Sono convinto, da docente, che per fare didattica siano necessarie le parole giuste, anche se complicate: non si possono capire le cose senza avere i termini per esprimerle, e questo vale a qualunque età come già sottolineai qui su Meer tempo fa. Dice bene Zagrebelsky nel suo La lezione (Einaudi 2022, p. 23): chi ha poche parole è povero, è meno vivo di chi ne ha tante perché avere un vocabolario ridotto implica idee limitate, fatto che dà poche possibilità (e quindi libertà di pensiero) a chi ignora i termini.

L’insegnante deve stare il più possibile lontano dal riciclo illimitato del già detto dal libro di testo, e non deve avere paura di tentare, magari sbagliando, audaci strade differenti dal consueto per impostare una lezione che vada a esplorare ogni tanto cose ‘strane’. Ecco perché può esser fondamentale anche l’uso della parola inusitata, insistere non solo sulla competenza, concetto molto caro in questi anni di scuola neoliberale, ma anche un po’ sulla conoscenza.

Da qualche anno mi dedico alla stesura di canzoni per bambini che tentino di racchiudere nei testi e anche nella musica una doppia finalità: quella didattica e, naturalmente, quella ludica. Con le parole di un testo si possono raccontare fatti storici o esporre regole grammaticali in modo conciso ma senza dubbio alternativo rispetto alla tradizionale lezione; la musica poi, se composta in un certo modo, può dimostrare in modo pratico regole semplici della teoria musicale e mettere in luce strutture del tutto sconosciute non solo ai bambini.

È in quest’ottica che è nato il brano Il cacciatore pauroso (o il pauroso cacciatore?). Il punto di partenza è stata una riflessione sull’enantiosemia, di cui mai si parlerebbe in una scuola tanto meno di primo grado: è un vocabolo complicato con cui si esprime un concetto semplice e indica quelle parole che racchiudono due significati opposti. Partiamo da un esempio: il verbo ‘tirare’ può essere utilizzato sia nel senso di “scagliare qualche cosa” sia di “tirare verso di sé qualche cosa”. A pensarci bene l’effetto che ne risulta è assurdo, decisamente di più rispetto a quello polisemico di un vocabolo (ad esempio ‘penna’ intesa come oggetto per scrivere, come piuma d’uccello o come tipologia di pasta). Il concetto affascina i grammatici (e gli psicanalisti) di tutte le epoche e ci sono tracce di enantiosemia in molte lingue differenti. La cosa curiosa è che non riguarda solo i singoli lemmi ma anche sintagmi o costruzioni più complesse.

Gira in rete questa barzelletta:

Un signore, parlando con un suo amico, dice:

Le acque del nostro fiume sono molto sporche e le vostre?

Pure

La risposta dell’amico genera un effetto di enantiosemia anche se la parola ‘pure’ non appartiene all’insieme dei vocaboli enantiosemici. La vicinanza con il concetto retorico di comicità è evidente: una espressione suscita il riso quando può interpretarsi in modo ambivalente ed equivoco e gioca sull’opposto del suo significato. Dall’enantiosemia però non si genera riso ma solo stupore, pur funzionando sostanzialmente nello stesso modo essendo presente egualmente un doppio senso.

La sfera teorica dell’enantiosemia oltretutto è molto vicina a quella dell’antinomia negativa che già sviluppai in un’altra canzone, Villa Temi, quando, personificando casa mia, immaginai di farla parlare facendole sostenere questo concetto: “mento dicendo che chi mi possiede è spesso lui stesso un mio possesso, ma dico il vero affermando che io spesso possiedo chi mi possiede”. Quanto ‘spesso’ sto in casa, io che sono il possessore di casa mia? Tanto o poco? A seconda di come si legga la parola ‘spesso’ la frase può risultare sia vera sia falsa, creando così un paradosso logico che genera appunto l’antinomia.

Paradosso antinomico che si espande anche al concetto di eterologico, cioè un termine che non possiede la proprietà che denota. Ad esempio ‘lungo’ è un aggettivo eterologico proprio perché non è lungo: la cosa veramente interessante però è capire se ‘eterologico’ è o non è eterologico! Se fosse eterologico non avrebbe la proprietà che denota (e dunque sarebbe autologico); se fosse autologico allora le possiederebbe e quindi sarebbe eterologico.

La riflessione in classe sulle parole difficili può portare lontano: tutto sta nel calibrarla nel modo giusto per le età cui si vuole sottoporla. Come si diceva prima il fulcro de Il cacciatore pauroso (o il pauroso cacciatore?) sviluppa una storiella semplice adottando termini con specifica valenza enantiosemica. Nel testo qui riprodotto sono evidenziate le parole con la doppia valenza:

Un giorno un cacciatore contemplava la savana
ma al posto di cacciare fu cacciato da un leon.
Pauroso era il leone e il suo ruggito micidiale:
così scappò di corsa il pauroso cacciator.
Con gli occhi ormai sbarrati dal terrore del leone
si accorse che il sentiero era sbarrato da un furgon…
Che gran guaio in questa storia!
Non è una storia ma è pura verità.
“Orsù d’ora in avanti” disse per tranquillizzarsi
“farò come avant’ieri quando stavo sul mio yacht
sereno in alto mare a sorseggiare una cedrata
e dall’alto della tolda contemplavo il cielo blu”.
Intanto raccoglieva dei pietroni da tirare
al felino che tirava per le zampe un grosso gnu.
Che fortuna in questa storia!
Non è una storia ma è pura verità.
Lemme lemme il cacciatore saltò in sella al moto guzzo
affittato il giorno prima e si fermò nel primo hotel.
Gentile il direttore gli affittò un monolocale
e fu ospite per cena del suo ospite african.
La terribile giornata si concluse per il meglio
grazie al dolce della moglie spolverato di caffè
ma il giorno era feriale e la signora spolverava
aspettando con pazienza le sue ferie a Sāo Tomé.
Che finale questa storia!
Non è una storia ma è pura verità.
Ma se è una storia non è la verità!

Per dare più carattere al brano e renderlo così un gioco nel gioco ho scritto la melodia della strofa in modo che risulti palindroma: il primo verso scorrerà dunque in una direzione (rappresentando concettualmente il primo significato del termine) la quale sarà ripercorsa a ritroso dal secondo verso (ecco il secondo significato) e così via. La palindromia mi è sembrato infatti un procedimento visivo molto simile a quello intuitivo legato al significato reversibile di una parola.

Qui si può vedere graficamente, anche senza avere particolari nozioni di teoria musicale, come le note ad un certo punto ritornino indietro al termine del primo verso:

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Il brano è uno spunto da cui partire per introdurre i giochi linguistici in genere, rendere fruibile a tutti, non solo ai bambini, un meccanismo assai complesso della logica in genere e per dare un primo avvio alla consapevolezza di quanto la cultura in genere sia lusus, gioco dapprima senza regole codificate ma subito imbrigliato in reti di rimandi negli ambiti più disparati.