Milano rende omaggio all’Egitto e all’egittologia con due originali mostre: la prima, a Brera, sull’attrazione esercitata dalla civiltà egizia nella cultura italiana dal Rinascimento al XX secolo, con contributi e prestiti provenienti dalla Cattedra di Egittologia dell’Università degli Studi di Milano, dalle raccolte egizie del Civico Museo Archeologico, dall’Archivio Storico Ricordi e dalla Galleria Baroni di Milano. L’altra, presso l’Università Statale, espone gli scatti aerei di Theodor Kofler che, nel 1914, riprese e immortalò i grandi siti archeologici di Giza, Luxor, Karnak e dei grandi templi vicini alla Valle dei Re. Ce ne illustrano genesi, significati e scoperte la curatrice delle due esposizioni Patrizia Piacentini, docente di Egittologia presso l’Università degli Studi di Milano e autrice di numerose pubblicazioni sulla storia, l’archeologia e la cultura dell’Antico Egitto, Gabriella Robiglio, appassionata collezionista e mecenate egittomane e il professor Sergio Baroni, che ha contribuito con alcuni pezzi della sua galleria.
Professoressa Piacentini, da dove è nata la sua passione per l’Egitto e la sua cultura?
I geroglifici egiziani hanno cominciato a suscitare la mia curiosità fin da quando avevo dodici anni, quando alle scuole medie si studiano gli Egizi. Volevo imparare a leggerli, capire quella lingua, e nello stesso tempo diventare archeologa, il sogno di molti ragazzi. Con molta passione e molto lavoro, tanto in Europa quanto in Egitto, e con molti viaggi nei musei americani e dovunque vi fossero antichità egiziane da scoprire e ammirare, ho potuto realizzare il mio sogno. Ho fatto di una passione la mia professione, vincendo a trent'anni il concorso di professore di Egittologia all'Università degli Studi di Milano. Ne sono molto felice.
A Milano due importanti mostre sull’Egitto: come si caratterizzano e che nesso c’è tra di loro?
La mostra ospitata nella magnifica sala Maria Teresa della Biblioteca Braidense, e realizzata in stretta collaborazione con Anna Torterolo, Pierluigi Panza e altri colleghi, è una mostra colta, ma anche divertente: vi sono libri preziosissimi che escono dalle casseforti di Brera, prime edizioni quattrocentesche e cinquecentesche su obelischi e miti egizi, un bell'esemplare della Description de l'Egypte realizzata dagli studiosi al seguito di Bonaparte in Egitto nel 1798-99 (una delle opere che ha segnato la nascita dell'Egittologia come scienza). E poi tante altre opere, dalla Grammaire di Champollion, il decifratore dei geroglifici, fino al Corriere dei Piccoli e alla letteratura popolare ispirata all'Egitto, fra eroine alla Cleopatra e mummie terrificanti. E poi vi sono documenti d'archivio, di proprietà dell'Università degli Studi di Milano, che illustrano dal vero scavi importantissimi, come il nascondiglio delle mummie reali scoperte da Victor Loret nel 1898, o la tomba di Tutankhamon, o la città di Tanis, dove furono trovati tesori strepitosi. Ma c'è anche il fascino dell'Egitto, da statue e sfingi settecentesche all'Aida, naturalmente, a una fotografia suggestiva di Puccini alle piramidi - uno dei miei pezzi preferiti tra quelli esposti - , conservata nell'archivio Ricordi (uno dei prestatori della mostra), fino ad acquerelli preparatori per un servizio in porcellana poi realizzato da Ginori, a gioielli degli anni '20, alle figurine Liebig a soggetto egiziano...
La mostra che abbiamo allestito nel “cortile farmacia” della Statale è invece frutto di una lunga ricerca iniziata nel 2001, che, partita da uno straordinario album di fotografie aeree realizzate nel 1914 da un certo Kofler, ci ha portato alla riscoperta di questo autore tra l'Europa e l'Africa. Era nato a Innsbruck, si chiamava Theodor e si era trasferito in Egitto agli inizi del '900 in cerca di fortuna, come molti all'epoca. All'inizio di gennaio 1914, scattò le prime fotografie aeree di siti civili della storia, proprio quando la fotografia da aereo stava nascendo per scopi più tristemente legati agli eventi bellici. La mostra rientra quindi nella storia dell'Egittologia, delle scoperte ma anche dell'aviazione e della fotografia. Abbiamo scelto un allestimento molto attuale ed evocativo, una vera e propria “installazione” ideata dal designer milanese Alessio Carpanelli con cui ho lavorato per mesi in grandissima sintonia. Salendo al piano superiore del loggiato del cortile, si possono ammirare tre grandi riproduzioni delle foto aeree di Kofler, riprodotte su pedane che evocano nelle proporzioni e nell'orientamento le piramidi di Giza. Guardandole, ci si può immaginare l'emozione di chi, nel 1914, poteva vedere questi monumenti dal cielo per la prima volta. Si possono poi vedere anche tutte le 21 foto aeree dell'album, oltre ad altre realizzate da Kofler in altre fasi della sua carriera, che terminò con la morte in Tanzania nel 1957. E' stata una ricerca bellissima, e tra tutte le mostre che ho organizzato nel corso della mia carriera, è forse quella che mi ha suscitato le emozioni più forti. Dopo Milano andrà a Roma, all'Accademia d'Egitto, ma con un allestimento diverso al quale stiamo lavorando, e poi in altre sedi in Italia e all'estero.
