L’alata serpentessa è un incontro antico quanto le alberesse.
Nel preludio di ogni creazione mi invita per il farsi della sua visione. Figura archetipica, anela per essere disvelata. Narrata.
L’ho incontrata attraversando lo specchio.
Porgendo l’ascolto.
Danzandone i passi.
Facendomi vaso e tacita interrogazione.
Affidandomi, prudentemente a quel fluire germinante di immagini, forme e segni che il nostro inconscio conserva sovrabbondante e propone e ri-propone.
L’Arte che media il contatto con le forse sacre della materia vivente, altro non è che un modo di stare nel mondo ammirati. Fino alla commozione estetica. Dismettendo la prassi sterile della riduzione.
Conseguendo il nous senza smarrire l’anima.
Facoltà l’anima, così svalutata in questo tempo senza palpito di grazia…
Negli elementi di natura l’uomo individua i glifi con cui comporre l’intimo lessico imaginale per la creazione poietica.
Ri-conosce il suo mondo interno rispecchiandosi nel mondo esterno.
E’ il fare esperienza dell’invisibile in forma visibile.
Tutto d’intorno diviene metafora di caratteristiche umane e di situazioni esistenziali oltre che di un preciso destino.
Un disegno per ogni palmo di mano.
L’immaginazione ci circonda ovunque.
Germinano le metafore per significare l’oltre. Si annunciano quali epifanie.
E si spinge e azzarda l’humanitas delineando se stessa quale microcosmo, che per riflesso circolare soppesa il mondo intorno, definendo il macrocosmo a propria immagine e somiglianza.
Circolare nella vita è il Grande Gioco della nostra interpretazione.
Siamo noi, invero, a misura dell’essenza della divinità.
A volte le immagini si propongono inattese, ma già perfettamente configurate.
Per lo più si stagliano a coronare un lavoro di scavo rastremando nel fondo dei testi o errando negli spazi del vuoto. Attraversando gli itinerari dell’anima. Esplorando il logos che scorre nelle viscere. Ansimando negli spazi dello smarrimento. Inciampando negli abissi delle assenze. Porgendo i sensi alle tensioni vibrazionali. Perpetuando le sottrazioni dal Mondo.
Diviene l’Io-Athanor, il luogo della trasmutazione, delle mescolanze.
Come personale esito figurale, Il linguaggio si fa codice di sincretismi visivi in risposta a millenni di sedimentazioni imaginali e simboliche a collegare e ripercorrere cangianti e universali tempi e culture.
Attribuendo verità alla visione, sperimento, o forse solo temo e sospetto che, corrisponda a verità, la facoltà degli artisti di pre-sentire gli archetipi che rispondano non solo alle richieste della loro biografia ma, contemporaneamente alle necessità del collettivo.
L’immaginazione si fa psicopompa. Come sostanza mercuriale dissolve ogni calcinazione e confine.
Eros e Thanatos sono interconnessi. Come l’alfa e l’omega sono indissolubili.
E i mondi vengono creati dall’eterno hieros gamos di ogni polarità.
Tra luci e tenebre.
In equilibrio instabile tra terribilità e fascinazione si cesella il proprio pantheon simbolico corredato di differenti accessi, per adiacenti differenti livelli di partecipazione e compromissione.
Mi muove il volere proporre il processo artistico come esposizione al canto sirenico.
Come pratica del fare da precorrere con liturgie di accesso e con rituale di terminale benedizione.
Come abilità per varcare la soglia cangiante tra cielo e terra.
Come opportunità di vittoria sulle tenebre celanti un impero, a in tutti, senza confini.
Ma occorre appendersi per il ribaltamento di ogni paesaggio.
Inseguendo i passi che si rincorrono nel fondo dello sguardo, nella percezione delle polifonie interiori trasmutando preludenti disagi e aneliti.
Componimenti creati a partire dal fermente disagevole caos.
Farsi liquidi e solidi insieme, e alfine, la Cerca ha compimento in un moto circolare in cui ritorna plasmato, ordinato e configurato ciò che prima appariva oscuro, indefinito, magmatico e potenziale.
Come rabdomanti si ricerca la vena equorea che sgorga e si infrange in flusso di stupore.
Percorrendo cattedrali di silenzio si dischiudono i chiari nel bosco aprendo varchi nell’ancora irrivelato.
Si accede e si accendono pozzi di chiarore e insondabile oscurità.
E’ l’aurora che emerge dalle tenebre di cui trattiene in sé intima traccia.
Non è il pensiero afferrante che permette il dipanare il groviglio, bensì il contemplare.
Bensì il de-situarsi nei modi dell’estraniamento.
Nel tempo notturno lo sguardo si fa lunare. Oltre-vedente.
Tempo di tacitamenti che si fa invito al prodigio. Chiesa-alcova di silenzio al quale tutti gli esseri viventi necessitano di trovare riposo per il respiro.
Tempo di salvazione.
Tempo di germinazione e di cova.
Tempo del vivificante.
Tempo di sacri-ficio ai propri dei.
Rivelando si ri-vela la Psiche nel suo divenire. Si disvela nella partecipazione e radicamento in un Tempo senza Tempo al quale il mio Essere e l’Essere di noi tutti appartiene.
Tempo teofonico.
Può accadere che mi sconcerti la mia pittura al punto che non so più se sono io a inventare o è la mia psiche che forma e mi in-forma, percependo, talvolta, indipendente e quasi autonoma la fonte dell’esperienza visuale che diviene esperienza conoscitiva, laddove individuo trasversali analogie o aderenze al personale.
La mano rivela i sogni di prima che io esistessi.
Il punto di arrivo è la stella della propria follia sacra.
Altro non so... Altro forse non occorre sapere.
Forse il mondo intero è nato da un sogno.