Nel 1962 Giuriati fu nominato Ministro Plenipotenziario per la delimitazione del confine nord-orientale tra l'Italia e la Jugoslavia. Ricoprì l’incarico sino al 1976 e parte consistente della sua missione la svolse vivendo a Tor Lupara di Fonte Nuova: molti documenti ne portano il toponimo, seguito dalla data di redazione. Si dimise il 12 settembre 1976 quando fu messo di fronte al fatto compiuto dell'infame accordo siglato ad Osimo, grazie al lavoro di un paio di compiacenti «non addetti ai lavori», ma ligi al potere politico, tali Eugenio Carbone e Ottone Mattei (il cui vero nome è Mateicic, al tempo in possesso non da molti anni del passaporto italiano!).
Il “trattato di Osimo” fu ostacolato in ogni modo dagli italiani della Venezia Giulia e della Dalmazia; Paolo Barbi, senatore della Repubblica italiana, presidente dell’Associazione Nazionale Venezia Giulia e Dalmazia, nell’ultimo disperato tentativo di contrastarne l’approvazione, pronunziò un accorato e accurato discorso nell’aula del Senato il 23 febbraio 1977. Barbi portava all’alto Consesso politico la voce degli esuli, approvata all’unanimità - sotto la veste di “documento” - in un Consiglio Nazionale, nel quale fra l’altro si diceva:
Il Consiglio Nazionale esprime tutta l'indignazione degli esuli istriani, fiumani e dalmati per una trattativa che prima è stata tenuta nascosta e ripetutamente smentita agli stessi rappresentanti parlamentari; poi è stata condotta in porto frettolosamente, con prospettive e preoccupazioni prevalentemente economicistiche, senza alcuna sensibilità per i valori spirituali, morali e politici. Eppure si incideva nelle carni e nell'anima di popolazioni che hanno sempre dimostrato, nel passato remoto come in quello recente, di saper anteporre appunto i valori agli interessi, la fedeltà civile e patriottica ai vantaggi e alle comodità materiali.
Sia la protesta dei giuliano-dalmati che il discorso pronunciato al Senato furono pubblicati in opuscolo con il titolo La rinuncia di Osimo: un estremo intervento per l’Istria e Trieste [1]. All’atto delle dimissioni dall’incarico Giuriati rilasciò dichiarazioni gravissime. Eccone il testo [2]:
È bene si sappia che nessuno dei negoziatori italiani dell'accordo di Osimo ha mai messo piede lungo i 160 chilometri del confine italo-jugoslavo da Monte Forno a Dosso Giulio. Lo stesso può dirsi per la parte della Zona B, da Dosso Giulio alla foce del fiume Quieto. In questo modo le delegazioni diplomatiche da me presiedute sono state volutamente ignorate ed escluse da qualsiasi consultazione nel corso delle trattative. E ciò, si noti, «in aperta violazione con le prerogative conferitemi dal Capo dello Stato».
L'ignoranza degli onorevoli Rumor e Moro circa i termini del Trattato di Pace da me fatta rilevare per iscritto al dicastero competente, è stata confermata più tardi dalle loro stesse dichiarazioni rese alla Camera, l’1, il 2 e il 3 ottobre dello scorso anno. Tali dichiarazioni contrastano con le clausole contenute nel Trattato imposto all'Italia. Debbo dedurre che Rumor e Moro avessero uno scopo: ottenere comunque dal Parlamento l'autorizzazione per la firma dell'accordo di Osimo. L'on. Rumor - consenziente Moro - ha dichiarato in quella occasione, come del resto risulta dagli atti parlamentari, che «si porrà così fine allo stato di incertezza giuridica lungo la frontiera italo-jugoslava da Monte Forno a Dosso Giulio. In tale ambito ritornerà all'Italia la vetta del Monte Sabotino che era stata assegnata alla Jugoslavia a seguito del Trattato di Pace».
Orbene, Rumor e Moro ignorano che la vetta del Sabotino era stata consegnata sin dal 1947 alla nostra Delegazione confinaria dagli Alleati e che essa fu fatta presidiare, giorno e notte, da un posto di guardia italiano — e lo è tutt'ora — per evitare colpi di mano degli slavi.
Il contenzioso delle sacche arbitrariamente occupate dagli jugoslavi riguarda circa 610 ettari di territorio italiano. Per quanto mi consta, l'accordo di Osimo non prevede soluzioni eque e concilianti da parte jugoslava; specie in quei settori dove l'arbitrio jugoslavo è provato dal fatto incontrovertibile del confine definitivo, fissato dal Trattato di Pace e concordemente accettato da italiani e jugoslavi, ma subito violato da questi ultimi per acquisire posizioni di loro gradimento in territorio indiscutibilmente italiano. Per quanto riguarda poi i 535 chilometri quadrati della Zona B, l'arbitrio dei negoziati è ancora più evidente, in quanto l'accordo di Osimo non prevede alcun risarcimento ai proprietari dei terreni, da sempre italiani, che la Jugoslavia rivendica con spregiudicata arroganza senza titolo alcuno.