Può sinteticamente spiegarci come e quando è nata e si è sviluppata l’influenza dell’Egitto sul mondo occidentale?
Si inizia già con i Romani, che conquistarono il Paese nel 31-30 avanti Cristo: basti pensare agli obelischi che furono portati a Roma, strappandoli ai templi egizi; o ai culti isiaci e misterici che si svilupparono nell'impero romano. Durante il Medio Evo vi fu un interesse anche dei grandi intellettuali arabi per l'Egitto (conquistato dagli Arabi appunto nel 641 d.C.), e poi nel Rinascimento si cominciò a fantasticare sui geroglifici, e ci furono già nel Seicento tentativi di decifrazione. Dal Settecento, o forse prima, si diffuse l'uso della “polvere di mummia” come medicina e in mille altri modi, e si cominciarono ad arricchire i “gabinetti di curiosità” con oggetti egiziani. Poi cominciano i grandi scavi, prima di avventurieri, poi di archeologi veri e propri. E a ogni grande scoperta, nuove ondate di passione per l'Egitto percorrevano l'Europa e il resto del mondo, a tutti i livelli, da artisti come Giacometti, ad autori di fumetti, da grandi gioiellieri come Cartier a chi disegnava le figurine Liebig per le massaie. La bellezza dei paesaggi e delle figure egizie, un inesauribile senso di mistero, un'impressione di eternità hanno sempre accompagnato e alimentato un mito che non accenna a finire. Solo pochi giorni fa, durante la settimana della moda a Milano, la maison Genny ha presentato abiti eccentrici ispirati all'antico Egitto.
Quali sono i “gioielli”egizi visitabili a Milano?
Milano è un vero e proprio “Museo diffuso” per l'Egitto antico e l'Egittomania. Molti oggetti sono conservati al Museo Archeologico presso il Castello Sforzesco: tra i tanti “gioielli” che piacciono ai bambini come agli adulti, il mio pezzo preferito è una statua mutila di Amenemhat III, un faraone dell'inizio del secondo millennio a.C., ritrovata in Egitto da Vogliano - archeologo della Statale negli anni '30 -. Ogni volta che la guardo, mi sembra di ammirare un Pietà Rondanini egizia... Tesori di immenso valore documentario e una fototeca tra le più grandi al mondo sono poi conservati, dal 1999, presso la Biblioteca e gli Archivi di Egittologia dell'Università degli Studi: acquisti successivi ne hanno fatto un polo di ricerca che attira studiosi di tutto il mondo, ma che sono aperti su richiesta anche al pubblico (in attesa, speriamo, di un vero e proprio museo dell'Università, che è da tanti anni un sogno nel cassetto). Ma non dimenticate di passare dal Museo della Scala, che ha strumenti musicali egizi e -naturalmente - abiti di scena dell'Aida, oppure da Palazzo Morando in via Sant'Andrea, con una deliziosa saletta egizia. Se siete fortunati, potrete ammirare le molte collezioni private che abbelliscono case cittadine, oppure passate in Galleria Vittorio Emanuele e alzate gli occhi quando siete al centro: un'allegoria dell'Africa con monumenti egizi non potrà sfuggirvi.
L’Egitto, la sua storia, i suoi miti sono spesso stati oggetto di rivisitazioni più o meno fantasiose o addirittura deformanti. Quale ne è, attualmente, la percezione della cultura “media”?
Come ho già detto, c'è il senso di mistero, con escursioni nei simboli e purtroppo anche nell'esoterismo. L'Egitto fa sempre pensare all'eternità, ma anche alla vita e alla bellezza - vi sono cosmetici con nomi o etichette “egittizzanti”, gioielli, abiti... - . Ma l'Egitto è entrato prepotentemente anche nella pubblicità, nel cinema, nella musica popolare.
Cosa possiamo apprezzare, oggi, di questa grande civiltà del passato?
