Percorriamo la grigia strada che conduce a Varna sul Mar Nero, con segnaletiche sballate e lo squallore palpabile del passato regime che persiste indelebile. Una carovana di allegri gitani, le spiagge di Obzor e Nesubur, indicate per il placido turismo locale, e il tratto di dune selvagge verso Carevo, frequentate da nudisti, sono per noi le uniche note di colore nell’attraversare la Bulgaria. Da Carevo la strada piega verso l’entroterra dando inizio a 56 km d’interminabili serpentine montane attraverso una bella regione boschiva, completamente intatta e disabitata; bisogna solo augurarsi di non avere alcun tipo di problema poiché da qui non passa un’anima, tanto da farci dubitare sull’esattezza del percorso e gioire increduli all’arrivo alla frontiera turca.

Lunedì 29 luglio alle 13 c’imbarchiamo sul traghetto che da Eceabat porta a Canakkale, nella penisola anatolica, la parte asiatica della Turchia: la traversata dei Dardanelli dura 40 minuti. Una breve sosta d’obbligo alle rovine di Troia (7.50 euro a persona; bimbi gratis), ad appena 5 km dalla statale, dichiarate Patrimonio dell’umanità dall’Unesco. Fu teatro della guerra narrata dall’Iliade. Riviviamo idealmente l’assedio di Agamennone, che voleva vendicare il rapimento di Elena da parte di Paride; dopo dieci anni di assedio la città cadde, grazie allo stratagemma del mega cavallo di legno ideato da Ulisse. Già visitata in passato: “gli stessi grossi resti della gamba del cavallo offerti dal negozio di souvenir sono sempre lì in vetrina, nessuno li compra”.

Di nuovo lungo la costa passando per l’affollata località turistica di Ayavalik di fronte all’isola di Lesbos - famosa per aver dato i natali alla poetessa Saffo (VII sec. a.C) che nei suoi versi esaltò la bellezza della femminilità e dell’eros tra donne - le rovine di Pergamo, principale località archeologica dell’area, e la bella e caotica città di Izmir, l’antica Smirne, ora terza città della Turchia dopo Istanbul e Ankara.

Lasciamo l’autostrada a Selcuk, accompagnati dal paesaggio brullo che caratterizza gran parte della costa turca, ed entriamo a visitare la magnificenza di Efeso, utilizzando una carrozza a cavalli (4 km: 7 euro) per la gioia dei bambini ed evitare così alcune ore di sole cocente. Ricco centro commerciale della Lidia, dal 29 a. C. fu la capitale della provincia romana di Asia. Tra le rovine, che ne fanno uno dei siti archeologici più noti del mare Mediterraneo, da vedere il teatro del piccolo tempio di Adriano, la Biblioteca di Celso e i numerosi stabilimenti di bagni pubblici. Ridotte a una singola colonna sono invece le testimonianze di quello che fu il più celebre monumento di Efeso, ritenuto il più grande edificio del mondo antico: il Tempio di Artemide, una delle sette meraviglie del mondo, raso definitivamente al suolo nel 401 per ordine di Giovanni Crisostomo, arcivescovo di Costantinopoli.

Alle 15 parcheggiamo accanto al panoramico Silver Hotel di Bodrum, gestito da amici e centro di raduno serale della nutrita colonia di vacanzieri modenesi. Davanti a noi l’istmo, che divide le due baie dell’antica Alicarnasso, sovrastato dal massiccio castello di San Pietro (Petreum che diventa Bodrum), uno dei monumenti medioevali meglio conservati al mondo, le cui origini conducono all’ordine dei Cavalieri di Gerusalemme, definiti soldati di Cristo.

Nell’ultima decade il turismo a Bodrum e dintorni è centuplicato, particolarmente nel mese d’agosto, quando lo stretto budello che conduce in centro è intasato di gente e la vita notturna talmente intensa e spregiudicata da ricordare Ibiza. Ci fermiamo in zona una dozzina di giorni, prediligendo l’isolata spiaggia di Yalicifclic (12 km ad est), che ha il merito di riportarci alla tranquilla dimensione della Turchia di un tempo.

