Si è parlato molto, soprattutto negli anni sessanta, del “modello svedese”, un tipo di società in cui privato e pubblico, grazie alla socialdemocrazia, riuscivano a interagire fattivamente creando un clima di collaborazione che scongiurava acuti conflitti di classe e propiziava un benessere collettivo.
E' chiaro che le radici di questo fenomeno dovevano venire da lontano, da un tipo di civiltà e di cultura che ne avessero creato l' “humus” antropologico. Un sacerdote romagnolo, Francesco Negri, nei '600, in un viaggio in Scandinavia durato tre anni che lo portò fino a Capo Nord, ci ha lasciato una relazione, il “Viaggio Settentrionale”, dove troviamo il primo quadro approfondito della geografia, dell'etnologia, dell'economia, degli usi e dei costumi dei popoli scandinavi, con particolare riferimento alla Svezia. :
“Mi stimolò sempre fin dai primi anni il genio inseritomi dalla Natura a far qualche gran viaggio per osservare le varietà di questo bel mondo … poiché io non mi conosceva abile a leggere tutto questo gran volume, di leggerne almeno un foglio, per osservare in esso i meravigliosi caratteri della Divina Mano del Supremo Autore impressivi.”
Il sacerdote fu anche il primo italiano, e forse il primo di tutto il Sud-Europa, a descrivere e, soprattutto, a praticare lo sci:
“Hanno due tavolette sottili, che non eccedono in larghezza il piede (ca. cm.30), ma lunghe otto nove palmi (ca. cm. 240-300), con la punta alquanto rilevata per non intaccar la neve. Per camminare dunque con gli skie, che così chiamano gli Svedesi quelle tavolette, non le sollevano mai dalla neve alzando il piede, ma leggermente strisciando vanno avanzando con l'istessa agilità, che camminando liberi a piedi sopra la terra, e non fanno nella neve maggior impressione, che la grossezza di un dito...”
Spesso le “tavolette” erano ricoperte di pelle di renna per renderle più scorrevoli e in questo modo gli sci diventavano uno straordinario ausilio per la caccia, permettendo di colpire rapidamente con l'arco renne e orsi e per rendere ancora più veloci le “tavolette”, Negri ci fa sapere che ci si portava “seco una piccola vela triangolare che si distende contro il vento, quando questo fortemente gli incomoda.”
Oltre agli sci, il viaggio del religioso fu ricchissimo di sorprese, di scoperte e di situazioni avventurose, come testimonia un suo biografo:
“Assai delle volte per sentieri intralciati, boscosi, aggirevoli si smarrì, perché egli viaggiava senza compagni, sconfidato (dice ei medesimo) di trovare chi avesse un corpo di ferro e un animo di bronzo come il suo. Patì freddi non tollerabili, fu presso a morir di fame e ad annegare ...”
Ma sempre se la cavò col personale ingegno e prendendo esempio dal comportamento degli indigeni; ad esempio, per vincere il freddo, “il più fiero del mondo abitato”, dava quattro consigli:
“Il primo è l'esser largo nel mangiare e nel bere; il secondo è il bere specie la mattina, buone porzioni di acquavite … il terzo è andare benvestito di panni di lana, con guantoni e manopole duplicate, e con l'aggiunta al cappello di pelli col pelo dentro … e per ultimo esercizio e movimento.”
Allo stesso modo giustificava la tendenza degli svedesi ad alzare il gomito come una necessità dettata, appunto, da condizioni climatiche unitamente all'uso continuo di stufe che “eccitano” la sete e alla consuetudine di mantenere i cibi sotto sale, cosa che permette pure agli scandinavi di avere sempre una scorta di pesce, ovini, suini e oche in salamoia da offrire ad ospiti e forestieri. Nonostante la Svezia si fosse più di un secolo prima convertita al luteranesimo, il Negri trovò generosa accoglienza tra i pastori protestanti:
“Essi pur godevano di interrogarmi dei nostri paesi, e mi facevano istanza a trattenermi per qualche giorno in casa loro, particolarmente quando mi udivano dire che io sono Italo-Goto, cioè la mia patria essere Ravenna, l'antica residenza già dei re Goti ...”
Il nostro viaggiatore rimase sorpreso dalla serietà con cui gli abitanti seguivano le funzioni religiose e quei pochi che osavano chiacchierare o assopirsi in chiesa erano prontamente individuati e allontanati; c’era anche una forma di purificazione pubblica per i concubini, che erano invitati, una o più domeniche, a sedersi su un una panca separata dagli altri fedeli per penitenza. Sebbene la terra desse frutti scarsi e faticati, i contadini riuscivano a condurre una vita dignitosa, dato che, al posto della mezzadria, esistevano molti piccoli proprietari o venivano praticate lunghe affittanze che permettevano di programmare proficuamente lo sfruttamento del terreno.
Gran parte dei lavoratori agricoli sapeva leggere e scrivere e vestiva come i cittadini e i gentiluomini, ma l'aspetto più importante era la solidarietà che legava il mondo contadino, infatti, tutta la comunità era sempre pronta ad aiutare chi fosse colpito da qualche calamità.
La scarsità dei prodotti della terra, che dava soprattutto grano, segala e orzo, era ampiamente compensata dalla ricchezza di acque che consentiva una pesca ricchissima e dalle sterminate foreste di conifere che permettevano di cacciare le renne, da cui si traevano carne e pellami che venivano anche esportati. Infine, Negri riuscì anche a vedere in attività numerose miniere di argento, rame e ferro.
Innamorato di queste terre, dove aveva conosciuto un tipo di vita e di società tanto differenti dalle nostre, le paragonò al paradiso terrestre, perché:
“L'aria è così salubre, che questa gente vive lungo tempo senza aver bisogno di medico e medicina. Le donne nel parto scorrono molto meno pericolo, e assai meno dolore e nel matrimonio non abbisognano di dote. La terra non germoglia spine , né produce, né sostiene animali velenosi. Finalmente non patisce mai carestia, la guerra mai non l'affligge, mai non la tormenta la peste.”
A Capo Nord, una lapide, posta nel 1979, ricorda che “Franciscus Negri italus de Ravenna ad finem Europae pervenit A.D.1664”.