Tra folk-rock, canzone d'autore e jazz, il debutto del giovane artista - allievo di Boris Savoldelli e devoto di Tim Buckley - vede la partecipazione di musicisti del calibro di Guido Bombardieri e Nik Mazzucconi.
“Avevo un'idea per il mio disco d'esordio: ciò che avevo in testa è stato tradotto in musica senza filtro, e questa è sicuramente la cosa più importante. Ogni mia canzone ha una storia a sé. Spesso sono vere e proprie fotografie messe in musica. In altri casi l’ispirazione viene dal cinema o dalla letteratura. Mi piace poter pensare a questa contaminazione di arti che si intrecciano per nutrire l’ispirazione”. Ha le idee chiare Roberto Fedriga, autore di un felice album di debutto omonimo, partorito con spontaneità e immediatezza, ma con un progetto ben preciso alla base: far parlare il cuore, le proprie passioni, la propria visione della musica e dell'espressività interiore. Roberto Fedriga è un'opera prima onesta, dieci brani che spaziano tra canzone d'autore all'italiana, folk-rock angloamericano, fumoso blues e jazz ballads.
Nato a Lovere (BG) nel 1984, Roberto Fedriga debutta come cantante in varie rock band locali e affina il proprio talento insieme a un maestro speciale, il vocal performer Boris Savoldelli, intraprendendo lo studio del canto jazz. Tom Waits, Nick Drake, John Martyn e soprattutto Tim Buckley lo influenzano profondamente nella tecnica vocale ma soprattutto nella ricerca dell’interpretazione come obiettivo principale dell’espressione musicale. "La scoperta di Tim Buckley è stata una folgorazione per la capacità di fondere più generi musicali, ma soprattutto per ciò che faceva con la sua voce. Cantare le sue canzoni ti porta a superare limiti non solo tecnici, ma soprattutto emozionali. Nel suo caso la tecnica non è fine a se stessa, è quasi involontariamente utilizzata per raggiungere confini psico-fisici mai raggiunti".
Pubblicato nel settembre del 2014, Roberto Fedriga è un disco collettivo poiché vede la collaborazione, tra gli altri, di importanti musicisti del panorama bergamasco come Nik Mazzucconi e Guido Bombardieri. La grafica curata da Armando Bolivar (ovvero Alessandro Ducoli, apprezzato cantautore), con immagini tratte da un prezioso volume della British Library, dona un tocco fiabesco e arcano a un album ispirato e confidenziale, che rivela all'ascoltatore il mondo interiore e sonoro di Roberto Fedriga.
Intervista a Roberto Fedriga
Roberto Fedriga è il tuo disco d’esordio. Domanda a bruciapelo: sei soddisfatto?
Essenzialmente sì, diciamo che quello che avevo in testa è stato tradotto in musica senza filtro, e questa è sicuramente la cosa più importante.
Hai avuto varie esperienze con rock band e sei arrivato al tuo debutto solista: quanto ha contato la militanza in gruppi locali?
L’esperienza accumulata negli ultimi 15 anni, in cui mi sono esibito in varie soluzioni con band locali in diversi generi, sicuramente non ha potuto che accrescere le mie potenzialità e creare una tavolozza di “colori” musicali a cui attingere quando ho deciso di creare la mia musica.
Tra le altre cose, sei allievo di una delle voci più apprezzate negli ultimi tempi a livello internazionale, ovvero Boris Savoldelli: quanta influenza del maestro c’è nella tua musica?
Lo studio del canto è stato fondamentale. La fortuna di aver avuto come maestro Boris mi ha permesso di crescere ma allo stesso tempo seguire la mia direzione. Una delle sue prerogative è proprio quella di accompagnare l’allievo verso gli obiettivi che lo stesso si pone, senza influenzarlo nello stile o nei gusti musicali.
Esiste un “metodo standard” per la nascita delle tue canzoni oppure ogni brano ha una storia a sé?
Ogni mia canzone ha una storia a sé. Spesso sono vere e proprie fotografie messe in musica. In altri casi l’ispirazione viene dal cinema o dalla letteratura. Mi piace poter pensare a questa contaminazione di arti che si intrecciano per nutrire l’ispirazione.
Quali sono le tematiche che prediligi nella scrittura?
