La Prima guerra mondiale si caratterizzò come guerra nuova, che costrinse gli eserciti, anche quelli che già avevano adottato moderne strategie di combattimento, a rivedere i propri schemi e ad adattarsi, rapidamente, alle novità. Queste erano relative soprattutto a nuovi strumenti che, pur se già sperimentati, vennero utilizzati in modo sistematico proprio durante quel conflitto, portando nel dopoguerra a notevoli cambiamenti anche nella vita civile. Mai come in occasione della Prima guerra mondiale, infatti, l’industria incontrò l’interesse dei governi e degli investitori, divenendo così occasione di incremento di investimenti, di sviluppo, di applicazione di strategie produttive innovative. Spesso la guerra è stata strumento di sviluppo, ma mai come nel caso della Grande Guerra. L’urgenza di sconfiggere il nemico o di farvi fronte, infatti, spronò, o forse costrinse, tutti ad accelerare sulle decisioni, sulle scelte e a rompere gli indugi sostenendo le novità. Queste furono di vario tipo.
Venne potenziata e resa strategica la guerra chimica, ad esempio. Un tipo di guerra che non venne inventata nel Novecento. Sin dall’antichità, infatti, per combattere il nemico si usava avvelenare le acque o le derrate alimentari, avvelenare la cacciagione, avvelenare le frecce che venivano utilizzate in battaglia. Maestri dell’utilizzo di gas tossici furono ateniesi e spartani e lo stesso Leonardo da Vinci parlava di usare solfuri sulle galee per avvelenare il nemico che avrebbe inalato i gas tossici emanati dalle sostanze. Riscoperta durante il Rinascimento, la guerra chimica venne bandita dal trattato di Strasburgo siglato nel 1675 da francesi e tedeschi. Nell’800 si tornò a dibattere se utilizzare proiettili tossici contro il nemico, soprattutto in situazioni di stallo delle battaglie, ma molti erano contrari a quel tipo di guerra, considerata disdicevole. Tuttavia, i favorevoli replicavano che in guerra tanti metodi diventano giustificati se portano al risultato sperato.
Questo indirizzo, malgrado la Dichiarazione di Bruxelles del 1874 e la Conferenza dell’Aia del 1899 che proibì dal 1900 l’utilizzo di proiettili contenenti gas asfissianti, portò a utilizzare gas tossici durante la Prima guerra mondiale. I primi a utilizzarli furono i francesi, sotto forma di lacrimogeni. Il lancio su larga scala viene datato, invece, 22 aprile 1915, durante la seconda battaglia di Ypres, sul fronte occidentale: i tedeschi attaccarono le truppe francesi con gas di cloro. Prima bombardarono le linee nemiche con proiettili tradizionali, poi li sostituirono con quelli a gas, per cercare di sbloccare lo stallo che già si era verificato nel conflitto. I francesi non furono subito consapevoli del pericolo, interpretando la nuvola di fumo causata dai nemici tedeschi come modalità di mascherare la carica. Pertanto non venne impartito l’ordine di scappare e il potenziamento delle guardie comportò perdite ingenti, che impressionarono gli stessi tedeschi. L’opinione pubblica dimostrò con forza contro quell’assalto disumano, ma da quel momento anche gli altri eserciti si sentirono in dovere di utilizzare mezzi così efficaci per cercare di vincere la battaglia e la guerra. Il massimo impiego di gas tossici e di proiettili tossici avvenne proprio sul fronte francese dove ancora oggi si trovano proiettili inesplosi contenenti sostanze pericolose.
Oltre al cloro venivano utilizzati fosgene (come nel caso dell’azione austriaca contro le truppe italiane a Caporetto) e iprite (detta anche Croce Gialla o gas mostarda, perché rimaneva appiccicato alle divise e si depositava sul campo di battaglia, avendo un colore che assomigliava a quello della senape) o altri gas, con risultati tossici per i polmoni, urticanti, starnutenti, lacrimogeni o vescicali. La tecnica, come per ogni bombardamento bellico, poteva essere di uso tattico, quindi limitato al campo di battaglia, o strategico, quindi verso le retrovie dove c’erano i depositi di derrate o il grosso della truppa, oppure nei centri civili per ostacolare l’avanzata nemica. Solitamente, si privilegiava l’apertura delle bombole di gas e la conseguente attesa che lo stesso venisse disperso nell’aria dal vento: tecnica molto rudimentale e che non era né sicura né efficace. L’effetto sorpresa veniva spesso vanificato, lasciando il tempo ai soldati nemici di attrezzarsi indossando le maschere antigas, anche se spesso il solo terrore del gas era sufficiente per spaventare le truppe nemiche e condurle anche alla fuga. In ogni caso, non poteva essere un metodo utilizzabile per molto tempo, quindi vennero subito trovati adeguati sistemi per ottenere dall’utilizzo dei gas tossici il massimo di efficacia e, quindi, di uccisione di soldati nemici.
