La perdita di Roma, dopo quella di Napoli, avrebbe una ripercussione enorme nell’Italia e nel mondo. Questo dal punto di vista politico-militare. Dal punto di vista militare, metterebbe in possesso del nemico tutti gli aeroporti dell’Italia centrale, che sono trenta, e quindi più grandi possibilità e facilità per il nemico di attaccare la Germania meridionale e sud-orientale, nonché il bacino danubiano-balcanico.
Questa era una nota militare che Mussolini scrisse per Graziani quando questi doveva incontrare Hitler il 9 ottobre 1943.
Mussolini pensava che la vita civile del Paese dovesse essere riordinata, che il nuovo Governo da me formato abbia l’autonomia necessaria per governare, cioè per dare gli ordini alle autorità civili che da lui dipendono. Senza questa possibilità, il Governo non ha prestigio, è screditato e quindi destinato a finire ingloriosamente”. Infatti, “i comandi militari tedeschi emanano ordinanze a getto continuo, in materie che interessano la vita civile. Spesso queste ordinanze sono in contrasto dall’una all’altra provincia. Le autorità civili italiane vengono ignorate e la popolazione ha l’impressione che il Governo fascista repubblicano non ha alcuna autorità, nemmeno in materie assolutamente estranee all’attività militare
.
Per i cittadini italiani questo si traduceva spesso proprio in una necessità di traduzione, cioè ogni loro domanda doveva essere corredata dalla traduzione in tedesco, spesso impossibile in alcune province. Inoltre, Mussolini non poteva tacere che in Italia aveva fatto molta impressione la nomina di un Commissario supremo di Innsbruck per le province di Bolzano, Trento e Belluno.
L’occupazione di Roma durò 271 giorni di privazioni, violenze e sofferenze. La capitale, che non era più veramente tale da nove mesi, cioè da quando i tedeschi l’avevano di fatto occupata (con trasferimento dei Ministeri, il Re andato a Brindisi e i comandi altrove), verrà liberata il 4 giugno 1944 dagli Alleati. Quello che era stato visto come uno spauracchio da Mussolini era accaduto, e per i romani si era tradotto in una miriade di imposizioni e divieti: il coprifuoco era attivo dalle ore 17, era vietato usare la bicicletta, ma anche camminare su alcuni marciapiedi o portare a casa cibo, o trascorrere la serata in casa di amici o conoscenti, ad esempio.
I nazisti andarono inasprendo la morsa sulla città proprio nei mesi che vedevano l’avanzata dei loro nemici, con arresti, repressioni, intimidazioni contro la Resistenza in modo da evitare la sollevazione popolare, anche in altre città. Molte zone di Roma vedevano però la presenza del Comitato di Liberazione Nazionale, e di un manipolo di circa duemila partigiani (pochi rispetto al numero di abitanti, compresi gli sfollati), che faceva capo a Giorgio Amendola, Riccardo Bauer e Sandro Pertini.
La solidarietà tra la popolazione e i partigiani cominciò a farsi sentire soprattutto dopo la strage delle Fosse Ardeatine, seguita all’attentato di Via Rasella del 23 marzo, e in previsione della necessità di liberarsi che si era fatta sempre più vicina, con l’avvicinamento degli Alleati che avanzavano però più lentamente del previsto, anche nel dibattito su cosa fare e come entrare in città. Anche chi dovesse farlo per primo, cadendo poi la scelta sul generale Mark Wayne Clark. Veniva infatti visto come un vanto, che avrebbe annoverato il proprio nome nella Storia, l’ingresso a Roma per primi, a capo delle proprie truppe, quelle che avevano tanto sofferto in quei mesi, fermati dai nazisti sulla Linea Gustav, cioè sulla linea dei fiumi Garigliano, Liri e Sangro; ma anche il vanto di avere conquistato Roma da Sud secoli dopo Belisario, conquistatori nuovi che volevano ricoprirsi di fasti antichi. Pareva ci fossero in atto macchinazioni affinché fosse l’Ottava Armata britannica a conquistare Roma, fatto che avrebbe creato una vera e propria guerra personale tra Clark e Alexander, mentre Clark riteneva che fossero i suoi uomini, della Quinta Armata sbarcata a Salerno il 9 settembre 1943, a meritare la mitica impresa.
In città, intanto, non c’era molto da mangiare, e quel poco aveva prezzi altissimi: la fame dilagava, con la distruzione di strade e ferrovie, vie di comunicazioni inesistenti per portare le derrate in città. I romani sopravvivevano con il minimo indispensabile, anche con poca acqua e poco gas.
Il generale Alexander divulgò un proclama per cercare di avere l’appoggio della popolazione a difesa soprattutto degli impianti e dei ponti, e la gente cercherà di organizzarsi in proposito. Dopo alcuni giorni di resistenza, i tedeschi se ne andarono perché Kesserling pensava fosse primario salvare le sue sei Divisioni dall’avanzata angloamericana. Le trattative erano in atto da tempo, anche con l’appoggio del Vaticano. Hitler del resto deciderà di non fare saltare i ponti della città eterna, ma anche di non dover difendere una città che forse non gli interessava così tanto. Alcuni scontri ci furono, tra partigiani e tedeschi e con gli Alleati in arrivo, ma di poco conto rispetto a quanto sarebbe potuto accadere.
Alla fuga dei tedeschi da Roma, farà seguito anche una crudele quanto insensata scelta di uccidere alcuni detenuti politici rinchiusi nel carcere di Via Tasso. Verranno prelevati in ventisei, ma, anche pigiandoli, non entravano tutti in un camion tedesco. Quindi ne caricarono quattordici, mentre gli altri sarebbero rimasti ad aspettare un ulteriore trasporto che non arrivò. E si salvarono. Coloro che partirono, invece, rimasero fermi in un casolare alla Storta, poco fuori Roma, e lì vennero trucidati. Ci fu un testimone oculare. Tra di loro dodici italiani e due stranieri. L’eccidio non si comprese, perché si trattava di partigiani, spie nemiche, ammiragli, sindacalisti che potevano comodamente costituire moneta di scambio ai posti di blocco resistenziali per poter avere la via libera verso il Nord.
La crudeltà tedesca si dimostrò parecchie volte, in molti modi, sia a monito della popolazione, che così non si sarebbe ribellata e non li avrebbe ostacolati, sia perché non c’era più niente da perdere. Tuttavia, la propaganda sulla crudeltà dei nazisti in fuga era comoda anche per i nuovi occupanti, gli Alleati, che così aumentavano il benvolere nei loro confronti.
Roma fu la prima delle capitali europee ad essere liberata dal giogo nazifascista. Bonomi, presidente del Comitato Centrale di Liberazione, venne chiamato per organizzare la vita nella città in ginocchio: il suo governo entrerà in carica il 18 giugno.