On n’est pas sérieux, quand on a dix-sept ans.
…
Nuit de juin! Dix-sept ans! – on se laisse griser.
La sève est du champagne et vous monte à la tête …
On divague; on se sent aux lèvres un baisier
Qui palpate là, comme une petite bête …
(A. Rimbaud)
Il film Giovane e bella (2013) di François Ozon racconta la storia complessa e tormentata di Isabella, una diciassettenne alle prese con la difficoltà di incontrare la vita con nuovi sguardi e nuove responsabilità, alle prese dunque con l’ardua prova dell’imparare come si fa a diventare adulta. Il film racconta un anno della vita di Isabella ed è scandito in quattro tempi che seguono il ritmo delle stagioni, simbolo delle differenti esperienze che vivrà e del passaggio dall’età infantile all’età adulta.
Ad accompagnare lo scorrere del tempo ci sono anche quattro canzoni di Françoise Hardy che con la sua voce acerba e cantilenante esprime bene gli stati d’animo che fanno capolino nell’epoca adolescenziale e quattro sono le strofe della poesia di Rimbaud che recita “nessuno fa realmente sul serio a 17 anni”, versi che vengono interpretati in classe da Isabella coi suoi compagni, quasi a sottolineare con maggior intensità le oscillazioni emotive e la confusione che caratterizza il pensiero adolescente. Nel film c’è dunque una cornice temporale che evoca la ripetitività di una storia che rappresenta una metafora universale, racconta dolorosamente il costo emotivo che comporta la ricerca e la scoperta di sé in adolescenza.
Quando il film inizia siamo in estate e Isabella, al compimento del diciassettesimo anno, decide con convinzione di perdere la verginità. Questo obiettivo rappresenta il traguardo che segnala la demarcazione tra l’essere bambina e diventare donna e sembra essere per lei un passaggio obbligato per poter proseguire il percorso di crescita che ha architettato con determinazione e che prevede una compulsiva esibizione e vendita di sé. Questo piano apparentemente diabolico, per Isabella è un’esigenza incontrollabile di cui anche il suo corpo pubere pare avere bisogno per sentirsi riconosciuto, degno e bello nonostante la perdita della perfezione infantile. L’autunno è segnato allora dal “gioco” della prostituzione, esperienza fatta di corridoi e di strade da percorrere e ripercorrere, immagini che sembrano adombrare il cammino dell’età evolutiva e simbolizzare il passaggio della nascita. D’altra parte l’adolescenza non è forse considerata una sorta di seconda nascita? E il ripetersi di questo copione sembra ricalcare un rituale che ricorda un rito di passaggio adolescenziale vissuto terribilmente in solitaria.
È rituale anche presentarsi agli appuntamenti clandestini indossando gli abiti della madre, come per mettersi nei suoi panni, o forse per dissacrare la figura materna, oppure abiti vissuti come una seconda pelle protettiva. Ma questo abbigliamento è anche la sua divisa da lavoro o la mascherata per entrare nel ruolo della donna sessuata e nascondere il corpo ancora di bambina di cui si riapproprierà alla fine delle prestazioni sessuali, rivestendosi con i soliti jeans e maglietta. Isabella, per contattare via internet i suoi clienti, si inventa anche un nome d’arte, Léa, proprio il nome della nonna, come se ci fosse bisogno di mamma e nonna in un legame transgenerazionale che la possa confermare nel ruolo di adulta e/o come se ci fosse il bisogno di coinvolgerle e renderle corresponsabili delle sue spregiudicatezze. In realtà, Isabella ha paura di diventare grande, teme di non saper affrontare l’ignoto, e allora lo sfida con una sicumera che tradisce la sua fragilità emotiva e la consapevolezza terrificante di sapersi insicura e sola in questo passaggio.
Forse c’è pure il bisogno di sfidare il mondo, di sentirsi invincibile e immortale anche in situazioni di notevole pericolosità di cui pare non percepire il rischio, c’è un affidarsi con estrema incoscienza ad esperienze “senza rete”, ad incontri con partner che la obbligano ad umilianti comportamenti perversi. Ma niente sembra toccarla né intaccarla; nonostante i ripetuti agiti sessuali sembra che nessuno riesca davvero a penetrarla, lo sguardo è vitreo, impenetrabile appunto, fa rimbalzare invece che accogliere, Isabella non dà segnale di esistenza, potrebbe essere in coma o sonnambula o una bambola di gomma e non pare percepire con i sensi né tantomeno con le emozioni quello che le accade.
Il suo corpo è bellissimo, sembra immacolato, asessuato, non c’è la sensazione di un corpo imbrattato dal peccato e dalla colpa, è un corpo liscio, di bambina più che un corpo adolescenziale che emana afrori, sudori, escrezioni tipici dello sconvolgimento ormonale. È un corpo bello, ma asettico, può fare sesso continuamente ma senza sporcarsi, perché non c’è partecipazione eccitatoria né emotiva. Nelle relazioni non c’è legame, ma si sprigiona come un’anestesia che copre tutto quel fare deprivandolo di senso e di passione.