La risposta all’attacco tedesco con il gas la si ebbe da parte britannica con l’utilizzo di cloro contro le linee tedesche nel settembre del 1915: tragicamente, la condizione atmosferica fece sì che la nube tossica ristagnasse contro le linee inglesi stesse. E non fu l’unico caso di determinazione degli effetti degli attacchi dal tempo atmosferico. Dal momento che i gas del cloro erano facilmente neutralizzabili in quanto non raggiungono gli alveoli polmonari, si studiarono gas più letali, che comportassero l’annientamento nemico. Fu il caso del fosgene, ottenuto dal cloroformio, sei volte più letale del gas di cloro e che provoca l’edema polmonare entro poche ore dall’inalazione. Anch’esso fu poi sostituito perché difficilmente maneggiabile.
Per difendersi dall’attacco nemico con i gas tossici, l’unico strumento era mettersi qualcosa davanti a naso e bocca. Poteva bastare anche un semplice fazzoletto bagnato durante le prime fasi di utilizzo dei gas durante la guerra, ma con lo studio di mezzi sempre più potenti per cercare di stroncare il nemico, divenne necessario fornire alle truppe delle vere e proprie maschere antigas. Queste consistevano in aggeggi ingombranti e pressoché inutili, in quanto nel giro di pochi minuti portavano all’asfissia se non venivano tolte. I gas sempre più tossici, comportarono maschere sempre più pesanti e con sempre maggiori strati di garza, attraverso la quale era impossibile respirare e che, in ogni caso, non erano troppo di aiuto. Inoltre, vittime del gas spessissimo erano i portaferiti e il personale sanitario, con quindi ulteriore aggravio del numero di vittime. Si calcola che le vittime italiane dei gas, durante la Prima guerra mondiale, ammontasse a circa 60mila, contro 100mila dell’Austria, i 190mila della Francia, i circa 200mila della Germania, i circa 480mila della Russia e gli oltre 70mila degli Stati Uniti.
Come abbiamo scritto, dovevano essere messi a punto dei metodi più efficienti per inviare gas dietro le linee nemiche. Quindi si produssero dei lanciabombe che videro svariati modelli d’uso. Quello più comune fu il modello inglese Livens; in ogni caso, il sistema consisteva nell’approntare delle vere e proprie linee di lanciabombe, come si potevano preparare batterie di artiglieria, interrate, in prossimità della prima linea. Quindi, il sistema veniva azionato da un congegno elettrico, in modo che i lanciabombe sparassero in contemporanea, creando una nube efficace di fumo. La gittata dei lanciabombe poteva variare da alcune centinaia di metri fino ai due chilometri. Anche in questo caso, tuttavia, le condizioni atmosferiche potevano influenzare l’attacco, al punto che si andava velocemente studiando il modo di usare dei veri e propri proiettili a gas sparati dai pezzi di artiglieria. In un primo momento, la quantità di gas per ogni proiettile era troppo esigua, ma nel tempo si trovarono soluzioni adeguate, anche appunto con l’uso di tipi di gas diversi. In ogni caso, la quantità esigua per ogni proiettile poteva essere ovviata anche da un intenso bombardamento di artiglieria, quindi un vero e proprio fuoco di fila.
La Grande Guerra vide anche l’impiego su larga scala di bombe a mano, molto utili per gli assalti alle trincee nemiche. Avere, infatti, un modo per avvicinarsi il più possibile alle trincee del nemico e poi usare armi che non richiedevano il contatto corpo a corpo, era di certo un mezzo per cercare di avere la meglio durante la battaglia. Le bombe a mano venivano adoperate dai granatieri che, appunto, avanzavano per primi verso le linee nemiche, di solito superavano i reticolati di filo spinato, tagliandoli, quindi si appressavano al nemico e lo colpivano con le bombe che ben si infilavano nei cunicoli utilizzati come riparo. Anche queste armi vennero perfezionate in occasione di quel conflitto. Le bombe a mano erano a doppio innesco, a tempo o a percussione. I soldati preferivano quelle a tempo, con una miccia, perché in quel modo il rischio che scoppiassero in mano per un urto accidentale veniva ovviato. L’esercito italiano ebbe in dotazione anche una bomba a mano a sfregamento, azionata da un innesco che produceva calore. Veniva anche distribuito una sorta di petardo che, lanciato contro il nemico, aveva lo scopo di stordirlo più che di ucciderlo, impedendogli di combattere. Uno di quei petardi veniva detto “ballerina” perché dotato di un pezzo di tela attaccato al manico di lancio che dava al lancio stesso maggiore precisione.