Venerdì 9 agosto lasciamo Bodrum con destinazione Cipro, preoccupati solo del ripido e interminabile saliscendi che contrassegna più di 800 km di costa rocciosa e poco abitata. Come in Italia esiste la poesia delle osterie, in Turchia c’è quella dei ristorantini a conduzione familiare. Assolutamente da non perdere l’oasi idilliaca del Restoran Pinarbasi (“sorgente d’acqua”), con tavoli e sedie adagiati sul torrente, casse di bevande al fresco sotto i tavoli e camerieri che servono in mezzo metro d’acqua, tra ponticelli da fiaba e anatre. Per raggiungerlo, poco prima di arrivare a Yatagan (90 km da Bodrum) svoltate a destra per Bozuyuk e seguite la strada per 4 km, che è anche la scorciatoia per Mugla. Lungo la via, il getto d’acqua a fontana posto davanti a molti ristoranti a un’altezza di tre-quattro metri, è creato apposta per le auto di passaggio che possono così mettersi sotto liberamente per pulirsi e rinfrescarsi gratuitamente al volo: una piacevole e simpatica cortesia particolarmente gradita nei giorni di grande calura. Noi abbiamo cenato a gambe intrecciate in una delle piattaforme in stile ottomano costruite sugli alberi del Bey Restoran, 10 km prima di Ortaca, un’area nota per il rafting. Tuttavia, gran parte delle peculiarità architettoniche della tradizione turca le trovate raccolte nella stupenda località turistica di Saklikent, contraddistinta da singolari ristoranti-palafitta allineati lungo le rive del fiume Esen, che sgorga da un imponente e suggestivo canyon percorribile a piedi lungo i suoi 14 km. Si trova dopo Fethiye nei pressi di Tlos, la patria di Bellerefonte e del suo cavallo alato Pegaso: caverne preistoriche e terme sotterranee, raggiungibili con difficoltà a causa di una lunga e ripida salita in ghiaia.

Grazie all’abbondanza di ristoranti a basso costo, la Turchia rappresenta una vera oasi di relax fisico e psicologico. La cucina locale propone una grande varietà di cibi sani e genuini, e se la situazione lo richiede, si può tranquillamente entrare in cucina e ordinare “dal vivo” i piatti preferiti, tra schiere di camerieri molto ossequiosi e mai ossessivi. Un semplice pasto con ciorba (zuppa), kofte (polpettine di carne) e pesce fresco, riso, pane, acqua minerale e ciai (tè), può costare 6-7 euro.

La notte del 9 parcheggiamo nel gioiellino di Gocek, all’esterno del Sarioglu Camping, occupato perlopiù da camper italiani, mentre il giorno successivo ci godiamo il tramonto sul bel lungomare della vivace Alanya. Pur essendo più estesa, Alanya ha molte analogie con Bodrum: castello sull’istmo che divide le due baie della città, turismo cosmopolita, vita notturna e diurna molto intensa. Da qui partono i catamarani per le escursioni a Cipro (euro 45 adulti; 33 bambini). Si può andare a Cipro lasciando l’auto in Turchia, ma per il trasporto di automezzi occorre recarsi a Tasucu (porto di Silifke), 300 km più avanti.

Lunedì 12 usciamo da Alanya verso le 8. In questo tratto verso oriente la costa pianeggiante regala chilometri d’interminabili spiagge di sabbia, hotel, ombrelloni, oltre ad un caldo infernale che invita a tuffarsi nelle acque limpide del mare a bordo strada. Può sorprendere vedere in un paese musulmano tante giovani turche indossare bikini ridottissimi, frutto dell’opera di modernizzazione voluta da Kemal Ataturk, considerato il “padre della patria”. Le donne più conservatrici in chador si bagnano in mare vestite e all’alba, quando la spiaggia è deserta. Dopo le rovine storiche di Selinos si riprende a salire a passo d’uomo, in prima e seconda marcia, tra bananeti di un verde scuro tipicamente tropicale, in netto contrasto con l’aridità del paesaggio circostante: scenari spettacolari e dirupi a precipizio sul mare che inducono alla massima prudenza. Nella baia di Mellec trovate due ottimi ristoranti, in entrambi servono porzioni abbondanti di pesce fresco alla griglia, insalata e pane per 10 euro. Nella valle successiva sosta d’obbligo all’imponente castello di Marure, con ben 36 torrioni, costruito dai romani nel III sec. d.C., all’estrema punta meridionale della Turchia. Alle 21 acquistiamo i biglietti di andata e ritorno per Cipro all’agenzia marittima Fergun, di fronte al porto di Tasucu: euro 94 per il camper, 35 adulti, 24 bambini dopo i sei anni d’età. A noi costa l’equivalente di 188 euro, più 7 di tasse alla polizia doganale. Ci fanno mettere in fila alle 22, ma fino alle 3.30 di notte non si parte! Il traghetto è un catorcio arrugginito ed il viaggio è da panico, siamo soffocati dai camion che ci precludono ogni presa d’aria, ma soprattutto gli altri passeggeri sono stipati miseramente su poltroncine e sul pavimento dell’unica sala disponibile, non esiste la sistemazione in cabine.

