La Primavera alle nostre latitudini è un evento straordinario. Anche l'individuo più inaridito e distaccato non può non ritrovarsi percorso da un brivido di dolcezza, come una reminiscenza dalle profondità della memoria, quando si trovi a passare vicino a un biancospino o a un ciliegio in fiore, con quel loro profumo che sa un po' di neve e di vaniglia, un po' di erba e di pioggia.
Questa promessa che si rinnova di anno in anno, si manifesta soprattutto negli alberi perché in loro il contrasto tra tra la vecchia nera corteccia rugosa e i giovani freschi germogli primaverili è di una tenerezza quasi insopportabile. Il mistero di una così grande potenza generatrice che imprime, calibrandola, la sua poderosa spinta vitale lungo quei rami nodosi, fino ai capillari più minuti di petali e gemme delicatissime, è il frutto di un equilibrio di forze colossali che agiscono con sovrumana perizia.
Qui la Primavera, simbolo di gioventù e di delicata freschezza si inscrive sull'albero, simbolo vivente di vetustà e di forza atemporale, e insieme esprimono tutta la gioia della vita che ogni anno si rinnova per mantenere un patto che lega il cielo alla terra per l'eternità. "L'albero è la mia chiesa, l'albero è il mio tempio, l'albero è il mio mantra, l'albero è la mia poesia e la mia preghiera. Credo che non vedrò mai una poesia bella come un albero. Un albero la cui bocca affamata è premuta contro il dolce seno della terra; un albero che guarda Dio tutto il giorno e alza le sue frondose braccia per pregare; un albero che in estate può indossare un nido di pettirossi nei capelli; sul cui seno si è fermata la neve, che vive in intimità con la pioggia... ", scrive Satish Kumar, attivista ed editore indiano, e queste bellissime parole possono valere anche per quegli alberelli coltivati in vaso così cari alla tradizione orientale: i bonsai, oramai ben conosciuti anche in Occidente.
Un bonsai coltivato con cura e perizia produce non solo un effetto artistico immediato per la bellezza dell'oggetto in sé ma permettendo alla pianta di conservare la propria spiccata individualità evoca uno scenario naturale di vaste dimensioni, racchiudendo nello spazio di un abbraccio scoscese pareti montane con alberi vigorosi che a esse si abbarbicano per raggiungere la luce del sole. Si ritiene che il bonsai, come forma d'arte, sia nato in Cina e portato circa mille anni fa in Giappone da alcuni transfughi. In quel tempo le classi sociali giapponesi più elevate avevano una grande ammirazione per l'arte e la cultura millenaria della Cina, già allora raffinatissima, e ne coglievano avidamente ogni influsso. Fu infatti in Giappone che il bonsai assunse nei secoli quella perfezione artistica e quel profondo significato simbolico e metafisico che oggi conosciamo.
Ma la storia di questi piccoli venerabili alberi e la trattazione delle tecniche che richiede la loro coltivazione occuperebbe volumi interi e quindi esula dai nostri scopi, qui vorremmo solo sfatare una serie di luoghi comuni e di pregiudizi che riguardano questa forma di arte e chi la pratica. Il più diffuso e al contempo il più grave di tali pregiudizi è questo: per poter miniaturizzare piante che se lasciate crescere liberamente diverrebbero grandi alberi si deve farle soffrire terribilmente. Nulla di più falso.
Da sempre i migliori esemplari bonsai sono "yamadori" cioè piante raccolte in natura, spontaneamente miniaturizzate dagli agenti atmosferici e dal brucare degli animali e la cui crescita è stata inibita semplicemente perché, trovandosi su dirupi o tra bassi pascoli erbosi, non avevano alcun bisogno di crescere in quanto già abbondantemente esposte a ciò che invece, se fossero nate in un bosco o in una valle ombrosa, avrebbero dovuto sforzarsi di raggiungere crescendo: il sole. Inoltre, sulle montagne le grandi dimensioni espongono maggiormente gli alberi ai carichi nevosi, alla forza del vento e degli uragani, nonché alla devastazione dei fulmini, pertanto vi rinunciano per selezione naturale.