L’assalto alle trincee che proteggevano i soldati nemici veniva poi completato con l’uso delle mazze ferrate, strumenti già in uso nell’antichità, ma che nella guerra di posizione durante la prima guerra mondiale si rivelarono quanto mai utili e pratiche. Infatti, compiuto l’attacco, nel combattimento ravvicinato con il nemico, corpo a corpo, le mazze si rivelarono facili da impugnare e da utilizzare, con ottimi risultati in termini di ferite e uccisioni nemiche. Fu l’utilizzo delle mazze da parte dei soldati ungheresi nell’attacco sul Monte San Michele del 1916 contro gli italiani feriti rimasti nelle trincee, a far diventare la mazza ferrata simbolo della barbarie austroungarica. Una barbarie che la propaganda non smetteva di sottolineare, accanto alle satire contro il nemico che doveva essere demonizzato affinché ci fosse il costante appoggio dell’opinione pubblica alla conduzione del conflitto, così come la giusta carica di ferocia e di determinazione da parte dei soldati al fronte. Comparvero abbondantemente anche i lanciafiamme, inventati agli inizi del ‘900 e utilizzati in guerra per la prima volta nel 1915 anch’essi. I tedeschi, che avevano adottato il lanciafiamme per l’esercito nel 1911, creando un apposito reggimento specializzato, lo sperimentarono in battaglia contro gli inglesi che persero migliaia di uomini in soli due giorni, oltre che per l’uso dell’arma stessa, per il terrore provocato. Pur se d’impatto notevole e, appunto, terrorizzante, il lanciafiamme non fu poi così messo in pratica, perché presupponeva che il soldato che lo azionava dovesse rimanere in piedi, con il rischio elevato di essere eliminato dai cecchini nemici. Venne comunque adoperato anche contro case civili.
Tuttavia, il mezzo che più si sviluppò in occasione del primo conflitto mondiale fu l’aereo. Soprattutto in campo italiano, vantando l’Italia uno dei più grandi costruttori e progettisti di aerei di tutti i tempi, Giovanni Caproni. Gli apparecchi che venivano sperimentati erano in grado di alzarsi da terra soltanto di un paio di decine di centimetri, per nemmeno un minuto. Il dispendio di energia, sotto forma di carburante, era alto e i risultati spesso deludenti: l’aereo si impennava, oppure cadeva di muso, tanto che venivano attrezzati con dei perni sui quali poggiarsi proprio per non vedere le eliche schiantarsi a terra. I due piani di ali, piuttosto che studi sul motore e, soprattutto, su dove mettere il carburante, procuravano non pochi grattacapi a chi doveva fare i conti con l’attrito aerodinamico. Il primo apparecchio era datato soltanto 1903, pochi anni prima del conflitto. L’italiano Caproni, operativo in Trentino allora austriaco, sperimentava i suoi apparecchi a Malpensa, in territorio italiano quindi, per ragioni di spazi, di galleria del vento e di convenienza economica, e già dal 1908 era stato in grado di mettere a punto e brevettare aerei che potessero essere utilizzati come bombardieri e caccia. Non più soltanto mezzi da ricognizione, come erano state le mongolfiere e i palloni aerostatici, ma veri e propri mezzi da combattimento.
In Italia ci fu subito una grande passione per il volo militare ma, soprattutto, la grande intuizione che l’aereo avrebbe avuto grande futuro, in campo militare e forse non solo. Caproni non volò mai, pur essendo riconosciuto il più grande progettista al mondo. Gli aerei in fase di collaudo spesso si incendiavano o avevano incidenti di vario tipo: troppo pericoloso rischiare di perdere l’uomo in grado di creare una vera flottiglia aerea. Pertanto, non ebbe mai la soddisfazione di salire su un suo velivolo in funzione. I suoi brevetti avevano la sigla Ca seguita da un numero, e il massimo esemplare fu il Ca.46, bombardiere del 1918, già in grado di volare a 150 chilometri orari e capace di trasportare 500 chili di bombe. Gli aerei che erano stati ipotizzati da ricognizione, vennero immediatamente attrezzati con mitragliatrici e sistema per sganciare bombe sugli obiettivi nemici, e l’Italia fu il Paese belligerante più all’avanguardia in questo settore. I caccia italiani erano riconoscibili con la sigla SVA e Hanriot, capaci di percorrere i cieli a duecento chilometri all’ora e attrezzati con mitragliatrici calibro 7,7.
