Caro Roberto,

visto che sulla tua pagina facebook inviti a esprimere opinioni sulle dimissioni del Papa, vorrei parlarti con il cuore. Sono originario di Parete (Ce), quel paesino che ho visto citato nel tuo Gomorra, per la prima volta in un contributo di rilievo internazionale. Mi sono mantenuto agli studi facendo per dieci anni l'infermiere nell'Ospedale Psichiatrico S. Maria Maddalena di Aversa, dove, durante le battaglie per la legge Basaglia, in una conferenza con gli infermieri, nell'aula consiliare del Comune di Aversa, ho rischiato un’aggressione da parte di colleghi e personale avversi alla riforma. L'ho scampata grazie al soccorso dei compagni della Cgil. Dopo quell’esperienza traumatica, decisi che dovevo andarmene da quella terra. Mi trasferii a Roma e, fortunosamente, lavorai alla II rete radiofonica della Rai con Corrado Guerzoni (il segretario di Moro che affermò pubblicamente che Moro era stato minacciato da Kissinger). Durante quel periodo affrontai i concorsi a cattedra nei licei della scuola pubblica. Volevo passare dalla riabilitazione della mente mutilata e violentata alla prevenzione e alla formazione della mente e della personalità. Vinsi il concorso, con una scelta tra Viterbo e Frosinone. Scelsi la prima, perché comunque era a nord di Roma. Mi ci trasferii, trovando appagamento in una ricchezza culturale, artistica, storica e paesaggistica straordinaria.

In occasione della visita del Papa a Viterbo e Bagnoregio il 6 settembre 2009, promossa da me in qualità di presidente della Sfi/Vt - grazie alle indicazioni di un nostro socio della provincia di Viterbo, un prelato latinista della Santa Sede, promozione poi passata ovviamente alla gestione della diocesi locale - , ho potuto osservare una serie di indizi, prima, durante e dopo la visita, che mi hanno aiutato a comprendere alcuni elementi cruciali che potrebbero illuminare le motivazioni profonde delle attuali dimissioni. Alcuni sintomi li avevo già intuiti nell’intervento che, per il tramite di Paolo Pelliccia, attuale Commissario del Consorzio Biblioteche di Viterbo, Il Nuovo Corriere di Viterbo pubblicò parzialmente in prima pagina, lo stesso giorno della visita.

Come è largamente noto, Ratzinger è il massimo esperto del pensiero di Bonaventura da Bagnoregio, il grande generale dei francescani che, come in parte ha socializzato Umberto Eco ne Il nome della rosa, stavano per essere dichiarati eretici perché partecipavano a quelle lotte che, a tutti gli effetti, si possono inquadrare come prodromi dei movimenti per la giustizia sociale. Era questo il motivo per il quale la Sfi/Vt poteva avere valide motivazioni per la visita, da Papa, del massimo studioso di un pensatore nato in terra di Tuscia. Anche nel quadro generale di quell’attività di valorizzazione del patrimonio di pensiero di grandi Autori, nati in terra di Tuscia, come mediazione alla cittadinanza del territorio. Prima di Bonaventura c’era stato Musonio Rufo da Bolsena, il maestro di Epitteto, nell’età di Nerone, che i suoi contemporanei definivano come “il Socrate Etrusco”. Dopo Bonaventura, nell’età dell’Umanesimo e del Rinascimento, c’era stato Egidio da Viterbo, grandissimo platonico, che si ispirava al platonismo di Bonaventura ed esponente della Filosofia Ermetica. Amico di Ficino e di Pontano, secondo diversi studiosi, vero ispiratore de La Scuola di Atene (in quelle stanze dove è riportato anche il miracolo di Bolsena) e addirittura della Cappella Sistina. Egidio, soprattutto con il vibrante discorso riformista al Concilio Vaticano V, preparò il terreno a un pensiero riformista interno alla chiesa, che vide successivamente costituire la Scuola Viterbese degli Spirituali, con Vittoria Colonna, la più grande poetessa dell’epoca, il cardinale Reginald Poole e lo stesso Michelangelo.

Nel giugno del 2009, nell’annuale seminario bonaventuriano che si tiene a Bagnoregio tra gli esperti italiani ed europei, l’allora vescovo di Viterbo che, per statuto del seminario, ha diritto alla prolusione introduttiva, mise su tutta una tiritera sul fatto che Bonaventura, non a caso, era stato fatto santo quattro secoli dopo Tommaso d’Aquino, e altri argomenti simili. Rimasi fortemente impressionato dalle espressioni di tristezza, di sconforto e dai visi lunghi dei diversi studiosi e padri francescani presenti. Inoltre, durante la preparazione della visita, il Comitato per la promozione, gestito dal vescovo, era un contenitore vuoto. Nemmeno le associazioni cattoliche o degli ordini religiosi vi facevano parte. Offerte di collaborazione, venivano puntualmente declinate. Al momento della visita, molti osservatori furono colpiti dal fatto che, il passaggio del corteo papale non trovava quelle ali di folla assiepata che aveva visto una precedente visita del precedente Papa. Folla che aveva lasciato traccia indelebile nella cittadinanza. Ma la cosa più eclatante, ai miei occhi, come a quelli di molti altri, fu la visita e l’udienza pubblica a Bagnoregio. Mi aspettavo folle oceaniche di francescani accorsi da tutto il mondo. Soprattutto, la gioia e la spensieratezza dei giovani francescani che avevo osservato anni prima ad Assisi e a S. Maria degli Angeli. Nulla di tutto ciò: c’erano solo i tre responsabili dei tre Ordini Francescani.

