Francesca Zajczyk è docente di sociologia urbana presso la Facoltà di Sociologia dell’Università di Milano – Bicocca. È coordinatrice del dottorato di Ricerca Interdisciplinare sulla Società dell'Informazione “Projects Quality of Life in the Information Society” (QUA_SI). Tra i temi delle sue ricerche le politiche temporali, i tempi della città e il fenomeno della mobilità, analizzati attraverso il centro interuniversitario (Bicocca – Politecnico) sui Tempi urbani. È delegata del sindaco per le pari opportunità.
Cosa vuole raccontarci di sé?
Mi sono sempre considerata una persona molto seria e impegnata. Ho seguito la politica fin dagli anni dell’adolescenza ritenendola uno spazio per “migliorare il mondo” e le condizioni di vita per tutti. L’attenzione alle pari opportunità è nata in età adulta, all’interno del mio lavoro di ricercatrice sociale, quando negli ultimi anni del secolo scorso sono stata chiamata a svolgere importanti ricerche sul ruolo delle donne. Un momento cruciale di questo percorso è rappresentato dalla realizzazione de La resistibile ascesa delle donne in Italia: un libro che amo molto, che considero attualissimo e per il quale ho condotto un’indagine sulle storie di vita di diverse donne di successo. Questo lavoro ha coinciso con un’importante fase della mia vita personale e i loro racconti sulla carriera, le relazioni di coppia, il rapporto con il mondo del lavoro, mi ha portato a confrontarmi con questi temi anche in termini di stereotipi di genere. Da lì ho continuato a interessarmi a questo tema tanto da tradurlo in impegno politico con l’attuale delega alle pari opportunità per il Comune di Milano. Come ordinaria di sociologia urbana e del territorio, invece, mi sono sempre occupata dei temi della povertà urbana e dell’esclusione sociale nel quadro delle trasformazione della città contemporanea.
La sua immagine esteriore come “personaggio” e il suo sentire come “persona”
Fino a una certa fase della mia vita le due immagini hanno corrisposto a quella di una persona lucida, razionale, efficiente, dotata di capacità organizzative e gestionali. Tuttavia, da un certo momento in poi, oltre a questi aspetti, si è sviluppata in me una parte più emotiva, sensibile alle diverse affettività e relazioni, private e pubbliche, che si vivono in una lunga vita. In generale, l’immagine che mi restituiscono i miei colleghi è quella di una persona che è riuscita a conciliare un modo di fare maschile rispetto all’operatività e una peculiarità femminile nelle modalità di stare in relazione con gli altri.
Si sente di raccontare il suo sogno?
L’età non mi aiuta a parlare di sogni, tuttavia posso esprimere il grande desiderio che donne e uomini trovino equilibrio nella relazione tra loro, sia all’interno del privato che pubblico. Se così fosse, il tema degli stereotipi culturali, delle imposizioni a un dover essere maschile e femminile sarebbe finalmente superato o ridotto.
Per lei il piacere è…
Ritengo che il piacere abbia una doppia valenza. Sul piano personale il piacere è un sentimento molto intimo che può riguardare anche aspetti semplici, che in alcuni momenti della vita ci riempiono completamente. Sul piano pubblico il piacere è il vedere realizzati i progetti in cui si è creduto, per cui si è lavorato e per il quale ci si è impegnati.
La donna oggi: liberazione o integrazione?
Entrambe. Liberazione dagli stereotipi di genere che sono ancora presenti e, come una profezia che si auto adempie, continuano a permeare i comportamenti degli uomini e delle donne di oggi. Integrazione nell’invito ad assumere su di sé quegli obiettivi che sono stati sempre appannaggio degli uomini e che la donna deve riconoscere come propri, in un percorso non solo fattibile, ma anche auspicabile.
Donna e/è potere… cosa ne pensa?
Le donne partono dal presupposto che il potere sia negativo perché lo intendono come potere sugli altri, nella modalità esercitata dagli uomini. Tipicamente femminile invece, è il “potere del fare”, come fattore propulsivo che deve essere perseguito e usato. Un corretto esercizio del potere, infatti, può aiutare a raggiungere e promuovere talenti e professionalità femminili in una logica di perfetta integrazione con le figure maschili.
Stereotipo e realtà della donna milanese
La realtà della donna milanese oggi è quella di una donna che vuole lavorare e affermare la propria autonomia economica e attraverso quella far valere la propria identità sociale. È una realtà, nonostante la crisi, piena di opportunità, ma certo ancora irta di ostacoli, in una città che non è pensata per le donne, tanto meno per le donne che lavorano con figli piccoli. Una città in cui lo stereotipo della donna-acrobata che deve saper fare tutto in modo eccellente continua a essere moto forte.
Il rapporto della donna con l’uomo contemporaneo: confronto o scontro?
Bisogna distinguere in base a una variabile generazionale. Se il rapporto della donna matura con l’uomo è vissuto ancora in termini di scontro, nelle generazioni più giovani e più istruite, possiamo iniziare a parlare di confronto, per quanto sia ancora complesso.