Il primo esperimento di armamento dei caccia avvenne nel 1912 da parte della Vickers che adottava per l’esperimento il nome in codice “Destroyer”. La mitragliatrice posta sul velivolo era una Maxim da 303 pollici di calibro, ma non avendo tenuto conto del peso della mitragliatrice che fece picchiare in avanti l’aereo al decollo, all’inizio del conflitto mondiale gli aviatori adoperavano le proprie armi personali per sparare contro il nemico. Addirittura venne installata una cintura che permetteva al pilota di alzarsi in piedi per poter sparare fuori dal velivolo, anche con la mitragliatrice di bordo, potendo. Il rapido sviluppo causato dalle necessità belliche, fece sì che già il 5 ottobre 1914 un aereo venne abbattuto dal nemico. Tuttavia, divenne chiaro che si doveva pensare a cambiare il motore per poter avere risultati migliori, oltre a non posizionare la mitragliatrice frontale sull’aereo, ma di lato. Infatti, Louis Strage fissò l’arma sull’ala del suo aereo, soluzione che si rivelò molto efficace, eccetto se l’arma si inceppava, come capitò proprio a lui, costringendolo a una manovra che rischiò di fargli perdere la vita.
Si cercarono sempre migliori alternative per mantenere la stabilità del velivolo, prestando fede alle affermazioni prebelliche di Roland Garros, e alle idee di Raymond Saulnier che aveva pensato la necessità di un sincronizzatore, cioè di un meccanismo che permettesse al pilota di sparare con la mitragliatrice soltanto quando le pale dell’aereo non fossero state davanti alla linea di tiro. Roland Garros e Raymond Saulnier si incontrarono a Parigi nel 1915 e misero a punto un sistema che consentiva di deflettere lontano i proiettili che avessero colpito le pale dell’elica. Il sistema funzionò, come ebbe modo di provare lo stesso Garros in combattimento, giungendo ad abbattere quattordici aerei nemici in soli due giorni di volo, nell’aprile del 1915. Fu proprio per descrivere le sue gesta che la stampa utilizzò il termine “asso” per definire un pilota straordinariamente capace. L’indomani delle sue memorabili imprese, però, Roland Garros venne abbattuto e catturato dai nemici tedeschi che, più che interrogare il pilota prigioniero, interrogarono le parti meccaniche dell’aereo, comprendendo il meccanismo che anche per l’aviazione tedesca sarebbe stato efficace. Se ne occupò l’ingegnere aeronautico Anthony Fokker che, in meno di due giorni, fu in grado di approntare lo stesso sistema per gli aerei dell’aviazione tedesca. Dato che nessuno dei piloti era disposto ad accettare quelle modifiche ai propri aerei, Fokker stesso volò con il prototipo, giungendo immediatamente ad abbattere un aereo nemico, un ricognitore, al punto che tutti si convinsero che il sincronizzatore usato era perfetto per lo scopo militare.
