Intanto da tre diversi punti del tavolo si alzarono quasi all'unisono tre personaggi, un uomo e due donne che evidentemente si erano accordati per aumentare l'effetto del loro ingresso.
L'uomo, per primo, prese il bicchiere che gli stava davanti, lo sollevò e disse: "Non dimentichiamo che, se si beve con moderazione e il vino si alleggerisce mescolandolo all'acqua nei grandi crateri, si allentano i freni della mente quel tanto che basta per avvicinarsi più facilmente alla verità del cuore e il vino diventa allora ottimo farmaco per alleviare il dolore del vivere. Facciamo dunque versare anche vino nei nostri calici e beviamo insieme secondo le antiche regole del SIMPOSIO che io voglio qui celebrare ricordando i versi di un grande poeta lirico: Il vino è il mezzo per guardare dentro l'uomo".
Mentre si provvedeva a riempire i calici secondo il desiderio dell'ospite, le due donne intervennero l'una dopo l'altra: "Se esiste un piacere che nasce dalla gioia e dalla soddisfazione è pur vero che ne esiste anche uno che nasce dalle lacrime che scendono dai nostri occhi senza che la ragione possa trattenerle; è un piacere liberatorio che i Greci ben conoscevano e al quale avevano dato il bellissimo nome di CATARSI, la purificazione che avviene in noi attraverso il pianto che lava la mente come l'acqua fa con il corpo".
" È quello che abbiamo provato anche ora" - aggiunse l'altra donna - "Nella nostra anima c'è una parte che ha sempre sete di pianto ed è proprio la simpatia per le persone che amiamo quella che ci spinge alla commozione che ci accomuna e ci rende partecipi dei sentimenti e delle emozioni altrui. Accogliamo dunque l'invito a non dimenticare il SIMPOSIO e beviamo tutti insieme alla SIMPATIA".
"Sarò io ad accoglierlo per primo" - disse un elegante signore barbuto alzandosi in piedi - "Al POETA spetta il compito di creare le parole capaci di esprimere l'intensità delle emozioni". Sollevando il calice disse: "Nella tristezza non c'è medicina che valga quanto la parola d'un amico che sia degno della tua stima".
Gli altri convitati si unirono a quelli già in piedi e stavano per portare alle labbra le loro coppe ricolme, quando l'unico ospite che era rimasto seduto a causa dell'età molto avanzata richiamò su di sé l'attenzione: "Consentite alla VOCE che è l'unica forza che ancora mi resta di unirsi a quella del poeta per allargare il nostro brindisi, poiché anche l'attore ha il compito di usare le parole per far vibrare le corde comuni dell'emozione. Ricorderò dunque, citando un antico sofista, che la parola ha il potere di far cessare il timore, di togliere la tristezza, di generare la letizia, di accrescere la pietà".
La chiarezza e la sonorità con cui la voce usciva da quel corpo apparentemente privo di energia mossero la memoria dei presenti e molti, per un attimo, lo rividero dominare come un gigante la scena del teatro mentre il pubblico ascoltava rapito le parole che il grande mattatore faceva sfilare davanti ai suoi occhi come corpi da ammirare in tutta la loro bellezza.
Tutto pareva contribuire a creare un'atmosfera da melodramma e sembrò dunque assai assennata la decisione del padrone di casa di allentare la tensione invitando ad intervenire un originale personaggio che indossava una camicia di un rosso luminescente: si sarebbe detto pronto per esibirsi in uno spettacolo di prestidigitazione. Consegnando anche a lui il panno bianco come fosse il testimone di una staffetta gli disse: "Tu che sei specialista in ENIGMI proponici un indovinello altrimenti finiremo per farci prendere tutti dalla nostalgia".
L'invitato non si fece pregare, ma prima di porre il quesito ai presenti chiese, come è d'uso negli spettacoli di magia, di avere come assistente l'affascinante signora che sedeva di fronte a lui. Anche lei accettò volentieri e, alzandosi, mise in mostra le sue forme sinuose avvolte in un abito piuttosto appariscente, carico di paillettes e di lustrini che ben si armonizzava con la vistosa camicia del "giocoliere della parola". Era così bella che, quasi senza accorgersene, gli altri invitati si lasciarono andare ad un applauso convinto. "Avanti dunque" - disse lei - "mettete in moto la FANTASIA! Ecco a voi l'ENIGMA di questa sera". Il suo partner lo enunciò con consumata maestria:
Se tu mi guardi, ti guardo. Perché tu mi guardi con gli occhi
e io non posso? Gli occhi non li ho
Se tu lo vuoi, senza voce io ti parlo. La voce ce l'hai tu
Si schiudono invano le mie labbra.
Immediatamente si misero tutti a pensare alla soluzione come in una silenziosa gara di velocità per arrivare primi. Ma ecco che il convitato che occupava l'altro posto di capotavola, come richiamato da un segnale, balzò in piedi brandendo un orologio da taschino: "Signori miei, sono spiacente ma non posso darvi altro TEMPO! Dobbiamo andarcene o finiremo per ricrederci ancora una volta affascinati dai giochi di parola. Non intendo lasciare altro spazio alle digressioni: la decisione è stata presa. Preparatevi senza indugi!".
" È giusto" - disse Alvino Melodia - "Sarò io stesso ad accompagnarvi poiché voglio salutarvi ad uno ad uno e rassicurarvi ancora una volta che manterrò il segreto. Ma concedetemi un istante per ricordare il nostro EROE e rendere omaggio alla MEMORIA, e ancora uno per dire che le giuste ragioni della vostra estrema, irrevocabile decisione non riescono ad attenuare il mio struggente rimpianto: addio! E che il vostro viaggio possa condurvi al luogo che sognate!"
Fu dunque in quella sera di Aprile che le parole decisero di abbandonare il mondo degli uomini. Da principio furono in pochi ad accorgersi della loro partenza impegnati a correre senza sosta tra rumori e immagini traboccanti di segni. Fu una banale circostanza quella che condusse alla drammatica scoperta: accadde quando un inquilino del grande condominio Minerva non riuscì a chiedere alla moglie di passargli il telecomando durante una partita di calcio. Allora si cercò di dare l'allarme, ma non c'erano più parole per spiegarne le ragioni. A lungo suonarono le sirene ma la gente si guardava attorno ammutolita.
Il professor Melodia nella sala del suo palazzo ascoltava sorseggiando una coppa di quel vino che aveva bagnato l'ultimo incontro con le parole. Nella grande poltrona di fronte a lui stava seduta una bella donna dai capelli scuri in un lungo abito nel quale il rosso e il nero si mescolavano a formare una sorta di antico arabesco. Rivolgendosi a lei con voce lievemente commossa Alvino disse: "Ti sono grato, mia cara NOSTALGIA, per aver accettato, tu sola, di rimanere poiché senza di te nessun Ulisse avrebbe mai più potuto sperare di ritrovare la propria Itaca. Chissà, forse, un giorno".
A cura di Save the Words®