Gli studi di numismatica antica hanno consentito di rintracciare nel corso del VII secolo a. C. il progressivo passaggio dal metallo pesato alla moneta coniata, ovverosia dal metallo negoziato “a peso”, tipicamente usato come strumento “pre-monetale” di scambio, al metallo “monetato”, nonché di collocare geograficamente i primi centri di emissione monetaria in Asia Minore ed, in particolare, in Lidia (odierna Turchia), regione che aveva il controllo dei più importanti distretti minerari dell’epoca.
Illuminanti sono stati in merito gli scavi archeologici inglesi degli anni 1904 e 1905, condotti presso l’Artemision di Efeso, il tempio dedicato alla dea Artemide nella pòlis efesina, importante centro costiero della Ionia (regione dell’odierna Turchia occidentale, affacciata sul Mar Egeo): è stato rinvenuto, infatti, uno straordinario “tesoretto” di monete arcaiche che testimonia questo processo di evoluzione dell’intermediario monetario, visibile nei 93 esemplari recuperati che attestano la transizione dalle prime, semplici “gocce” di metallo ‒ globetti di peso e forma definiti, dalla superficie liscia o striata ‒, ai pezzi più recenti, caratterizzati da impronte ed immagini figurate, quali, ad esempio, la testa di leone (tipica della Lidia) e la foca (tipica della pòlis ionica di Focea).
Tutte queste antiche monete, 19 delle quali sono state ritrovate in un gruzzolo nascosto in una brocca nei pressi della base centrale del Santuario, facevano probabilmente parte di un deposito con carattere e funzione di offerta votiva; tutti i pezzi monetiformi risultano coniati in élektron, “elettro”, dal greco ἤλεκτρον, “ambra”, l’”oro bianco” degli antichi, metallo dal colore giallo più pallido dell’oro puro in quanto derivante da una lega naturale di oro e di argento, di cui esistevano all’epoca abbondanti giacimenti, quali erano in particolare le miniere del monte Tmolo e le sabbie aurifere ed argentifere del limitrofo fiume Pattolo, nella zona ubicata tra Smirne e Sardi (capitale della Lidia).
In base alle ricerche numismatiche più accreditate (cfr. Nicola Parise, La nascita della moneta, in Il regolamento degli scambi nell’antichità, III-I millennio a. C., 2003), le origini della coniazione possono essere ricollegate cronologicamente alla dinastia lidia dei Mermnadi, a partire dal capostipite re Gige, alla cui età (circa 685 - 657 a. C.) risalgono i pezzi più arcaici (le gocce metalliche senza impronta), e proseguendo poi con i regni di Aliatte (617 - 560 a. C.) e di Creso (560 - 546 a. C.), durante i quali si diffusero i pezzi più evoluti, contrassegnati da raffigurazioni ed iscrizioni; i sovrani lidi realizzarono una politica espansionistica per la conquista della limitrofa costa microasiatica e delle ricche pòleis della Ionia, stimolando a tal fine un sempre maggiore uso della moneta coniata, che si rivelava più comoda e funzionale rispetto ai lingotti metallici usati a peso, sia nelle transazioni commerciali sia nel pagamento dei soldati e nella gestione delle entrate tributarie.
Tra gli esemplari più affascinanti, rientranti in questo contesto storico di introduzione e diffusione della moneta coniata, particolarmente interessante è senza dubbio lo statère di Phànes, moneta di elettro di circa 14 grammi di peso e 30 millimetri di diametro, databile intorno al 580 a. C., facente parte del tesoretto dell’Artemision di Efeso; al dritto (D/) della moneta è presente l’immagine del cervo pascente (che pascola), animale sacro ad Artemide e, pertanto, tipico emblema della pòlis efesina; la figura animale risulta sovrastata e circondata (dal dorso alla coda) dall’iscrizione in greco antico ΦANOΣ EMI ΣHMA, Phános emί séma, “legenda” cosiddetta “retrograda” in quanto incisa e leggibile in senso contrario (da destra verso sinistra), traducibile nel senso di: “sono il segno (il sigillo) di Phànes”.
Monete di elettro coniate provenienti dall’Artemision di Efeso ( Lidia) (VII secolo a.C.). Immagine presa da Nascita e sviluppo della moneta e degli strumenti economico-finanziari (dal III millennio a.C. ai giorni nostri) Odoardo Bulgarelli
L’identità del citato Phànes non è esattamente nota e, pertanto, sono state elaborate in merito diverse ipotesi interpretative: potrebbe trattarsi di un privato, quale un ricco mercante, un orefice, un banchiere che, grazie alla particolare posizione e disponibilità economica, aveva finanziato e gestito la monetazione, della quale garantiva il peso, la purezza e l’autenticità tramite il particolare sigillo impresso sul materiale metallico; oppure, potrebbe trattarsi anche di un sacerdote del Tempio o di un alto funzionario statale incaricato della coniazione per conto della pòlis, quale autorità pubblica tipicamente garante della legittimità dell’emissione monetaria.