Stiamo, planetariamente, avviandoci verso un’urbanizzazione che coinvolge miliardi di persone: che senso e che futuro può avere oggi la città?
Dal momento che la città ha ormai attratto più del 50% della popolazione del pianeta, possiamo solo pensare a città più sostenibili, prima di tutto dal punto di vista ambientale e poi dal punto di vista istituzionale e sociale. È importante che le città, abitate da popolazioni eterogenee, ognuna con i propri bisogni, siano dotate di un’organizzazione capace di rispondere ai livelli decentrati del territorio, pur in un quadro strategico unitario.
Le megalopoli sono sempre più l’obiettivo delle grandi correnti migratorie attuali: quali i problemi e quali prospettive?
Innanzitutto occorre distinguere tra i migranti in transito e quelli che rimangono. Rispetto ai primi, l’esempio virtuoso del Comune di Milano nella gestione dei quasi 85.000 profughi passati dalla città negli ultimi due anni, ha dimostrato come un’emergenza può diventare l’occasione per testare la capacità di un territorio di attivare le proprie risorse e di essere resiliente. Rispetto ai migranti che si insediano c’è sicuramente il rischio che si verifichi un aumento della conflittualità tra questi e le popolazioni autoctone, con episodi di intolleranza e di violenza in un processo di ricerca di condizioni di vita migliori da parte dei migranti sempre più difficile. Affinché questa situazione non diventi terreno fertile, da una parte per il terrorismo, dall’altra per la politica della paura e della sicurezza, sono necessarie azioni politiche specifiche finalizzate all’integrazione.
Lei, sia come studiosa che come politica, si è spesa nella ricerca e nella definizione della vivibilità urbana…
Oggi vivibilità significa innanzitutto: accessibilità ai servizi, mobilità sostenibile per tutti e sicurezza degli spazi pubblici; tutti aspetti che vengono presi in considerazione nelle città europee che hanno adottato una strategia urbana di genere e in cui la prospettiva delle donne rappresenta il punto di partenza per una visione della realtà urbana più armonica e condivisa.
Milano ieri e oggi: come la “città da bere” di qualche decennio fa si è trasformata nella metropoli globale di oggi?
Si tratta di un processo che ha visto la città attraversare fasi anche difficili e complesse che ne hanno modificato il volto e il sentimento: basti pensare al periodo di “mani pulite” con una città ingrigita e impaurita, che ha vissuto ripiegata su se stessa. Tuttavia Milano è una città che non si è mai data per vinta e ha sempre sviluppato la propria capacità di fare anche nei periodi di bassa strategia e di incapacità della politica di adottare una visione di medio e lungo periodo. L’ultima amministrazione ha dato vita a un cambiamento radicale, promuovendo maggiormente la partecipazione dei cittadini e mettendo al centro il tema dei diritti. Contemporaneamente, la scadenza di Expo e la necessità di preparare la città in modo adeguato ad accogliere milioni di visitatori ha accelerato la realizzazione di opere pubbliche e ha promosso quel salto di qualità in una visione del territorio urbano che è andata oltre i singoli interventi, verso un’idea più coerente di città.
Ricopre la delega del sindaco per le “pari opportunità”: quali luci e quali ombre presenta la città in questo ambito?
Innanzitutto la delega è un incarico culturale e di sensibilizzazione e quindi ha una capacità limitata di incidere sulla città. Tuttavia, molto si è cercato di fare nel campo della regolamentazione pubblicitaria: è stata approvata una delibera di Giunta che esplicita le condizioni per cui un manifesto può essere considerato lesivo della dignità del corpo femminile.
Nuovi padri? è il titolo di un suo libro: esiste realmente un nuovo orientamento nella funzione paterna?
Esiste, anche se è una tendenza di nicchia riguardante le nuove generazioni di padri. Tuttavia, occorre dire che la grande città, la metropoli, è la realtà che più facilmente mette in mostra il cambiamento o i tentativi di cambiamento che i più giovani stanno adottando nel loro ruolo di genitori. Ovviamente è ancora molta la strada da fare: i nuovi padri si impegnano soprattutto nelle attività ludiche e meno in quelle routinarie. Per questo sono convinta che bisognerebbe introdurre un congedo obbligatorio per i padri di almeno quindici giorni sia nella direzione di favorire il loro ruolo sia in quella di aiutare le madri a delegare.
Dove si può riconoscere una Milano al femminile?
Sicuramente, a livello istituzionale, nell’attuale amministrazione, con una presenza di donne e di uomini al 50% nella giunta, ma anche nelle società partecipate del Comune che vedono un equilibrio di genere vicino al 40-50%. Una Milano al femminile la vediamo anche nelle strade e nei luoghi pubblici con una presenza di donne in tutte le ore del giorno e in parte della notte, libere di prendersi il proprio spazio e poi nei mondi della cultura tra teatri e musei, che vedono una forte frequentazione femminile, nonostante i tempi e gli orari della città non siano ancora favorevoli ai loro bisogni.