Veronica Fonzo è un'artista argentina che da tanti anni vive a Pietrasanta. Le sue creazioni hanno uno stile particolare, facilmente riconoscibile fra migliaia di altre: bambini, donne e cavalli sono i protagonisti principali delle sue opere. Marmo, bronzo, legno e resina, tanti materiali e colori, ma la stessa “scrittura femminile”, sobria e distinta.
Quando è cominciata la tua avventura con la scultura e l’arte?
Disegnavo con mia mamma, Elba Campagna, lei è una pittrice, dava lezioni di disegno anche ad altri bambini e l’Arte è sempre stata una parte della mia vita. A 15 anni ho cominciato a studiare alla Scuola d’arte perché mi piaceva dipingere, ma più avanti ho capito che mi serviva qualcosa di più materico e sono passata alla scultura.
Che cosa è successo una volta che hai finito la scuola?
Il padre di una ragazza che studiava con me, un italiano che veniva da Pietrasanta, si chiamava Orio Dal Porto, ed era uno scultore che si era stabilito a Buenos Aires. Alla fine della scuola ho cominciato a frequentare il suo studio per capire meglio la sua arte e cominciare a lavorare il marmo in modo professionale. Sono rimasta in quel laboratorio per sette anni e per tutto quel tempo il mio maestro raccontava in continuazione di Pietrasanta. Parlava di quella lontana realtà così tanto, che mi è venuta una voglia immensa di conoscerla.
Quindi dopo aver ascoltato e immaginato per sette anni questa “terra promessa”, Pietrasanta, sei finalmente venuta qui per vederla con i tuoi occhi?
Esatto, ho preso una vacanza di due mesi e sono venuta qui con la mia amica Flavia Robalo, anche lei una scultrice che conosco da quando avevo 5 anni. Volevamo conoscere meglio questo posto. Quando siamo arrivate, abbiamo capito che qui c’era un mondo intero da scoprire. Ogni volta rimandavamo il nostro ritorno a casa sempre un po' di più, fino ad oggi. Siamo qui da 18 anni.
Fantastico, alla fine i due mesi di vacanza sono diventati 18 anni di lavoro! E non siete mai tornate in Argentina?
Torniamo ogni anno per fare le vacanze e visitare i nostri parenti. A Pietrasanta si sono aperte tantissime porte, ho cominciato viaggiare per realizzare le mie sculture. Qui ho tutti i materiali possibili e immaginari, sono vicina a tutto il mondo, non come in Argentina, dove ogni viaggio diventa un'impresa enorme.
A Pietrasanta ti sei trovata bene subito oppure all’inizio hai dovuto lottare per trovare il tuo posto?
Ho trovato il modo per sopravvivere lavorando come artigiana. All'inizio, essendo donna, non era facile trovare un'occupazione, ho dovuto faticare parecchio. Per alcuni anni ho assistito altri scultori nella realizzazione dei loro modelli, era molto interessante. Così ho capito meglio quali erano i loro modelli di mondo, ho conosciuto altri linguaggi. Questa esperienza mi ha arricchito molto. Piano piano ho cominciato ad avere sempre più lavoro.
Poi, nel 2011 avete aperto il vostro laboratorio “La Polveriera”, dove oltre a voi lavorano tanti altri scultori di tutte le parti del mondo. Come è accaduto tutto questo?
Una volta questo studio apparteneva a Cervieri e si realizzavano solo riproduzioni di scultura classica, ma poi lui ha trovato un altro spazio, molto più grande e spazioso, e si è trasferito. Lo studio doveva essere chiuso, ma l’abbiamo preso noi.
Solo tu e Flavia o anche altri?
