E’ lecito entrare nelle dinamiche dottrinali di una medicina tradizionale e interpretarle attraverso le moderne acquisizioni delle scienze ancillari? Sicuramente si tratta di un percorso inevitabile e, potremmo dire con un linguaggio giuridico, sembrerebbe trattarsi di un atto dovuto, in realtà si tratta dell’insopprimibile bisogno di sapere che spinge l’uomo alla ricerca di conferme sempre più inattaccabili e riducibili a configurazioni semplificate e parcellari così da poter essere comunicate. D’altra parte ci si può chiedere se ha senso ergersi a baluardo di difesa di un’ortodossia resa così inaccessibile in nome della purezza del dettato dottrinale, da condurre sommessamente nel mondo del metafisico i cardini di una cultura medica antica, che peraltro da parte sua ha sempre poggiato le sue basi su dati speculativi ed empirici.
E’ questo un problema che le grandi scuole di medicina tradizionale in Occidente non hanno ancora risolto, poiché non sono ancora state individuate linee guida condivise, lungo le quali concepire un progetto di ricerca svincolato dai criteri di ripetibilità in uso nella medicina accademica, ma ugualmente in grado di affermarsi come criterio affidabile, capace cioè di risultati intelleggibili e comunicabili. La mancanza, da parte dalla comunità scientifica, di direttive specifiche in materia, ha autorizzato una spontanea e anarchica fioritura di iniziative e proposte sperimentali, che spesso, configurandoli in modo autonomo, hanno assunto gli aspetti indagati a base di nuovi dettati dottrinali, con il risultato di implementare ulteriormente il già variegato mondo del “non convenzionale”.
C’è da chiedersi, ad esempio, se l’utilizzo di apparecchiature elettromedicali che rispondano alle conferme scientifiche ottenute dalla ricerca accademica, ed eventualmente riferibili ai dettati dottrinali di alcune delle medicine tradizionali, rappresentino sempre e sicuramente un momento significativamente evolutivo per la dottrina in esame. Se da un lato l’uso di luce laser sui punti di agopuntura ha sicuramente un effetto clinico eclatante tanto da riempire d’orgoglio i cultori di tale metodica e di stupore i loro allievi, la lettura dei lavori di Fritz Popp, il mitico Direttore dell’Istituto di fisico-chimica dell’Università di Vienna, che diede corpo alla teoria dei Biofotoni, risulterebbe utile per comprendere la perplessità di molti valorosi medici olistici di fronte a questa brillante trovata! D’altra parte, se il rilievo di una repertorizzazione deve partire sicuramente da schemi suggeriti dall’ortodossia omeopatica, è fuor di dubbio che il medico omeopata debba poter fruire di elementi culturali che l’evoluzione scientifica degli ultimi trecento anni gli ha messo a disposizione: solo per citare degli esempi, l’interpretazione degli esami ematici routinari, la lettura di una ortopantomografia, la conoscenza degli elementi di base per un’analisi posturologico-gnatologica, la conoscenza delle implicazioni del terreno geopatico nell’equilibrio di un soggetto sono i fattori fra i più elementari per definire un intervento clinico che vorrebbe essere omeopatico, realmente olistico, come dottrinalmente vuole essere.
Non è sufficiente un’analisi corretta dei parametri costituzionali, pur fondamentale, per confermare la vocazione olistica dell’atto clinico omeopatico che si sta compiendo: ogni dettato dottrinale per essere definito olistico deve essere prima di tutto multi-dottrinale e deve prendere in considerazione la totalità del soggetto, che non può essere meramente rappresentato dalla sommatoria computerizzata di sintomi ritenuti significativi dall’operatore. Ciò vale in particolare quando tra gli elementi etiopatogenetici alla base della destabilizzazione del paziente ci sono traumi emotivi infantili che debbono venire individuati e che esigono interventi specifici, rapidi e risolutivi, da parte di personale altamente competente, affinché il paziente possa fruire al meglio delle proposte farmacologiche avanzate dal sanitario. Una componente psicoemotiva equilibrata rappresenta la chiave di volta di un riequilibrio energetico generale del soggetto ed è foriera di una riattivazione funzionale e strutturale dei visceri, degli organi e degli apparati.
In ossequio alle 6 leggi dell’Omeopatia, ovvero la legge dei simili, di Hering, di Harnold-Schultz, di Viola, di Vitulkas e di Kent, aggiungiamo pertanto la sintesi della nostra riflessione, verificabile in tutte le dottrine non convenzionali e accademiche: ovvero il principio per cui il processo di riequilibrio di un soggetto procede a partire dalla psiche, il cui livello di equilibrio raggiunto condizionerà la distribuzione energetica e quindi il riassetto posturale dei vari distretti, per poi ottimizzare la funzionalità e il trofismo di visceri, organi e apparati. E’ un processo ripetibile e verificabile. Qualsiasi intervento medico che procedesse secondo questi criteri può definirsi olistico. La strada dell’attualizzazione dei dettati dottrinali alla base delle medicine non convenzionali che vogliamo configurare come olistiche deve necessariamente passare dalla consapevolezza che sia necessario un costante approfondimento interdottrinale al quale il medico che definisce olistica la disciplina che esercita non può sottrarsi. In realtà ciò che definisce un atto medico olistico non è la dottrina di riferimento in quel momento, bensì lo spessore culturale dell’operatore e, come diceva il prof. Angelo Salvini, rimpianto maestro, il suo “senso medico”.