Ecco perché chiunque abbia praticato sentieri d'altura avrà certamente notato, alla fine del bosco, piccoli alberelli brachizzati e contorti ma belli e vigorosi e, sentendosi attratto dal loro strano fascino, si sarà avvicinato e avrà pensato "guarda: un bonsai naturale!". Perché il bonsai è naturale! Infatti l'artista giardiniere deve solo riuscire a raccogliere quella piantina, porla in un vaso che ne esalti la struttura e ne mantenga lo spirito, poi egli stesso deve divenire vento e tempesta, pioggia e folgore per continuare a forgiarne la tempra e la forma. Un altro dei pregiudizi da sfatare è il seguente: i bonsai sono piante torturate. Tutti, o almeno quelli che hanno cercato di coltivare un vaso di gerani sul davanzale o un filodendro in salotto, hanno dovuto di tanto in tanto legare, potare o rinvasare la loro pianta. Esattamente ciò a cui vengono sottoposti questi preziosi alberelli: potature di rami e radici e legatura con fili allo scopo di dare una particolare piega a un ramo senza causarne alcuna sofferenza, pena la perdita dello stesso con conseguenze spesso irrimediabili nell'estetica del bonsai.
Insomma , non si vorrà sostenere che alberi mantenuti in vaso con un pugno di terra non soffrano! Certo che non soffrono. Crescono, fioriscono, fanno frutti e semi, come potrebbero farlo se soffrissero? Se soffrono e muoiono è solo perché non sono coltivati e accuditi con cura, come qualsiasi altra pianta in vaso! Dopo l'inverno, in cui i Giganti sulle montagne e i Nani nei loro vasi esaltano nella nudità le loro linee di forza e di armonia, scuri contro il cielo, giunge la primavera e li riveste di nuove foglie di un verde sempre diverso e tenerissimo. Alcuni si ornano di fiori e infelice colui che non prova un brivido di commozione guardandoli. Io mi ci innamoro ogni volta, camminando nei boschi o sui sentieri di montagna, ed essendo da anni, ora mi tocca confessarlo, un appassionato raccoglitore e coltivatore di bonsai, cerco e trovo le stesse emozioni anche sul terrazzo di casa mia. E' proprio questo, in fondo, il senso di questa passione: saper ricreare nello spazio circoscritto e sempre raggiungibile del proprio giardino un intero universo di venerabili alberi e di boscose cime lontane. Perché l'amore per la natura e per gli alberi è il primo motore di questa arte.
Albrecht Durer, genio del Rinascimento tedesco, diceva che un buon pittore, dentro, è pieno di immagini. Ecco, la sfida è proprio questa: avere in mente l'immagine dell'essenza strutturale di ogni specie arborea, poiché ogni albero può divenire un bonsai, e saperla sviluppare nella piantina che abbiamo raccolto affinché, faggio, pino o quercia che sia, cresca in sintonia con il portamento peculiare della specie a cui appartiene arrivando a esprimerlo naturalmente, ma sempre nello spazio di un abbracciο.
La Corsica è una perla di granito verde incastonata nel blu cobalto del Tirreno, ed è chiamata l'isola della bellezza, ma io la chiamo l'isola degli alberi perché crescono su quell'isola con un vigore e una maestà che non ho mai ritrovato altrove. Forse sono il clima marino e le montagne che lo imprigionano in mille rivi e torrenti o la benedizione del sole Mediterraneo che consentono agli alberi della Corsica di raggiungere dimensioni così prodigiose con una forza che nemmeno il Maestrale riesce a domare, arrivando solo a piegarli e a torcerli in forme incredibili. Anche il fuoco di innumerevoli incendi contribuisce a scolpire quei capolavori viventi trasformando per loro le sterpaglie in cenere nutriente e talvolta scavandoli da dentro. Nel cavo di uno di questi giganti che vive lungo la val d'Ota, al termine delle gole della Spelunca, nella Corsica occidentale, c'è un quaderno dove escursionisti di passaggio lasciano messaggi e impressioni scrivendole con una matita legata a una catenella, io leggendolo ho trovato queste parole lasciate da un anonimo viaggiatore:
Rimarrete voi, alla fine della strada, a dirmi la pace
Voi remoti giganti folli di sole e di vento, di pioggia e di folgori.
Teneri di muschi e di nidi nascosti, testimoni di riti segreti e di segrete lontane battaglie.
Come vi ho amato, come vi amo!
Siete Dei.
Dei della forza e del tempo, delle albe e dei tramonti, del vento e delle nuvole.
Da voi avrei voluto imparare il segreto della forza invincibile
nell'estasi eterna di un cielo più puro.
Da voi avrei dovuto imparare l'infinita pazienza di un amore immenso
che attinge con mille piccole dita alle sorgenti della vita.
Non avrei saputo dire questo amore meglio di così.