Siamo molti di più, siamo un grande gruppo d’artisti. La gente arriva qua un po' per magia, come abbiamo fatto noi. Si sa che qui c’è un posto dove si lavora e tanti ritornano alla Polveriera da diversi anni, anche se si fa alcuna pubblicità. Tanti arrivano con il loro modellino, trovano il marmo, se serve prendono gli artigiani e fanno i loro progetti. Alcuni durante l’anno tornano nei loro paesi, altri vivono qua. Ora nel laboratorio lavorano tre persone del Sud Africa, che passano qui un mese all'anno.
Qual è il perché della fama di Pietrasanta come patria della produzione scultoria? La vicinanza coi marmi di Carrara?
Certamente gli scultori vengono qui perché c’è il marmo, ci sono le fonderie e ottimi artigiani. E' un microcosmo particolare dove viene facile lavorare.
Come avete scelto il nome del vostro laboratorio? Ora che mi trovo qui il nome “La Polveriera” mi sembra molto azzeccato, ma presumo che ci sia un doppio senso...
Il nome “La Polveriera” ha anche il senso di un posto dove vengono le idee, è un po' esplosivo, qui nascono pittura, scultura e ceramica. All’inizio nella Polveriera c’era anche un teatro, ora non più.
Nei tuoi progetti utilizzi sempre tecniche e materiali diversi, il che è insolito. Spesso quando un artista trova la sua nicchia, il suo materiale, il così detto “cavallo d’oro”, rimane a lavorare con quello per il resto della sua vita.
Con un solo materiale mi annoio, ci sono tantissime alternative da provare e non riesco a farmele sfuggire. Vedi questo pezzo di legno? Dovevo capire come utilizzarlo e ho deciso che bisognava metterlo insieme con il marmo. La decisione è stata molto casuale, un po' per gioco. Il marmo richiede molto più energia e concentrazione. Lavoro anche con il bronzo, per me è più giocoso, perché prima elaboro la cera, e la posso modificare più volte. Con la resina vengono fuori dei colori e delle tessiture diversi. Alla fine lavoro un po' con tutti i materiali perché mi piace sperimentare.
Vedo che molto spesso i protagonisti dei tuoi progetti sono i bambini. Come lo puoi spiegare?
Penso che l'infanzia sia una tappa importantissima della vita, su cui si debba riflettere a lungo. Il nostro futuro dipende da essa, quindi deve essere protetta. In quella fase gli esseri umani acquisiscono l’attrezzatura per costruire la vita futura. Un bambino è molto fragile, ha poche difese, non è protetto. Ho viaggiato molto e ho visto spesso bambini in situazioni difficilissime. Non succede solo all’estero, come in Argentina o in Romania, ma anche in Italia, ci sono dei posti dove i bambini vengono abbandonati a se stessi. Spesso si parla dell’educazione, ma c’è poca volontà di spiegare ai bambini che cosa sia la libertà.
Lavori tanto con i bambini, organizzi laboratori di pittura e di creta: fra tuoi alunni c’era o c’è qualcuno che ha scelto il mestiere d’artista?
Sì, ci sono tanti bambini che hanno la volontà di diventare scultori. In particolare ce n'è uno che lavora il marmo e si impegna tanto. Un’altra bambina ora studia in un college d’arte in Inghilterra ed è diventata la migliore alunna della scuola, il che mi fa molto piacere. Considero l’arte un linguaggio paragonabile a quello dell’inglese, e che vada assolutamente imparato.
Qual è l’ultima mostra che hai fatto?
I miei lavori sono stati esposti a Massa, nel Palazzo Ducale, dove c’era una collettiva dedicata alle donne. Recentemente ho tenuto un'altra mostra al Museo del Mare a Genova con Flavia. L’abbiamo chiamata Rayuela, questo nome non è altro che la versione argentina del gioco della campana. Il progetto era basato sul libro di Cortazar, sul percorso di vita, sull'andare dalla terra al cielo. Molto spesso lavoro sul tema dell’itinerario della vita, quando uno comincia camminare non sa dove arriva. Tutto il percorso è una specie di gioco, dipende da te se andare avanti o rimanere nello stesso posto.