Gli Egiziani amavano la vita, spesso la “bella vita”, come si legge nei loro testi o si può osservare nelle loro pitture e sculture, ma si preparavano anche alla morte per poter “continuare a vivere per sempre”. E in effetti, il fatto che ancora oggi il loro mondo, o un mondo che alimentato dal mito si ispira all'Egitto, sembra provare che siano riusciti in quello che più desideravano. Non dimentichiamo però che gli Egizi, per tremila anni, sono stati anche una grande potenza, basata su un'amministrazione e una burocrazia che sembra ancor oggi modernissima: efficiente, ma non esente da privilegi e scandali. Gli Egizi erano abilissimi architetti e ingegneri, astronomi, medici, ma anche scrittori che ci hanno lasciato meravigliose poesie d'amore.
Dobbiamo anche ringraziare una generosa mecenate milanese, Gabriella Robiglio, che, incantata fin da bambina dal mito dell’Egitto, ha poi speso buona parte della sua vita e del suo patrimonio per promuovere e finanziare progetti egittologici. Dottoressa Robiglio, vuole parlarci della mostra Egitto dal cielo, 1914?
Nel 1914, vedere la terra dal cielo era un fatto nuovo e straordinario. Le prime foto aeree fecero sul pubblico un effetto paragonabile a quelle della luna alla fine degli anni ’60... La mostra Egitto dal cielo, 1914 allestita all’interno del cortile della farmacia dell’Università Statale, ci fa scoprire le inedite immagini che Theodor Kofler scattò nel 1914, riproducendo le piramidi, i templi di Karnak e di Luxor e alcuni monumenti della riva occidentale tebana. Furono scattate, molto probabilmente, con finalità turistiche, ma in esse s’intrecciano la ricerca storico-artistica, la storia della fotografia, la storia dell’aviazione e, non da ultimo, uno squarcio della Prima guerra mondiale, dato che Kofler, austriaco di nascita, internato in un campo inglese a Malta, testimoniò la vita di prigionia, fino ad avventurarsi nelle prime foto aereo-archeologiche, diventando poi professionista fino agli anni ’50. Mi sono innamorata dell’ Egitto da bambina, casualmente, guardando in televisione il trasporto di piramidi suddivise in blocchi per salvarle dalla inondazione che sarebbe stata causata, se non ricordo male, dalla costruzione della diga di Assuan. Vedo queste figure imbragate come se fosse ora, tanto mi colpirono... e bambina, non capivo quale ragione così vitale portasse l’ uomo a spostare piramidi immobili da secoli con la loro storia e i segreti da loro conservati... i nuovi siti avrebbero avuto lo stesso fascino? Qualcosa della loro magia sarebbe andato perso? Quante domande per una bambina e che tormento per mio padre che mi procurò subito una serie di libri illustrati di cui ricordo Nubia, un librone di immagini che facevo fatica a sfogliare, ovviamente lo conservo ancora come un primo amore, una folgorazione.
Nel 2001, infatti, la Robiglio acquistò, depositandola poi negli archivi di Egittologia dell’Università Statale di Milano, la preziosa biblioteca dell’egittologo francese Alexandre Varille, che, oltre ad altri imperdibili tesori, conteneva un inedito album fotografico firmato Kofler, Cairo,1914. Per la mecenate questa acquisizione fu un doppio dono, che la gratificò in un momento particolare della sua vita e che coronò la sua originaria egittofilia, offrendo poi a tutti gli amanti della storia e dell’arte un patrimonio insostituibile.
Le sfingi siciliane di Sergio Baroni
Una coppia di sfingi siciliane dei primi Ottocento è il prestito della Galleria Baroni alla mostra Da Brera alle Piramidi che si tiene alla Biblioteca Braidense. Le sfingi, assieme ad altri arredi in stile egizio che per motivi di spazio non hanno potuto essere esposti nella sala Maria Teresa della Biblioteca Braidense, provengono da uno scalone di villa palermitana. Lontane dal seguire pedissequamente i canoni stilistici codificati dagli architetti napoleonici e dai Savants (gli studiosi che accompagnarono la spedizione militare in Egitto), esse mostrano una libera e fantasiosa interpretazione dello stile egizio, che in questo caso trasforma l’archetipo della sfinge in chiave fantastica, con una commistione tra le fattezze muliebri e quelle ferine. E’ tipico, infatti, della Sicilia esprimersi con grande creatività e con una propensione all’eccesso, sia per dimensioni, sia per ricchezza decorativa. Si vedano, in questo caso, il motivo decorativo a perlinature che segna la scollatura dell’abito e che divide simmetricamente la linea mediana del copricapo sulla testa di donna, prolungandosi sul corpo ferino; o ancora, le braccia umane ma con peli animali e mani simili a zampe, in contrasto con la femminilità sottolineata dalla morbidezza dell’abito.