Johann Wolfang Goethe nel romanzo di formazione Gli anni di apprendistato di Wilhelm Meister personifica il desiderio e la nostalgia del Sud nella ragazzina di origini italiane Mignon che chiede innocentemente al suo interlocutore Wilhelm “Conosci tu il paese dove fioriscono i limoni?”.
A duecento anni dalla pubblicazione del Viaggio in Italia di Goethe ripercorro virtualmente quella riviera, dove il 28 settembre del 1786, a bordo di un burchiello, lo scrittore da Padova raggiunse Venezia. “La gita sul Brenta col burchiello pubblico e in compagnia assai per bene è simpatica e piacevole. Le rive sono adorne di giardini e di ville; piccoli paesi si allineano sulla sponda, lungo la quale corre talvolta la via maestra. Scendendo per il fiume col sistema delle cateratte, ogni tanto c’è una breve fermata, di cui si approfitta per dare una capatina a terra e per gustare delle frutta che vi offrono in quantità”.
In questo “piccolo mondo tutto animazione e fertilità” che l’autore descrive in un tessuto narrativo denso di principi etici ed estetici, riferiti anche al grande paesaggio italiano, trova posto il fascino e l’affezione per l’esotico, per il mito classico dell’Italia, soprattutto quello del Lago Maggiore e del Lago di Garda, di Venezia e della Sicilia. Luoghi dove trovare, oltre alla luce e al calore del sole, spettacoli di paesaggio naturale arricchiti dal patrimonio artistico e culturale italiano. Tra questi episodi di estrema bellezza italiana la Riviera del Brenta rappresenta meta privilegiata poiché porta di accesso via terra a Venezia, meta del Gran Tour.
La riviera è il frutto più fine dell’opera idraulica dei Veneziani che con la “diversione” del corso più violento del Brenta verso Chioggia, direttamente a mare, hanno fatto fluire lentamente il ramo “magro” verso Venezia, decretando la nascita del turismo in tutto quel territorio. La stabilità idraulica che scongiurò le famose ondate di piena del Brenta, in dialetto “brentane”, consentì una rivoluzione in un'area agricola, a vocazione orticola e cerealicola, con la nuova edificazione delle ville veneziane e dei loro giardini, luoghi ameni ove ritirarsi per feste, vacanze e diletto. Siamo nel XV secolo e il realismo veneziano delle più note famiglie patrizie porta linfa all’entroterra realizzando, accanto alle dimore per la villeggiatura, fattorie dotate di stalle e granai, le barchesse, in molti casi anche foresterie, ma soprattutto, le serre!
Gli agrumi, insieme a pochi altri generi botanici riconducono all’idea del paese lontano, del clima mite, della rarità da conservare e riprodurre per ricreare luoghi visti oltreoceano, ma in una dimensione più privata, godibile anche in momenti dell’anno caratterizzati dai rigori invernali, contribuendo a formare un universo di immagini eccitanti, di fantasie di viaggio.
La struttura del giardino che esprime il gusto per l’esotico è la serra, al di là della sua indubbia utilità e alla sua funzione propriamente collegata all’etimologia. Il termine “serra” deriva appunto dal latino serrare cioè riporre, mettere al riparo e indica un luogo chiuso. Dalla metà del XVII secolo identifica una costruzione scaldata artificialmente, dove vengono collocate le piante al riparo dall’inverno, dove si riproducono nuovi esemplari e trova posto la vegetazione esotica e tropicale. Di queste strutture si ha memoria già nel trattato dell’architetto vicentino Vincenzo Scamozzi (1548-1616), pubblicato a Venezia nel 1615, La idea dell'architettura universale, dove nel capitolo su I giardini, le cedrare, e loro forma l’autore si sofferma su alcuni proprietari collezionisti-produttori di limoni e agrumi in generale citando anche i luoghi in cui le serre sono più diffuse: “a Strà, & al Dolo, & alla Mira de’ Carissimi Signori Bernardi e Contarini e Mocenighi e Barozzi”.
Ma più che di collezionismo si deve parlare di interesse per gli agrumi dovuto ai poteri medicamentosi, alla produzione dei frutti da cui i proprietari ne ricavavano i proventi per la manutenzione del giardino e poi in ultima analisi per il loro aspetto gradevole, quindi anche per il valore ornamentale soprattutto nei periodi estivi, posti in decorativi vasi di cotto, e per il profumo dei fiori, le zagare. L’incremento della loro produzione è incentivata in questa zona dalla facilità di coltivazione per le particolari condizioni climatiche.
