze umane. Non dimentichiamoci che tra 20 anni molti lavori odierni non ci saranno comunque più e dobbiamo essere pronti alla sfida".
Resta, però, il problema etico. Cosa succede se il robot, condensando le intelligenze di tante persone, diventa più intelligente di tutti noi e anche di chi lo addestra? Iocchi non ha dubbi: "Se parliamo di svolgere meglio un determinato compito, non c'è dubbio che le macchine siano migliori dell'uomo. Prendiamo i robot che giocano a scacchi: loro sono ben più bravi degli umani. Però sanno giocare soltanto a scacchi. La creatività è ancora lontana... Comunque i robot non sono cattivi e non costituiscono una minaccia per l'umanità. A noi interessa che aiutino le persone, non certo che si comportino contro la volontà degli uomini".
Come non pensare alla prima legge di Asimov? "Un robot non può recar danno a un essere umano né può permettere che, a causa del proprio mancato intervento, un essere umano riceva danno", recita. Ma ora che Robbie è diventato realtà e siamo entrati nell'era della post-fantascienza, l'umanità sembra guardare al futuro nel tentativo di riprendersi tutti i suoi spazi, anche quelli dell'imperfezione. The Humans è stato il libro scelto dalla Kingston University di Londra nel 2016 per accogliere i suoi allievi e incoraggiarli alla lettura, creando un argomento comune. Chi sono gli umani? Matt Haig, l'autore, li descrive così: "Un umano è un essere bipede di media intelligenza che vive un'esistenza ampiamente deludente su un piccolo pianeta pieno d'acqua situato in un angolo molto remoto dell'universo". Non solo. Gli uomini sono anche coloro "che fanno cose per essere felici, ma che in realtà poi li rendono infelici". La lista è infinita e include, elenca Haig, "fare shopping, guardare la Tv, trovare un lavoro migliore, cercare una casa più grande, scrivere un romanzo semi-autobiografico, cercare di far apparire la pelle un po' meno vecchia e covare un vago desiderio di credere che tutto ciò abbia un significato".
Eppure proprio a questi strani esseri lui affida il riscatto dei ben più intelligenti e potenti abitanti di un pianeta lontano. Le parti si sono invertite. Non più il metallico Robbie che salva la piccola Gloria, ma una famiglia imperfetta fino al disastro che salva il perfetto e intelligentissimo automa dalle doti sovrannaturali e impensabili. Rinuncerà persino all'immortalità, in cambio della poesia, della letteratura e dei sentimenti. Spiega Haig: "Ho tentato uno sguardo nella strana e spesso spaventosa bellezza dell'essere umano".
Nessuno dunque, abbia paura dei robot.