Con questi sviluppi, la guerra aerea vide una vera e propria escalation, portando i tedeschi in netta superiorità quando erano stati molto in difficoltà fino ad allora. Gli studi non si fermarono, al punto che gli anglo francesi tornarono in auge con nuovi apparecchi utilizzati in occasione della famosa battaglia della Somme. La novità, più che il modello degli aerei che erano già disponibili da alcuni mesi, fu che nella battaglia aerea della Somme la tattica cambiò, vedendo gli aerei di nuova concezione volare in formazioni di cinque, metodo ancor più efficace delle formazioni a quattro usate dall’aviazione tedesca. Questo causò i giorni più neri dell’aviazione tedesca, nel giugno 1916. La lotta aerea tra Albatros D.I e D.II tedeschi, Sopwith Pup inglesi, SPAD S.VII francesi, vide poi la comparsa di un nuovo asso dell’aviazione, il barone Manfred von Richtofen, giovane pilota che abbatté l’asso inglese Lanoe Hawker. Per festeggiare la riuscita, il Barone dipinse il suo Albatros di rosso e fu così che venne soprannominato il Barone Rosso. Questo portò a rovesciare i rapporti di forza e ad avere il Bloody April per gli Alleati anglo-francesi. Infatti, nell’aprile del 1917 persero 80 velivoli abbattuti dal Barone Rosso. Questo costrinse a nuove innovazioni, così gli inglesi misero in aria il Sopwith Triplane, molto più veloce che, tuttavia, venne ben presto catturato dall’aviazione nemica, fornendo ai tedeschi tutti i segreti che porteranno al perfezionamento di un nuovo aeroplano chiamato Fokker Dr., il preferito dal Barone Rosso. Il quale, ottenuto il comando, reclutò i migliori piloti della piazza e creò uno stormo di caccia composto da quattro squadriglie che presero il nome di Circo Volante, dai colori vivaci con i quali, a imitazione del comandante, i piloti dipingevano i loro aerei. Agli scontri aerei si sommarono gli scontri interni ai comandi, per la supremazia nello stabilire le tattiche da mettere in campo, e questo causò intralci nella prosecuzione degli sviluppi al fine di combattere il nemico. In ogni caso, con alterne prevalenze di una aeronautica sull’altra, invertite ben presto non appena qualcuno pensava di avere ottenuto il sopravvento, il Barone Rosso venne abbattuto il 21 aprile 1918. La morte del Barone divenne per i tedeschi funesto presagio sulla conclusione della guerra.
Interessante era il modo di arruolare gli aviatori. Era indispensabile, infatti, avere dei veri e propri eroi dei cieli, non troppo alti di statura e magri per non incidere sulla stabilità del velivolo, capaci di pilotare aerei che sembravano di carta, con serbatoi posti sotto il sedile di pilotaggio, pronti ad incendiarsi per un nonnulla. In Italia, non furono da meno di quelle del Barone Rosso le gesta di Francesco Baracca, medaglia d’oro al valor militare. Accanto a lui Luigi Gori e Fulco Ruffo di Calabria. Famosissimo era il poeta pilota Gabriele D’Annunzio che, in realtà, non sapeva pilotare un aereo, ma che rese l’aviazione celeberrima per il famoso volo su Vienna con una flottiglia di SVA 5. Caproni venne costretto ad apportare una modifica a un aereo per far sì che il Vate fosse davanti nel biposto, con il pilota dietro di lui. Il 9 agosto 1918, dopo lunghi preparativi, soprattutto volti a garantire l’autonomia di carburante ai velivoli, D’Annunzio decollò con una squadriglia di SVA da San Pelagio e volò su Vienna per sganciare migliaia di volantini con i quali scriveva ai cittadini austriaci che l’Italia non ce l’aveva con loro, voleva solo le proprie terre. Con quel mezzo, l’Italia aveva dimostrato le sue buone intenzioni, perché come aveva trovato il modo per giungere in volo sulla capitale austriaca, avrebbe potuto trovare il modo di sganciarvi bombe. In realtà, non si voleva colpire il popolo, ma sollecitare la politica. L’episodio passerà alla storia come uno dei più famosi del conflitto. Nel caso dell’aviazione, la guerra fu un vero e proprio motore propulsivo, il vero motivo di slancio della nuova industria. La ricerca tecnologica si perfezionò e si ampliò a tal punto che Stati come la Francia iniziarono la guerra con poco più di cento aerei, finendola con oltre quattromila, avendone prodotti quasi settantamila in tutta la durata della guerra.
All’inizio del conflitto il 24 maggio 1915, l’Italia aveva 150 aerei e 91 piloti, ma in breve coprì le distanze con le altre nazioni belligeranti. Per il bombardamento, come già facevano i tedeschi, vennero utilizzati anche 75 dirigibili, idonei per portare le sostanze a lunga distanza. Se l’innovazione nei caccia doveva essere costante, era meno utile per i bombardieri, che si svilupparono meno. Il bombardamento strategico e tattico fu una scelta difficile, messa in campo dai vari governi. I tedeschi bombardarono per la prima volta postazioni civili il 19 gennaio 1915, colpendo le città di Great Yarmouth e King’s Lynn, causando una ventina di vittime. Poi venne comandato il bombardamento di Londra nel maggio 1915, con l’ordine di salvare i monumenti. Spesso per l’utilizzo dei bombardamenti aerei, l’aviazione non era amata né dai civili né dai militari che combattevano sul campo.
