Il 29 maggio del 1985 allo stadio Heysel di Bruxelles, prima della finale di Coppa Campioni tra Liverpool e Juventus morirono trentanove persone, schiacciate dalle cariche degli hooligans inglesi nel settore Z. Il tempo passa e cambiano le generazioni, ma il valore della memoria è la fiamma che lascia accesa la speranza - talvolta vana - che simili fatti di cronaca non si ripetano più e con essi gli spiacevoli episodi di dileggio delle vittime, tuttora perpetrati sui gradoni di molti stadi in nome della diversa appartenenza calcistica.
“Difendere la memoria dell’Heysel e di chi vi perse la vita, oltre che battersi contro la violenza, fisica e verbale, nel calcio come negli altri sport” – questo è l’obiettivo dell’Associazioni tra i familiari delle vittime dell’Heysel, ricostituasi nello scorso febbraio per preparare le iniziative in occasione del trentesimo anniversario di quella tragica sera, su cui restano ancore molte ombre che il tempo non è riuscito a cancellare.
La UEFA scelse uno stadio in condizioni fatiscenti per ospitare una finale fra due squadre come Liverpool e Juventus, con un seguito di tifo molto caldo, per di più solo a un anno di distanza dalla finale di Roma del 1984, quando nella Capitale ci furono già ripetuti scontri tra inglesi e italiani. I primi assetati di vendetta e ubriachi dalla mattina di quel 29 maggio 1985 sfogarono la loro violenza caricando a ripetizione i tifosi juventini che occupavano il settore Z. La partita si giocò lo stesso, con i corpi delle vittime accatastati nell'antistadio, all'insegna di «the show must go on» e per imposizione della stessa UEFA e del sindaco della capitale belga.
Può sembrare strano, ma solo nel 2005 una sentenza europea ha riconosciuto la UEFA responsabile degli eventi organizzati sotto la sua egida. Tutto questo al termine di una lunga causa intentata da Otello Lorentini, fondatore dell'associazione dei parenti delle vittime dell'Heysel, che in quella serata perse il proprio figlio, medico, che riuscì a mettersi in salvo, ma morì travolto da una seconda carica mentre era tornato ad aiutare altri feriti. La sua è stata una battaglia condotta per anni da solo e conclusa con una vittoria legale che ha fatto giurisprudenza e ha mosso alcune coscienze, comprese quelle della società Juventus. Solo allora, vent'anni dopo, nel cortile della sede del sodalizio bianconero venne posta una stele in memoria di quei tifosi morti per seguire la propria squadra del cuore.
I 39 di Bruxelles (di cui 32 italiani, 4 francesi, 2 belgi e un irlandese) purtroppo non furono gli unici a pagare con il prezzo più alto la loro passione per il calcio. In quegli anni '80 dove tutto era così diverso da oggi, ci sono state altre tragedie negli stadi di calcio. In molti ricordano quella del 15 aprile 1989, quando allo stadio di Hillsborough in occasione della semifinale della FA cup tra Liverpool e Nottingham Forest persero la vita 96 tifosi dei Reds, schiacciati tra campo e gradinata. Quasi nessuno è a conoscenza della “Tragedia Segreta” dello Stadio Luzhniki di Mosca. Il 20 ottobre del 1982 al termine dell'incontro Spartak Mosca-Harlem di Coppa Uefa, giocato sotto la neve, la polizia lasciò aperta solo un'uscita per far defluire i 16 mila tifosi presenti. A cinque minuti dalla fine della partita la scala era già stracolma, quando in campo lo Spartak segnò il secondo gol. La spinta di chi voleva rientrare per vederlo si scontrò contro il muro umano di persone intente a provare di uscire. La scala non resse e calpestati dalla calca persero la vita 66 tifosi moscoviti. Come tre anni dopo all'Heysel, tra di loro non c'erano solo uomini, ma anche giovanissimi e donne. Sia a Mosca, sia a Bruxelles, le notizie circolavano con difficoltà e solo nei giorni successivi emerse la reale portata delle tragedie.
C'era chi credeva i propri cari morti, prima di una provvidenziale telefonata, come ricorda un tifoso bianconero presente all'Heysel: "All'epoca non c'erano gli smartphone e per trovare un telefono, andai in un bar vicino allo stadio nell'intervallo. La barista belga non voleva farmi telefonare perché ce l'aveva con noi italiani, pensava, con un atteggiamento razzista, che fossimo noi i colpevoli di tutto ma riuscii lo stesso ad avvertire i miei, a sentire le urla di mia madre".
Oggi, a distanza di trent'anni, il valore della memoria beneficia di un rinnovato vigore. Le stelle hanno voluto che proprio quest’anno, a distanza di 30 anni dalla notte di Bruxelles, la Juventus sia tornata a giocare una finale di Champions League. I tifosi hanno ricordato i loro fratelli morti a Bruxelles con una coreografia al 39’ minuto della partita in cui la Juventus ha festeggiato lo scudetto. Un enorme striscione, con la scritta “+39 rispetto” circondato da tanti cartelli con i nomi di chi quella sera perse la vita, a ribadire il concetto che quella di Bruxelles fu una tragedia per tutta l’Italia sportiva.