Il 20 ottobre del 1982 allo stadio Luzhniki di Mosca (allora “Lenin”) persero la vita 66 tifosi (ma la cifra non ufficiale è 350), travolti dalla calca all’uscita dalla tribuna C dopo il fischio finale dell’incontro di Coppa delle Fiere, tra lo Spartak Mosca e gli olandesi dell’Harleem.
1982, 20 ottobre. L’Italia del calcio è da poco Campione del mondo per la terza volta, e il calcio sovietico non si difende male: al “Mundial” spagnolo l’Unione Sovietica del “colonnello” Lobanovsky approda al secondo girone, eliminata solo dal Brasile. L’Unione Sovietica di Breznev invece è quasi al capolinea, il leader malato si sarebbe spento da lì a poche settimane dai tragici fatti di quella fredda sera moscovita.
Freddo, già, come in pieno inverno. La temperatura era di -8° e nei giorni precedenti la partita la neve aveva ricoperto le tribune dello stadio, privo di copertura. Così ad assistere Spartak Mosca-HFC Harleem, Sedicesimi di finale di coppa UEFA, accorsero solo 16 mila tifosi, tra cui un centinaio di ospiti. Una goccia, in un’arena da 100 mila posti. Le autorità allora decisero che a sistemare gli spettatori bastavano le due tribune centrali e la maggior parte di essi (12 mila circa) trovò posto sulle gradinate del settore est (C), il più vicino alla fermata della metropolitana.
Sul campo la partita scivola via veloce. Al 16’ del primo tempo i padroni di casa trovano il gol con Edgar Gees e col passare dei minuti la supremazia tecnica dello Spartak e il freddo congelano ogni tentativo di rimonta degli olandesi. Con la vittoria in tasca il primo pensiero dei tifosi, soprattutto di quelli più giovani, diventa raggiungere la metro, e tornare a casa al più presto. Centinaia di persone decidono quindi di abbandonare la tribuna C, sferzata dal vento gelido, e si avviano anzitempo verso l’uscita. L’uscita però è una sola, l’unica aperta dalla polizia per i tifosi russi della “C”: una scalinata larga qualche metro che col passare dei minuti si trasforma in una trappola mortale. La gente defluisce lentamente, spinge, si accalca. All’85° minuto lo Spartak raddoppia: su calcio d’angolo dalla destra il colpo di testa di Sergey Schvezov si insacca alle spalle del portiere dell’Harleem.
È il gol del 2-0. Il gol che “era meglio se non avessi mai segnato”, come dichiarerà a molti anni di distanza lo stesso Schvezov. Il boato dello stadio richiama dentro i tifosi che erano quasi usciti. L’ondata di chi vuole rientrare si scontra contro il muro di chi sta uscendo. Non ci si muove. Scoppia il panico. Il parapetto della scala d’uscita cede, decine di persone cadono, altre rimangono schiacciate nella calca, o calpestate dalla folla. La mattanza si consuma nel buio, le urla di dolore rimbombano nel tunnel, la polizia non interviene.
Aleksandr Prosvetov allora era un ragazzino qualunque, innamorato dei colori rosso-bianchi, e quella sera andò al Luzhniki a sostenere lo Spartak. Oggi è un giornalista di Sport Express, e ricorda così quegli attimi: Oscurità, scalini scivolosi, sotto il peso della gente la struttura della scala si piegò su se stessa. A me andò bene. Io ero lontanto dall’uscita, ma sentivo le urla, capii subito che stava succedendo qualcosa di terribile. Che cosa successe veramente, quella sera non lo seppe nessuno. L’indomani soltanto il quotidiano Vechernaya Moskva, pubblicò uno scarno trafiletto, in linea con i tempi che erano.
Ieri, 20 ottobre 1982, dopo la partita di calcio allo stadio centrale “Lenin”, durante l’uscita degli spettatori, a causa di una violazione dell’ordine di movimento delle persone, ha avuto luogo un incidente. Ci sono dei feriti. Sono in corso le indagini per appurare la dinamica dei fatti.
Il Regime sovietico insabbiò la tragedia del Luzhniki per anni. Solo durante la Glasnost emerse la verità, o almeno una parte di essa. Quella dell’inchiesta istituzionale, che accertò 66 decessi e condannò il custode dello stadio a 18 mesi di lavori forzati. E quella, diversa, dei parenti delle vittime e dei testimoni oculari, che il 20 ottobre del 1982 sopravvissero. Uno di loro era il sedicenne Andrej Chesnokov, stella del tennis russo dei primi anni ’90, che raccontò così la sua esperienza: La gente cadeva dagli scalini ghiacciati, trascinando a terra i vicini, come fossero pedine di un domino. Per salvarmi scavalcai il parapetto e “nuotai” sui corpi che giacevano gli uni sopra gli altri. Alcuni alzavano le mani, chiedevano aiuto. Però non riuscivano a muoversi. Io trascinai con me un ragazzino più piccolo e lo portai a un’ambulanza. Ma era già morto. Andando via vidi che nell’antistadio i cadaveri erano centinaia.
Oggi, lo stadio Luzhniki non esiste più. O meglio, attende di rinascere a nuova vita per i Mondiali di Calcio del 2018. Tra i mezzi al lavoro nell’enorme cantiere, che darà alla luce uno stadio ultramoderno da 81 mila posti, nascosta tra gli alberi vicino all’ingresso del settore B, la curva dei tifosi dello Spartak, è rimasta ancora la stele in memoria “di tutti i caduti negli stadi”. Qui ogni anno, il 20 ottobre, tifosi e parenti delle vittime si ritrovano sfidando il freddo e il tempo che passa inesorabile e con un fiore riportano in vita la memoria di tutti coloro che persero la vita in quella tragica sera di 33 anni fa.