L'Everest costituisce un sogno per molti scalatori, una laurea magistrale in alpinismo. La montagna più alta di tutte. Tanti sono i pericoli a partire dalla scarsità d’ossigeno, il freddo o il tempo che può mutare al brutto in poco tempo, tanti sono i fattori che costringono alla rinuncia tre quarti degli scalatori. Nello stesso tempo costituisce una sfida, un modo per provare il limite di se stessi, in un confronto eterno tra uomo e natura, nella ambiziosa e presuntuosa determinazione di dominarla. A volte succede, molto spesso no. Nel caso di Enrico la forza della natura ha provato a dissuaderlo due volte ma la testardaggine umana non conosce ostacoli e così si dipana la storia di quest'uomo che ha voluto sfidare la grande montagna e se stesso.
La prima volta che Enrico tentò la scalata dell'Everest (8.848 mt) era il 2014 e si trovava ancora a Livorno quando lo chiamò l'organizzazione per dirgli che nonostante una valanga avesse travolto 18 tra i migliori sherpa, la spedizione continuava e di partire, ma quando si trovò a poche ore dal campo base le cose erano peggiorate, gli sherpa restanti non se la sentivano, e quindi tutti a casa.
Il secondo tentativo circa un anno fa, mentre era a Pheriche, un campo a quota 4.371, il tremendo terremoto che ha infierito sul Nepal travolse la stazione di acclimatazione dove si trovava la spedizione e Enrico si trovò prigioniero della montagna per giorni. Tra morti e devastazione che lasciarono un bollettino di guerra di oltre tremila morti, la sua fortuna più grande fu che non avesse ancora raggiunto il campo base, dove si staccò un costone di ghiaccio che lo spazzò via.
Ma eccoci al terzo tentativo, il 18 aprile saluta gli amici con una mail: “Mi dispiace per i nepalesi, ma anche quest'anno torno su a cercare di scalare quell'ammasso di sassi e fango che chiamano Everest, quest'anno, dovrebbe esserci un collegamento internet anche al campo base, quindi sarò più o meno sempre online con il mio cellulare, email, fb e i vari viber, whatsapp, messenger, skype e aggeggi simili. Vediamo un po' quest'anno che riesco a combinare! Un abbraccio!” e vola su Katmandu.
Durante le pause nei campi di stazionamento ci siamo sentiti e sono riuscita a intervistarlo, questo è quanto ci racconta.
A distanza di un anno dal terremoto che ha devastato il Nepal, tu riparti, perché?
Perché avevo decido di chiudere con le montagne (che odio di cuore) in bellezza e non riuscire senza nemmeno aver provato non è da me. Accetto il fallimento, ma solo per mia incapacità, non per il capriccio del fato.
Quando la vostra spedizione fu interrotta, tu dov’eri e cosa pensasti?
Ero in un paesino chiamato Pheriche, a un giorno di duro cammino dal campo base, investito da una valanga provocata dalla scossa. Pensai che se quel paesino era crollato, chissà cos'era successo in città ma un terremoto che ti fa perdere l'equilibrio mentre cammini in montagna, non faceva presagire niente di buono.
Quanto tempo dopo riuscisti a tornare e quale situazione lasciasti là?
Ci riuscii 8 giorni dopo la scossa, con la gente già intenta a ricostruire, soprattutto in montagna. In città aspettano l'aiuto del governo o degli stranieri, in montagna sanno che si devono aiutare da soli. E infatti in città poco è stato fatto, quassù è come se non fosse successo niente.
Che idea ti sei fatto dei nepalesi nei confronti dei viaggiatori in cerca di avventura?
Per loro siamo dei simpatici strani animali, qualcuno ama la sua nazione e quindi capisce chi vuole vederla ma la maggior parte non capisce proprio chi te lo faccia fare, e vorrebbe di cuore fare cambio: “tu resta qua a sfidare la natura con tutti i pericoli e disagi del caso, che io vado a farmi una passeggiatina sul lungomare e mi godo il tramonto”.
Come ti sei preparato a questo nuovo tentativo di raggiungere la vetta?
Fisicamente è facile, mentalmente è stata la parte più dura, avendo deciso di chiudere con le vette nel 2014.
Cosa hai con te per comunicare in caso di emergenza o di normale contatto con chi hai lasciato a casa?
Il contatto quotidiano è banale: igiene e riscaldamento sono ancora una illusione qui, ma internet è dovunque, anche al campo base. Ho comunque anche il satellitare, considera però che se succede qualcosa, serve solo a tranquillizzare chi è a casa, decide la montagna quando lasciarti andare via.
Il 24 maggio arriva un tweet dalla montagna, Enrico ce l'ha fatta e subito l'intervista lasciata in sospeso riprende. Congratulazioni Enrico, ce l'hai fatta! Quali sono state le difficoltà maggiori?
Mentali in primis e fisiche poi ma soprattutto è davvero pericoloso.
Dal campo base quanti step ci sono per arrivare sulla cima?
4 campi.
L'ultima tappa quanto è durata?
Campo 4 conquistato verso le 14 (eravamo partiti verso le 5 del mattino), ripartiti alle 20, arrivati in sicurezza al campo 2 il giorno dopo verso le 17. Considera che dal campo 2 al 3 sono altre 7 ore, che avevamo fatto il giorno prima. Quando si apre una "finestra" di bel tempo, è un massacro fisico e mentale o sei preparato e pronto, o non riesci.
Che sensazioni hai provato una volta raggiunta la meta, considerando che eri al terzo tentativo?
Diciamo che in questo caso ho avuto solo qualche secondo per gioire, talmente ero concentrato a tenere duro. All'andata per riuscire a scalare la vetta, al ritorno per cercare di tornare vivo e integro.
Come si svolge adesso il rientro?
Già fatto! Posto che la montagna non ti lascia andare via quando vuoi, l'importante è rientrare prima possibile, prima che il tempo cambi e non ti si abbatta una tempesta addosso. Dalla vetta al campo base solitamente sono due giorni di faticosa discesa.
Per il tuo corpo è stato uno stress sostenibile? Come ti eri preparato?
Quella è stata la parte migliore! Corsa, palestra e trx alla morte, ma soprattutto sono ingrassato apposta di 8 kg, sapendo cosa sarebbe successo ma non sono bastati, avendone persi 12.
La determinazione che hai messo nel raggiungimento di questo obiettivo è una costante nella tua vita?
Lo puoi ben dire! Ripeto, non è che se non riesco mi senta un fallito, ma ci metto tutto quello che ho per riuscire, senza darmi scuse in caso di imprevisti e difficoltà. Se mollo, è perché le ho provate davvero tutte, senza farcela.
Cosa hai in mente per la prossima avventura?
Faccio il mozzo a novembre per un amico nella traversata atlantica a vela sul suo Nashorn!
Un'ultima domanda. Enrico Cambini, classe 1965, oltre ad essere un appassionato di avventure, chi sei?
Importo materiale medicale specialistico da Giappone e Stati Uniti, ho una start up informatica, e sto diventando agricoltore per aprire una catena di fast food italiana in giro per il mondo. Adesso sono un uomo stanco come pochi, sono a Milano, appena rientrato, niente doccia non so più da quando.