C’è una compulsività non dettata da un desiderio sessuale imperioso ed irrinunciabile, non c’è erotismo nel film, ma palpita una dipendenza dal bisogno di sentirsi riconosciuta, dal bisogno di integrazione e di costituzione d’identità. Isabella ha ogni volta bisogno di dare valore al proprio corpo, di confermare così la propria bellezza, affermare il proprio potere, consolidare la propria forma, garantendosi un contenitore-pelle che la renda coesa ed intera. Prova piacere perché la cercano, perché la vogliono, ottiene così conferma della sua esistenza e dunque del suo valore, è pagata e raccoglie i soldi che non spenderà mai in un astuccio-contenitore vuoto che simbolicamente la rappresenta e lo riempie a poco a poco di quei soldi/mattoncini che pensa le diano consistenza e pienezza.
Isabella, dunque, non riesce a giocare col proprio corpo adolescente per scoprirlo nelle sue nuove potenzialità, ma necessita di farsi del male per sentirsi viva e la sessualità è agita in maniera violenta verso se stessa e verso l’altro, che diventa una parte di sé con cui e su cui agire. Il piacere libidico è usato per bloccare le angosce massicce di origine infantile, per riempire i vuoti dell’anima e del corpo che la lacerano implacabilmente e l’uomo viene ricercato solo per averne il controllo totale, per non sentirsi sola.
Ma ecco giungere l’inverno, la stagione più drammatica: a seguito della morte di George, uno dei suoi ”clienti” più affezionati, la madre viene messa al corrente dell’attività di Isabella dalla polizia e scopre l’altra faccia di sua figlia, ma non riesce a capire come possa essere successo, si alambicca il cervello per indagare eventuali errori e ragioni. Il comportamento di Isabella le crea incredulità e repulsione, ma chi è quel mostro sconosciuto, travestito da sua figlia? Per la ragazza invece la promiscuità sessuale non ha odore di degradazione né di perversione, ma è un modo come un altro, (avrebbero potuto essere il fumo o la droga), per iniziare a sperimentarsi da grande e per riconoscersi, è un comportamento accompagnato da un brivido di trasgressione e da un vissuto di pseudo-adultità che risulterà, ovviamente, insoddisfacente e mortificante.
In primavera, stagione della rinascita, Isabella tenta la riparazione tramite il reinserimento nel gruppo dei pari con la bella indifferenza di chi nega quello che è successo, “nessuno fa realmente sul serio a 17 anni”, ognuno è semplicemente preso dalla sua personale sperimentazione del mondo, mosso dall’impellente bisogno di conoscere la propria verità. Allora Isabella fa finta che tutto sia come prima, ma mantiene un atteggiamento di assoluto distacco, come se vivesse in un'altra dimensione che non prevede la possibilità di relazione, di contatto. Gli altri sono come fantasmi oppure è lei l’inquietante fantasmino che si aggira eterea senza toccare la realtà del mondo con cui sente di non avere niente a che fare.
Alla fine la comprensione e il sollievo scaturiranno dall’incontro con la moglie di George, la donna al di fuori delle conflittualità familiari, la capisce, non la giudica, ma risuona della sua stessa tristezza, le parla il linguaggio della verità e l’accompagna nel tollerare il senso di colpa. Al termine di questa odissea, Isabella non è più la stessa, ma è profondamente trasformata dall’esperienza e vediamo per la prima volta aleggiare dei pensieri nei suoi occhi, probabilmente pronta per incontrare la realtà, poter pensare la sua vita e appropriarsene con maggior consapevolezza. E a questo punto neanche il regista oserà interferire nelle sue scelte, come per timore di violare la mente di Isabella, ma si accomiata da lei delicatamente lasciandola libera di proseguire la sua storia …
Il film non vuole essere la fotografia di una perversione, ma dipingere il ritratto di un’età estrema in cui c’è un tale bisogno di conoscersi da arrivare persino al punto di sdoppiarsi per osservarsi dal di fuori, di farsi del male per sentirsi, c’è bisogno di perdersi per ritrovarsi, occorre allontanarsi da sé, trovare la giusta distanza per mettersi a fuoco e scoprire la propria immagine. La storia di Isabella rappresenta la complessità della ricerca identitaria in un mondo dove l’autorità genitoriale si è indebolita, le intimità familiari sono poco fruibili perché sono vissute più razionalmente che con profondità emotiva, col risultato che i figli rimangono soli e cercano vicinanze alternative o sostitutive.
Sulle pagine dei quotidiani si riportano sempre più spesso episodi di giovani appartenenti a famiglie borghesi che si prostituiscono senza un apparente valido motivo, il film ci mette a contatto col dolore segreto e impensabile che l’adolescente può patire nel suo percorso di crescita, dolore irriconoscibile ed inimmaginabile dagli adulti di riferimento, in particolare dai genitori. Nella vita di Isabella il rapporto fallimentare tra i suoi genitori probabilmente ha causato un senso di vuoto, di disorientamento, di sfiducia, ha aperto angoscianti interrogativi sull’amore. Meglio non fidarsi troppo, non abbandonarsi alle emozioni che possono essere fonti di sofferenza insopportabile.
Ozon nel raccontarci la storia di Isabella ci permette di avvicinarci a piccoli passi, con rispetto e delicatezza, alle turbolenze del mondo adolescenziale, si percepisce in lui una passione per questa età che ritrae con una competenza emotiva che lascia intravvedere una sua identificazione profonda e partecipata. Ne fa un dipinto che affascina e turba allo stesso tempo, sono tratti che non vogliono saturare di significato, ma permettono di sognare l’adolescenza senza violare il mistero ineffabile di cui è intessuta.