Inizialmente si parla di cedrare (o cedraie) strutture in legno rimovibili che andavano a coprire in inverno le spalliere di agrumi ad arco, a mezzo arco e a doppio arco come Villa Pisani a Strà, Villa Grimani a Dolo, Villa Recanati Zucconi e Villa degli Armeni a Fiesso D’Artico, Villa Pisani detta la “Barbariga”, realizzate sui muri esposti a sud. E poi “conserve” in quanto conservavano i vasi in strutture stabili in legno e vetro, riscaldate a volte con bracieri nei periodi freddi. Questi manufatti sono pressoché scomparsi con la riduzione delle coltivazioni fin dai primi dell’Ottocento, come del resto avviene per le conserve che diventano serre stabili per il ricovero, Villa Grimani a Dolo, di piante diverse, e più recentemente, da fine Settecento, di piante esotiche provenienti da tutto il mondo. Di quelle rimaste ricordiamo di interesse una di ridotte dimensioni a Mira a Villa Foscari alla Malcontenta, a Villa Recanati Zucconi e villa Contarini di San Basegio a Fiesso.
Ma soffermandoci su Villa Pisani a Strà, si può dire che costituì un riferimento per la collezione di piante non solo per la riviera del Brenta, ma per l’intero areale del nord della penisola italiana fin dai tempi della sua creazione. Molti infatti i documenti che riportano le innumerevoli spese sostenute proprio per l’acquisto di piante e per la loro collocazione in edifici più o meno stabili del giardino. Uno di questi è considerato il primo documento scritto che si riferisce al giardino: il testamento di Almorò Pisani, che scriveva il 16 aprile 1728: “Mi rincresce di non havere una più pingue facoltà da lasciare ai miei eredi, perché… anche a Strà sono più anni, che vado facendo considerabili dispendij di Fabbriche statue et altro; come si può vedere […]. Mi è pur riuscito di sommo dispendio l’impianto delle Cedraie e spalliere di gelsomini con tanti materiali di legname, ferramenta, coppi e fatture inerenti alle medesime; così quello del vigneto con migliaia di cappi di vitte, tutto sostenuto da legni di prezzo caro, la gran cupola di larice, e con il bersò di griglia; anche per il giardino et Ortaglia ho previsto di Arbusti e migliaia di fruttari, et altro, certo vi possi essere di tutto quello può ricreare la vista e soddisfare al gusto”.
Le cedraie sono “architetture effimere di legno ricoperte da siepi” ben documentate da alcune incisioni del Carboni del 1792 probabilmente su progetto del Frigimelica. Ma bellissimi anche l’edificio per gli agrumi e le serre poste a nord-est in un'area proprio delimitata dall’aranciera. Questo grande giardino esagonale è impreziosito da un disegno a raggiera costituito da cinque viali. La costruzione più grande ha un bel prospetto vetrato e completamente inclinato per cogliere quanto più possibile l’irraggiamento. Qui ancora oggi si ricoverano gli antichi vasi, con l’originale stemma dei Pisani, dai rigori dell’inverno, mentre in primavera fanno bella mostra di sé nel giardino ottagonale sotto lo sguardo di Flora. Anche il ricco commerciante Johann Christoph Volkamer (1644-1720), botanico dilettante, colleziona piante di agrumi che coltiva nel proprio giardino a Norimberga. Nel 1708 dà alle stampe il libro Nürbergisches Hesperides oder gründliche Beschreibung der edlen Citronat, Citronen - und Pomeranzen - Früchte... ispirato dalle Hesperides di Giovanni Battista Ferrari, opera che celebra gli agrumi. Volckamer congiunge suggestioni mitologiche e ricerca scientifica in un opera letteraria dove i doni della natura si intrecciano a paesaggi e architetture di ville del nord est italiano, luoghi con i quali l'autore intratteneva i suoi contatti d'affari. Molte di queste ville della riviera le trovate proprio in quest’opera associate alle più belle rarità botaniche.
Il viaggio continua… nel prossimo articolo di marzo.