Martedì 13 alle 9 attracchiamo al nuovo dock di Girne (ex Kyrenia), dove l’opprimente burocrazia locale ci fa perdere 2 ore e 32 euro (22 per l’assicurazione e 10 alla polizia?). Traghetto e spese a parte, colpisce la particolare luminosità del paesaggio, che evidenzia la straordinaria bellezza naturale di Cipro, o Kibris in lingua turca, essendo questa la Turkish Republic Of North Cyprus, sorta a seguito della guerra civile che nel 1974 portò alla separazione delle popolazioni d’etnia turca e greca. Essendo anche un ex colonia britannica, già all’uscita dal porto occorre fare molta attenzione: si guida a sinistra e nelle rotatorie è facile confondersi e sbagliare. A favore, qui esiste la più alta concentrazione di turchi che parla inglese.

Andiamo subito nella capitale seguendo la moderna autostrada che consente di superare agilmente il crinale del Pentadattilo o Besparmak (“cinque dita”). Girando per i vicoli di Nicosia, Lefkosa per i turchi, con grande sorpresa e infinito piacere riconosco i luoghi, nonché le atmosfere pressoché immutate, della mia prima visita del '72. E’ l’unica capitale al mondo divisa in due, con la parte greco-cipriota e la parte turco-cipriota separate dalla cosiddetta “Green Line”, ovvero postazioni militari, garitte, sacchi, filo spianato, alte mura ed una terra di nessuno pattugliata dalle forze delle Nazioni Unite.

Turisti non se ne vedono ed è facile intuire come questo letargo politico abbia certamente giovato alla conservazione dell’ambiente e dell’entità culturale in questa isolata parte della Cipro settentrionale. Alcuni ambulanti ci offrono un piatto di mahallebi, cioè un dolce di gelatina, altri c’invitano per un caffè: la spontanea disponibilità della gente lungo la strada, ci riporta alla calda e serena dimensione d’altri tempi. Accanto al bazaar ammiriamo la struttura semi-diroccata del Selimiye (1209), un raro esempio di moschea gotica; in origine era la cattedrale di Santa Sofia, poi trasformata in moschea dagli ottomani, che vi aggiunsero due minareti. In seguito entriamo nel Buyuk Han (“Grande Locanda”), singolare struttura in stile anatolico eretta nel 1572 per volere del primo governatore turco di Cipro. L’unico punto di transito ufficiale aperto con la Cipro greca si trova in Selim Caddesi, ad ovest del centro, insolito e curioso checkpoint facilmente raggiungibile a piedi. I turchi accettano i visitatori provenienti dalla parte greca, ma non il contrario. Lungo le antiche mura che delimitano il confine, costellato di torrette ONU, sono evidenti i segni del disastroso conflitto. Per lo shopping, tantissime le gioiellerie a prezzi convenienti da sembrare un’isola “duty-free”. Tuttavia, la vita in generale rimane influenzata dalla controparte greca ed è leggermente più cara che in Turchia.