La voce greca φανός, phanòs, “luminoso”, evidenzia anche dal punto di vista etimologico e semantico lo stretto collegamento della moneta alla sua pòlis, se si considera che il cervo, tipico simbolo di Efeso, era animale sacro sia ad Artemide sia al fratello Apollo che, tra gli altri attributi, erano anche rispettivamente dea della Luna (nuova o crescente) e dio del Sole, e quindi divinità della luce e dello splendore sia lunare sia solare; d’altra parte, nell’antica tradizione orientale (ad esempio in Mesopotamia), i segni del disco solare e della falce lunare erano spesso associati ai due metalli preziosi per eccellenza, l’oro e l’argento, che risultano entrambi presenti nell’elettro, combinati tra loro in proporzioni variabili; sulla base di queste brevi notazioni, l’iconografia e la breve legenda appaiono straordinariamente eloquenti, tanto che si potrebbe anche immaginare lo stesso cervo parlante (“sono il segno splendente”) per indicare con efficace immediatezza la Zecca efesina quale centro emittente di questo arcaico documento monetale.
Dal punto di vista della tecnica numismatica, lo statère, dal vocabolo greco στατήρ, statèr (“stadèra”, “bilancia”), era in origine un sistema ponderale consistente nell’insieme di due pesi che, posizionati sui due piatti della bilancia, ne determinavano ed assicuravano l’equilibrio, ed equivaleva, pertanto, al peso doppio dell’unità (pari convenzionalmente ad una “dracma o “dramma”) ovverosia ad una “didracma” o “didramma”; il termine, solitamente applicato al nominale più alto presente in un sistema monetale, ha come radice originaria il verbo ἵστημι, ìstemi (“stare”, “collocare”, “porre sulla bilancia”, “pesare”) ed il sostantivo σταθμός, stathmòs (“peso”, “bilancia”), voci del greco antico dalle quali deriva “l’arte di pesare”, στατική, statiké, la “statica” ovverosia la cognizione del peso dei gravi e dell’equilibrio.
Lo statère, al contempo peso e moneta pari ad 1/30 di “mina” (altra unità di peso e di conto), era il vertice della prima scala monetaria che ab origine prevedeva ben nove pezzi monetati in elettro, sottomultipli e frazioni dello statère medesimo, il quale aveva un peso indicativo oscillante tra 10,9 e 17,46 grammi, a seconda del “piede monetario” di riferimento (sistema di rapporto tra quantità di metallo e valore della moneta) utilizzato nelle diverse pòleis. Lo statère arcaico era una tipica moneta “incusa”, in quanto caratterizzata dalla presenza del cosiddetto “quadrato incuso” (dal verbo latino incùdere, “battere”, “forgiare”) impresso al rovescio (R/) della moneta, termine indicante la concavità generata dall’originaria tecnica di coniazione che si basava su uno o più “punzoni”: questi ultimi fungevano da conio e, affondando nel metallo incandescente, lasciavano i segni di figure irregolari quadrate/rettangolari, derivanti dall’impronta di conio presente in incavo (anziché a rilievo).
La lega naturale di elettro presentava un contenuto variabile di oro e di argento a seconda del filone metallifero di provenienza, con una proporzione media oscillante intorno ad un 30/40% d’oro e ad un 60/70% d’argento, e dato il diverso valore dei due metalli preziosi nobili, il cui rapporto all’epoca era nell’ordine di 1:12 (o comunque non meno di 1:10), si rendeva necessario procedere a stime e valutazioni che erano alla base di apposite operazioni di cambio monetario effettuate in ciascuna pòlis a cura di specifici uffici bancari, la cui funzione originaria fu appunto quella di “cambia-valute”.
Per ovviare agli inconvenienti correlati alla determinazione del contenuto aureo della moneta di elettro, in progresso di tempo i Lidi cominciarono a dedicarsi anche alla distinta coniazione delle monete d’oro e d’argento, tramite fusione della lega e separazione dei metalli che la componevano: Sardi, la capitale della Lidia, divenne nota per la raffinazione dell’elettro; le prime emissioni di monete d’oro e d’argento sono attribuite al famoso re Creso e vengono pertanto denominate “creseidi”, dal peso indicativo compreso tra 8,10 e 10,8 grammi (statèri della serie aurea “leggera” e “pesante”) e tra 10,8 e 14,3 grammi (statèri della serie argentea “leggera” e “pesante”), monete ben presto diffuse e rinomate nelle varie pòleis dell’Egeo, nei regni limitrofi e presso gli altri popoli del Mediterraneo, dove la relativa circolazione avveniva con un rapporto di cambio di 1:10 (una creseide d’oro valeva dieci creseidi d’argento).