Come dicevo prima l’ispirazione per la scrittura mi arriva spesso dal cinema, dall’arte visiva e dalla letteratura. Nei testi sono presenti citazioni più o meno evidenti. In altri casi la scrittura è di getto, legata a immagini o a esperienze che mi hanno spinto a utilizzarla come vera e propria valvola di sfogo.
Le tue canzoni sono una sorta di fusione tra la scrittura d’autore italiana e la tradizione folk-rock americana: quali sono i tuoi punti di riferimento, quegli artisti o quei gruppi grazie ai quali hai cominciato a fare musica?
Su tutti Tim Buckley. la sua scoperta è stata una folgorazione, sicuramente per la capacità di fondere più generi musicali, ma soprattutto per ciò che faceva con la sua voce. Cantare le sue canzoni porta a superare limiti non solo tecnici, ma soprattutto emozionali. Nel suo caso la tecnica non è fine a se stessa, è quasi involontariamente utilizzata per raggiungere confini psico-fisici mai raggiunti.
Roberto Fedriga è un album solista ma non sei solo, vista la truppa di musicisti che hai coinvolto: quali sono gli strumentisti che hai scelto e per quale motivo?
Ho voluto coinvolgere musicisti che negli ultimi anni ho avuto la fortuna di conoscere e con i quali ho collaborato sia in studio che sul palco. Grandi artisti, ma soprattutto amici che sono riusciti a cogliere immediatamente le mie intenzioni. Oltre ai miei storici compagni di viaggio Luca Finazzi (batteria), Andrea Lo Furno (chitarra) e Francesco “Cico” Benedetti (piano) ci sono Nik Mazzucconi al basso, Guido Bombardieri al Sax e al Clarinetto, Lorenzo Melchiorre alla chitarra, Teo Marchese alle percussioni.
Sei bergamasco e la tua terra offre buone proposte musicali, basta pensare ai Verdena: com’è lo stato di salute della musica orobica?
Purtroppo sappiamo tutti che il momento è triste. La musica dal vivo non è più vista come un momento sociale. Ormai i ragazzi preferiscono altri tipi di intrattenimento, la mia terra è un esempio esaustivo. I locali o le manifestazioni che vivevano di musica dal vivo stanno pian piano scomparendo. Di conseguenza meno giovani si interessano alla musica e allo studio di essa. E senza “vivai” non si va da nessuna parte.
Roberto Fedriga stupirà molti anche per la scelta grafica, con immagini demodè ma molto affascinanti: ci spieghi questo concept?
Per la grafica devo ringraziare Armando Bolivar (alias Alessandro Ducoli) che oltre ad essere un amico e un grande cantautore si è dimostrato anche un ottimo grafico. Le immagini sono tratte da un volume della British Library che la stessa ha voluto regalare al mondo. La serigrafia del disco è invece un omaggio a Renoir, che ho sempre amato e che per me ha sempre rappresentato l’ideale di Artista votato alla raffigurazione del bello.
Questo album è una sola operazione di studio oppure avrà anche una vita propria dal vivo?
L’intenzione è quella di suonare davanti a un pubblico col qual poter condividere le emozioni. Come dicevo purtroppo la situazione della musica dal vivo non è più quella di un tempo. Così come la socializzazione ormai è affidata a mezzi come Facebook e simili, anche la reperibilità della musica è purtroppo sempre più legata alle piattaforme digitali. Questo ha portato a mio avviso a una sempre minor voglia generalizzata di ricerca e di scoperta “sul campo”. Troppo spesso capita di vedere concerti semi deserti, con quei pochi spettatori che passano metà del tempo con lo smartphone in mano. La capacità di attenzione è calata. Per molti è diventato quasi impossibile ascoltare un 33 giri senza aver la possibilità di passare rapidamente da un brano all’altro, figuriamoci un concerto di due ore. Tutto questo per dire che la voglia e l’intenzione di portare il mio lavoro dal vivo c’è, ma bisogna anche realisticamente capire qual è allo stato attuale il modo migliore per raggiungere il pubblico.
Cosa ti aspetti da Roberto Fedriga?
Per me l’arte in generale, e quindi anche la musica, è un mezzo per trasmettere emozioni e immagini. La speranza è di riuscire a condividere queste mie canzoni con il maggior pubblico possibile e trasmettere ciò che ho provato nello scriverle.