A mio parere è indubbio che sul piano del diritto l'accordo di Osimo non rispetta affatto il principio di autodecisione, sancito dall'ONU ed accettato solo in teoria dalla Jugoslavia; di conseguenza ritengo imperativo non ratificare l'accordo, i cui termini contrastano non solo con gli interessi dei singoli cittadini, ma violano i principi fondamentali della nostra Carta costituzionale.
Non vorrei polemizzare né azzardare ipotesi, ma confermo il mio dubbio sulla nostra spina dorsale. Nel 1974, quando, in spregio al Trattato di Pace ed al Memorandum di Londra, la Jugoslavia sostituì ai valichi della Zona B i cartelli della linea di demarcazione con quelli di frontiera di Stato, il ministero degli Affari Esteri non ebbe esitazioni e presentò al governo di Belgrado una ferma protesta verbale. È vero che la risposta jugoslava assunse allora toni minacciosi, ma è anche vero che in un primo tempo il nostro Governo mantenne ferma la protesta avvalendosi dei diritti sanciti dal Trattato di Pace; poi, come si sa, abbiamo finito con l'incassare...
*È chiaro che ad Osimo la diplomazia non ha avuto nessuna parte e comunque non ha potuto esercitare il ruolo che le competeva. Si è agito senza cognizione di causa, con troppa «prudenza»; direi peggio, con colpevole arrendevolezza, legittimando così l'arbitraria occupazione di un territorio soggetto alla sovranità italiana e tale in virtù di un Trattato di Pace sanzionato e reso operante da ben 21 Nazioni firmatarie.
Di fronte ad una così aperta e palese violazione di quelli che sono i principi che da sempre regolano i rapporti diplomatici, ritengo doveroso manifestare il mio più fermo e netto dissenso.
L’arrendevolezza italiana, della quale ha parlato il ministro Giuriati, non si trasformò neppure in un indignato belato finanche quando giunsero i primi documenti delle efferatezze che si compivano contro gli italiani nei territori passati sotto dominazione jugoslava: di tali efferatezze ne riporto un brano dal “documento riservato” che il Ministro plenipotenziario inviò al Ministero Affari Esteri [3] nel quale forniva una panoramica di quanto accadeva sotto i suoi occhi esterrefatti.
Fatti così barbari non riuscirono a provocare alcun urlo di indignazione in Italia, celati come furono dalle autorità italiane e glissate dalla “libera” stampa della “democrazia italiana e cristiana”: delle foibe e delle sevizie non si sentì parlare per quarant’anni, sin quando il P.C.I. – forte del sostegno dell’URSS - fece paura: vi furono poi personaggi di questo partito riverniciato a nuovo, assurti agli onori delle alte cariche dell’Italia repubblicana, che addirittura ne avevano messa in dubbio la veridicità.
Il Ministro plenipotenziario Giuriati si dimise: il presidente della Repubblica Gronchi che gli aveva dato l’incarico non c’era più; i giuliano-dalmati che non fuggirono in tempo furono “suicidati” e infoibati spesso ancora vivi ma preliminarmente “acciecati”; Moro fu “suicidato” da tanti; Rumor smise di fare rumore … Le tresche democristiane continuarono invariate e pure quelle delle altre forze politiche che per un altro ventennio, tra destra, sinistra e centro, si passarono il testimone. Molti anni dopo giunse il giorno,16 novembre 2011, nel quale la nazione si è trovata e lo è stata ancora sino al gennaio 2013 - in braccio ai “tecnici miliardari” chiamati a mettere ordine… Un ordine che ha portato finanche alla impossibilità di eleggere il nuovo Presidente della Repubblica sì da costringere Giorgio Napolitano a restare sulla scranna con le conseguenze che viviamo ancora. Vi è davvero un gran vociare:
Ma chi vi credete di essere? Come vi permettere di volere fare le riforme che noi, mestieranti della politica e del sindacalismo, riusciamo a non fare da sessant’anni? Come pensate di volere che siano rispettati gli articoli 39, 40 e 81 della Costituzione italiana che ormai noi non rispettiamo (e non rispettarli ci ha fato tanto comodo!) dal momento stesso della loro emanazione? Come credete che vi possiamo permettere di mettere le mani nelle tasche dei politici, della trimurti sindacale e dei loro “patronati”, dei magistrati e soprattutto di dire male dei poveri banchieri? Ma come pensate che vi possiamo permettere di diminuire il numero dei deputati, dei senatori, addirittura di cancellare le belle province, ecc.?
Ma dai! La nostra proprio per questo è una bella nazione! Cantò Sergio Endrigo: Io sono nato in un dolce paese / dove chi sbaglia non paga le spese, / dove chi grida più forte ha ragione / …tanto c’è il sole e c’è il mare blu [4].
[1] Arti grafiche italiane, Roma 1977.
[2] Camillo Giuriati, Il vergognoso baratto di Osimo, “La Torre”, n. 85, maggio 1977, p.16.
[3] Italia, Jugoslavia, Urss, Usa, 20 marzo 1973.
[4] Salvatore G. Vicario, Ciarle di un vecchio medico curioso, Editrice Agemina, Firenze 2013, pp. 111-118.