Fatigués! Fatiguès! Fatiguès! Fatiguès!
Sono circa le 3 del mattino del primo gennaio 2012, sono ingorgata in aeroporto a Dakar con i compagni di viaggio conosciuti da poco e un coro di senegalesi sollecita i funzionari connazionali per il disbrigo delle pratiche d’ingresso nel paese.
Bonne annèe et bon sèjour au Sènègal tout le monde!
L’indomani, primo giorno di vacanza, siamo in partenza per l’isola di Gorée. La cauta intraprendenza dell’autista che guida il nostro pullman e la proposta di matrimonio che ricevo al bar dell’imbarcadero subito mi trascinano nelle calde acque di una primordiale seduttività dove possono galleggiare anche i nuotatori meno esperti. Dopo un’approfondita visita alla Maison des esclaves, trascorriamo la giornata passeggiando per le viuzze dal sapore coloniale… saliamo per un promontorio, richiamati qua e là dalle proposte di qualche venditrice.
Terminiamo la giornata sui grandi viali di Dakar, place de l’Indipendance, marchè Kermel, palais Presidentiel, Assemblée Nazionale, Cattedrale, Mosquée de la Divinité, Reneissance.
Il secondo giorno raggiungiamo il Lac Rose, una laguna dove l’acqua, a causa dell’alta concentrazione di Sali minerali, assume una lieve colorazione rosata. E’ curioso come 12 viaggiatori adulti, la cui vita in Italia sembra caratterizzata dai numerosi impegni, in vacanza dedichino tanto tempo e sincero interesse a capire come viene estratto il sale dal lago. Il nuovo autista si diverte a scorrazzarci imprudentemente sulle dune circostanti.. e infine il mare, le onde alte e spumeggianti dell’Oceano..il cielo blu... il vento nei capelli.
Nel tardo pomeriggio arriviamo a St. Louis, decadente ed affascinante cittadina coloniale animata da una chiassosa e variopinta popolazione riversata nelle strade. La deliziosa cena consumata nel ristorante “La Rèsidence” è una riuscita contaminazione culinaria tra il freschissimo pesce senegalese e una gloriosa salsa francese a base di panna. Immagino che in notti come queste, limpide e fresche, le signares, donne di razza mista che in epoca coloniale sposavano ricchi mercanti europei temporaneamente insediati in città, potessero scambiarsi i primi baci, appassionati ed interessati, col futuro sposo..forse sotto un pergolato, forse nel patio dell’Hotel de la Poste, dove pernottavano i piloti addetti al trasporto aereo della corrispondenza.
Delle escursioni di carattere naturalistico la più significativa è quella al Parc National des oiseaux du Djoudj. Il silenzioso tragitto in piroga alla ricerca delle diverse specie che transitano per il parco è premiato dalla vista di una colonia di pellicani radunati, fitti fitti, sopra un isolotto dove i numerosi pennuti sembrano impegnati ad intrattenere importanti e gestuali relazioni.
Non manca neanche il deserto. Le poche dune di Lompul bastano a risvegliare la sensualità di un piede che sprofonda nella sabbia e la rotondità del paesaggio inviterebbe a rotolarsi impudentemente dalle morbide discese. Come l’amplesso tra due serpenti avvinghiati e striscianti nel loro avanzare ritmico e fecondo, così il suolo ti richiama per un contatto totale con la materia. Oppure, in altre situazioni emotive, come gatti, ci si potrebbe sdraiare supini a grattarsi amenamente la schiena.
Visita guidata, secondo i crismi, alla Moscha di Touba e degustazione dell’omonimo caffé lungo la strada per Toubakouta. Attratti forse dalla gestualità ipnotica e rituale di una colorata signora che travasa la bevanda da un contenitore all’altro, apprezziamo il dolce e speziato liquido perdurare aggrappato alle ruvidità della gola. Con questa miscela in corpo potrei anche ululare “O zittre nicht, mein lieber sohn” del Flauto magico di Mozart.
L’unica giornata di mare l’abbiamo trascorsa nei pressi di Warang. Anna ed io camminiamo un po’ prima di deciderci a fare un bagno. L’acqua è calma, forse troppo calma, gelatinosa direi, per la presenza di un’alga che non conosco. Non posso non fare il bagno, ma, mentre avanzo nel mare “solido”, prende il sopravvento il pensiero che qualche pesce, qualche mollusco, del resto sto camminando in casa loro, mi si aggrappi definitivamente a un polpaccio. Resisto. Raggiungo un’acqua che ritengo balenabile e mi lascio andare a qualche bracciata. Subito ripenso ai 3 canali di scolo incontrati durante la passeggiata, agli scarti di pesce lasciati imputridire sulla spiaggia e all’immondizia abbandonata ovunque. Alzo la testa e vedo un fabbricato industriale esattamente davanti a me. Sicuramente è stato costruito in quella posizione perché possa scaricare gli scarti di lavorazione direttamente in mare. Non posso farcela, esco schifata dall’acqua urlando “al colera!”.
E’ stata una vacanza comoda, senza catarsi, senza voci fuori dal coro. Contemporaneamente, la fisicità preponderante del bel popolo senegalese, il contatto con la natura,un temporaneo stile di vita vagamente essenziale dischiudono prepotentemente le membra.
Non ho ancora capito che direzione stia prendendo la risvegliata vitalità e già occorre soffocare lo scomposto urlo. Prima di partire per l’Africa bisognerebbe sapere che una settimana di sole non sempre vale l’uscita da un letargo.
"Much ado about nothing" direbbe qualcuno?
Testo di Luciana Gambara