Qui, il mezzo che fu davvero rivoluzionario fu il carro armato. Questo era una macchina in grado di muoversi su vari tipi di terreno e capace di avanzare sotto il fuoco nemico, essendo chiusa, blindata, montata su cingoli. Era in grado di superare anche trincee larghe due metri. Nei primi modelli di carro armato, inglesi, potevano entrare dieci soldati che potevano sparare sul nemico usando le mitragliatrici che vi erano montate. Usati inizialmente nel 1916 nella battaglia della Somme, i primi modelli vennero subito abbandonati perché avevano dei grossi problemi tecnici, non prevedendo i tubi di scappamento, ma portando a nuovi modelli usati dagli anglo-francesi dal 1917. Il 20 novembre 1917, infatti, un uso massiccio di carri armati avvenne nella battaglia di Cambrai, dove vennero schierati su un fronte di otto chilometri, prendendo di sorpresa il nemico. I tedeschi furono poco propensi ad investire in questo campo, tanto che ebbero pronto il loro primo carro armato in battaglia il 17 dicembre 1917; così anche gli austro-ungheresi, mentre l’Italia mise in campo i Fiat 3000 che, però, vennero perfezionati a fine conflitto. L’esercito italiano aveva in adozione anche autoblindo, in cui i cingoli erano sostituiti dalle ruote. Anche il carro armato cambiò le strategie di combattimento durante la prima guerra mondiale. Era diventato chiaro, infatti, che i nuovi mezzi, sempre più potenti, dovevano cooperare con la fanteria, in una tattica messa a punto in modo preciso.
Era necessario pensare a combattimenti di carri armati, che dovevano essere utilizzati in massa, come proprio era stato chiaro a Cambrai, ma come fu evidente anche a Riga, Caporetto e sulla Marna. La funzione delle nuove divisioni corazzate, secondo alcune teorie, doveva essere strategica e non tattica, mentre soprattutto gli Stati Maggiori pensavano soltanto ad un utilizzo di appoggio della cavalleria e della fanteria, perché i mezzi sembravano lenti e poco efficaci. In effetti si ebbero carri armati pesanti, che seguivano il passo dei fanti, e quelli più leggeri, che si muovevano più rapidamente sul terreno. Nel 1917, inoltre, comparvero anche dei modelli con torretta rotante per la mitragliatrice, cosa che era assolutamente efficace per ottenere risultati ottimali; vennero prodotti anche carri armati con cannone. I mezzi erano ancora corazzati con un sistema di chiodatura delle assi metalliche le une alle altre, di spessore relativamente scarso per una buona protezione, e mancavano di sospensioni, ma vennero sviluppati ampiamente per un’adozione che si vide chiara durante il secondo conflitto mondiale.
Non ultimo fu lo sviluppo dei mezzi per navigare sott’acqua, anche questi pensati da secoli (già Leonardo, come per l’aereo e il rotore del futuro elicottero, ne aveva condotto degli studi), ma che ebbero vero impulso sempre in questo conflitto. Lo scopo principale, soprattutto da parte della Germania, era cercare di imporre un blocco alla supremazia navale inglese, da sempre regina dei mari per la sua stessa conformazione geografica. Fu proprio la guerra sottomarina quella che infastidì maggiormente la Corona inglese e che comportò poi la maggior fermezza nelle sanzioni contro la Germania. I sommergibili servivano a controllare meglio le coste nemiche e a disturbare il transito delle navi militari o delle navi di rifornimento, muniti di mitragliatrici e di cannoni inizialmente, fino alle bombe. La navigazione superficiale era molto pericolosa, pertanto si cercarono metodi sempre più efficaci per garantire l’inabissamento del mezzo a profondità sempre maggiori. Proprio l’azione di disturbo contro le navi inglesi da parte dei sottomarini tedeschi, divenne il pretesto che gli Stati Uniti cercavano già da qualche tempo per giustificare all’opinione pubblica l’ingresso in una guerra europea che poteva rivelarsi assai proficua alla fine del conflitto.
Nel 1917, per errore, venne colpita da un sottomarino tedesco una nave passeggeri statunitense e questo fece sì che non solo gli USA entrarono in guerra, ma che le sorti dei Paesi dell’Intesa combattenti migliorassero grazie all’apporto americano. Più che uomini e mezzi di combattimento, infatti, furono gli aiuti nei rifornimenti civili a dare respiro a nazioni molto provate e che non vedevano l’ora di tornare alla pace. Come era accaduto alla Russia, ad esempio, la cui popolazione civile allo stremo aveva portato allo stravolgimento delle sorti belliche del Paese e non solo.