Nel tardo pomeriggio decidiamo di trasferirci a Famagusta, o Gazimagusa, seguendo la superstrada che verso est taglia il deserto fino al mare. Ci sistemiamo nella zona balneare del Palm Beach Hotel, sul confine, tra palazzi sventrati da grossi obici e caserme militari. L’indomani visitiamo la grandiosa fortificazione che abbraccia la storica medina, nella quale spicca la moschea gotica di Lala Mustafa Pasha, ricavata dalla magnifica cattedrale di San Nicolas (1298) consacrata nel 1326. Qui Lusignano, re di Cipro, ricevette la seconda gloriosa incoronazione a Re di Gerusalemme. A pochi passi, la cittadella con la panoramica torre di Otello, ampliata dai veneziani, che riporta al famoso dramma di Shakespeare. Seguendo la costa verso nord, in breve giungiamo al monastero bizantino-ortodosso di San Barnaba, nel quale è stato tumulato il santo, compagno degli apostoli Marco e Paolo, ed alle stupende rovine della città ellenistica di Salamina, uno dei più grandi porti commerciali dell’impero romano d’oriente. A Bogaz termina la spiaggia, la strada si dirige all’interno ed inizia a ridursi. Alle 17 parcheggiamo in riva al mare, nello spiazzo del rustico Malibù Beach Hotel, l’unico edificio della baia omonima, sulla costa settentrionale della penisola di Karpaz. Ombrellone, sdraio, materassino e utilizzo delle docce costano l’equivalente di 0.60 euro al giorno. Ci sdebitiamo col proprietario, Mr. Nidai (tel. 0533-8600791) dai modi marcatamente British, cenando nel suo ristorante affacciato sull’orizzonte: 11.50 euro. Per una camera doppia negli essenziali bungalow sulla spiaggia chiede 25 euro, colazione compresa. Col buio rimaniamo soli in compagnia del frastuono delle onde, la via lattea che sgancia qualche stella cadente ed una dolce brezza marina che ci regala un clima perfetto. Unico neo: mini zanzare voracissime.

Alle 9 di Ferragosto saliamo col camper sulla collina del piccolo Elousa Monastiri (XVIII sec.), a due chilometri dalla statale e dal mare. Accanto, le rovine di un antico hotel e di fronte, in posizione panoramica, il fresco porticato ed i 5 bungalow (doppia con colazione 11 euro) del gentilissimo Mr. Akbulut, uno dei tanti sfollati turchi costretti a lasciare case e proprietà nella zona greca. Nell’assolato centro di Dipkarpaz colpisce l’accostamento della grande moschea con la chiesa di San Sinesio, posti uno di fronte all’altro. Anche qui, come ovunque nel nord dell’isola, la gente continua a stupirci per la squisita gentilezza, perfino imbarazzante: la polizia si mette a disposizione, l’impiegato delle poste lecca una ventina di francobolli in nostra vece, una signora ci allunga un piatto pieno di fichi e tutti ci salutano con amicizia e discrezione. C’è ancora il piacere di donare qualcosa al forestiero. Procedendo verso Capo Zafer, il traffico continua inesistente ed il manto stradale peggiora in progressione con la natura stupendamente selvaggia del paesaggio, perlopiù dominato da tamarindi ed oliveti. L’occhio spazia tra una notevole varietà di baie deserte ed estese dune di sabbia dorata ed incontaminata, dove nei mesi estivi giungono frotte di tartarughe verdi (chelonis mydas) e Caretta-Caretta per depositarvi le uova.

All’idilliaco Golden Beach Hotel ci si arriva solo in fuoristrada, mentre il Blue Sea Hotel ( bluesea@northcyprus.net) sorge su di un istmo roccioso di facile accesso. Nell’estremo nord-est dell’isola assistiamo rapiti ad un battesimo col rito greco ortodosso nella cappella del Monastero di Sant Andreas apostolo (XIV sec.), meta di numerosi pellegrinaggi e richieste di guarigioni miracolose. Se giungete fin qui, non perdetevi la bellissima baia poco oltre il monastero, nei pressi della punta.