I precedenti indizi si sono gradualmente connessi ad altri, come, ad esempio, la visita del Papa a Napoli a Piazza Plebiscito. Dove lessi l'ambiguo saluto del cardinale "A Maronna t'accumpagna", non come innocua espressione popolare, che pur poteva essere, ma, proprio perché nel folklore napoletano quell'espressione densa di ambiguità può essere letta in tanti modi, a seconda del contesto, la lessi alla luce di quello che era accaduto durante il discorso. C'era vento, il Papa aveva la raucedine. Durante la lettura del discorso, dovette interrompere diverse volte per una tosse fastidiosa. Per tutta la durata del discorso, nessuno gli portò un bicchiere d'acqua. La carità di un gesto così semplice, si era di colpo dileguata nei confronti del massimo rappresentante di quel movimento che la mette a fondamento del suo credo! Questi indizi, dunque, hanno interagito, nella mia mente, con le riflessioni teorico-filosofiche come una sorta di combinazioni chimiche, determinando le seguenti conclusioni. Come ho argomentato nel citato articolo su Il Nuovo Corriere Viterbese, le parole-chiave - a loro volta tracce e indizi - sono: riabilitazione del gioachimismo; filosofia della storia; teologia della liberazione; solitudine che il Papa denunciò, nel marzo di quello stesso 2009, in una lettera ai vescovi.

Veniamo al cuore della questione. Questo Papa ha proposto alla Chiesa cattolica il passaggio (pasqua) del paradigma teologico-filosofico su cui si fonda attualmente tutta la dottrina, l’agire e la visione che la Chiesa stessa ha della realtà e del cosmo. E questo paradigma è quello tomista che fu sancito dalla Controriforma, quando il Concilio di Trento pose sull'altare del duomo, la Summa Theologiae di Tommaso d'Aquino. E, cosa ancora più scottante, il tomismo è stato confermato ed espressamente ribadito, come fondamento dell'Ecclesiae, dal suo predecessore Giovanni Paolo II. Ratzinger ne ha proposto il passaggio al neo-platonismo di Bonaventura da Bagnoregio, che permette di decodificare più agevolmente la divinità della natura, della donna e della materia. Sì! Della materia, intesa non più come eterno e irriducibile nemico dello spirito, ma come l’altra faccia della medaglia. Con lo stesso statuto divino che vi attribuisce Platone nel Timeo, quando presenta il suo Dio, il Demiurgo, che trova già presente la materia a cui conferire la forma, gli archetipi.

Questa innovazione del paradigma, in quanto ritorno ai fondamenti teologici e spirituali, doveva costituire il nucleo fondante di un vero rinnovamento della Chiesa, dei suoi comportamenti e del suo ri-orientamento rispetto al mondo. E’ stato rifiutato dai poteri forti interni alla Chiesa: i cardinali affaristi dello Ior e la Cei, in quanto vero centro di potere politico. Ratzinger si è dimesso per consegnare ai segni dei tempi, oggetto dell’Aion (il rivolgimento d'epoca del grande anno platonico) e della filosofia della storia, la necessità improrogabile per la Chiesa di emendarsi. Perché essa sta implodendo. Il dibattito che è stato sollevato da questa notizia clamorosa ha totalmente rimosso la data scelta per la comunicazione delle dimissioni: l'11 febbraio, anniversario dei Patti Lateranensi. Vogliamo dedurne che questo Papa non abbia indicato le connessioni con il significato storico e simbolico di questa data? … Dio confonde chi vuole perdere. E resto stupito dalle "dotte" argomentazioni di un Massimo Cacciari, sul fatto che non esistano relazioni tra queste dimissioni e quelle di Celestino V. I Patti Lateranensi, oltre a rappresentare, per i veri laici, la tomba del Risorgimento, sono anche una riedizione moderna della Donazione di Costantino. E’ il patto con il Mammona del Vangelo di Marco. Per non parlare del grido di Benedetto Croce, che, all’indomani dell’approvazione della Costituzione, ne indicava la mutilazione proprio nell’aver inserito quei Patti nella Magna Charta Italiana.

Caro Roberto, vorrei parlarti di tante cose, come a un vecchio amico che non si vede da anni. Ma come eterno allievo dei miei Maggiori, devo dire, con Adso da Melk, che forse mi sono incontrato con idee più grandi di quelle che la mia equazione personale mi consente di affrontare.
Un abbraccio.

Pasquale Picone
Presidente della SFI/VT - Società Filosofica Italiana sezione di Viterbo, psicoanalista junghiano, Preside dei Licei Statali di Ronciglione e Bassano Romano (VT)