Per andare a Girne ripetiamo il percorso nel senso inverso fino al bivio di Cayirova, poi a destra verso i rilievi centrali e giù lungo la costa nord seguendo una striscia d’asfalto stretta e abbandonata, che attraversa un territorio vergine dominato da scenari maestosi e di superlativa bellezza (a 360 gradi), che ci rapisce al pari di un’estasi perpetua. Tutt’altra musica col buio della notte, quando i precipizi sul mare diventano buchi neri a bordo strada. Alle 21 siamo nel vasto parcheggio gratuito nel centro di Girne, davanti alla tomba di Ottoman Baldoren.

Il 17 prendiamo il via per visitare la regione nord occidentale, con sosta nella panoramica cittadella fortificata di Sant Hilarion (800m.s.m.), nel museo archeologico e nel Monastero di S. Mama a Guzelyurt (ex Morphou), presso i mosaici di Soli (VII sec. a.C.), le rovine persiane di Vouni (V sec. a.C.) e le primitive tombe di Lambousa (dietro il Maremonte Hotel), scavate nella roccia sul mare, per terminare la giornata sulla spiaggetta (con docce) di Guzelyali. La litoranea ad ovest di Girne è ben asfaltata, trafficata e costellata di resort di lusso, l’esatto contrario della costa orientale. A ora di pranzo siamo nuovamente nella bella Girne, “Perla di Cipro”, la città turistica per eccellenza, col bel porticciolo ricolmo di ristoranti, il grande castello (IX sec.), discoteche, night club e fila di negozi per un turismo prevalentemente anglosassone.

Nella settimana trascorsa a perlustrare ogni angolo di questo fazzoletto di terra straripante di storia, monumenti e natura, abbiamo visto tanti posti belli, tutti i giorni, tanto da vivere una sorta di “stress da piacere”. Gli unici due camper incontrati erano italiani (Foggia e Reggio Emilia) e, come in Turchia, il servizio bancomat è capillare ed il rischio di furti pressoché inesistente, al pari della Scandinavia. Il 19 agosto alle 10 entriamo nel porto per il rientro sulla terraferma, paghiamo 20 euro di tasse varie, alle 14 partiamo, con 2 ore di ritardo, verso le 20 arriviamo a Tasucu: qui paghiamo 8 euro negli uffici doganali ed alle 21.30 usciamo dal porto, di nuovo in Turchia.

All’alba del 20 il viaggio continua verso Mersin, col mondo che ci scorre in vetrina sull’altipiano anatolico ed il paesaggio da fiaba della Cappadocia (“terra dei bei cavalli”), insediamento umano caratterizzato da una formazione geologica unica al mondo per il suo patrimonio storico e culturale. A seguito dell’erosione di milioni di anni, questo tufo calcareo ha acquisito forme insolite da permettere all’uomo di ricavare le proprie abitazioni nella roccia, rendendo il paesaggio pieno di cavità e grotte sia naturali che artificiali

La sera del 23 attraversiamo il ponte sul Bosforo provenienti da Ankara (450 km di autostrada per 0.60 euro) e ci fermiamo 5 giorni ad Istanbul parcheggiati nel quartiere di Sultanhamed di fronte alla Moschea Blu, circondati da plotoni di turisti. Sulla via del rientro a casa, riusciamo ad entrare di straforo nella blindatissima repubblica monastica del Monte Athos (“montagna sacra”), il territorio greco dotato di uno statuto di autogoverno: una ventina di monasteri ortodossi e 250 celle (eremi isolati) situati nella lingua più orientale della montuosa Penisola Calcidica. L’ingresso da sempre è sottoposto ad una severa giurisdizione restrittiva: occorre un permesso di soggiorno ottenuto a priori e non possono accedervi le donne. Questo divieto è stato così rigoroso nel corso della sua millenaria esistenza, che solo rare volte è stato infranto. Noi, dalla città di confine di Uranopolis le proviamo tutte per entrare: abbiamo coinvolto simpatizzanti e fatto telefonare ai responsabili, ma niente da fare. Così seguiamo i sentieri lungo la linea di demarcazione finché all’altezza di Frango-kastello riusciamo a trovare un varco, in una scanzonata invasione dal sapore goliardico. Tuttavia, la dimensione mistico-religiosa del luogo merita di essere vissuta ed è davvero straordinaria. Infine il 3 settembre siamo a Igoumenitsa sul traghetto per Ancona.