Gilgamesh è un personaggio leggendario dell’antica Mesopotamia, noto principalmente per essere il protagonista dell’epica epopea sumera, chiamata l’Epopea di Gilgamesh. Si tratta di uno dei testi letterari più antichi conosciuti dell’umanità. Gilgamesh era il re mitico della città di Uruk, situata nell’attuale Iraq meridionale. La parola Gilgamesh deriva dalla lingua sumera e può essere suddivisa in due parti, cioè Gil, che significa Stella, e Gamesh, che può essere interpretato come Vecchio o Antico. Quindi, il nome può essere tradotto approssimativamente come Vecchia Stella o Antica Stella. La figura di Gilgamesh è stata oggetto di varie interpretazioni e analisi nel corso dei secoli. Nell’epopea, Gilgamesh è presentato come un re potente ma anche arrogante e brutale, le cui avventure e prove sono servite a trasformarlo in un sovrano più saggio e compassionevole. Non si tratta di avventure comuni. Gilgamesh è alla ricerca dell’immortalità e finisce per soccombere di fronte alla fugacità della vita umana.

L’Epopea di Gilgamesh è apparsa duemila anni prima rispetto all’Iliade, e questo è un fatto strabiliante. Si tratta di un periodo definito protostoria, in cui gli uomini vivevano tanti anni e i bambini appena nati erano già consci di dover ricercare il contatto con Dio. Quest’opera, che è considerata la prima vera opera letteraria dell’uomo, regala preziose informazioni sulla vita, la cultura e le credenze dell’antica Mesopotamia. Fornisce indicazioni illuminanti sulle aspirazioni umane, sul senso della vita e della mortalità. Si tratta di una imprescindibile fonte, utile per comprendere non solo la protostoria, cioè il periodo storico antecedente alla scrittura documentata, ma per capire l’uomo. L’epica di Gilgamesh è stata scritta durante l’età del bronzo in Mesopotamia, ma racconta di eventi che risalgono a periodi ancora più antichi, probabilmente al terzo millennio a.C. circa. Sebbene la narrazione sia mitologica e leggendaria, molti studiosi credono che Gilgamesh potrebbe aver avuto una base storica. Alcuni elementi, come la descrizione delle città sumere e degli eventi politici, possono riflettere condizioni e personaggi reali dell’antica Mesopotamia. Inoltre, l’Epopea di Gilgamesh offre uno sguardo prezioso sulle credenze, i valori e le pratiche culturali dell’epoca protostorica. Racconta di divinità, eroi, lotte umane, tratta di concetti quali la mortalità, la trascendenza e la ricerca del significato nella vita. Questi temi forniscono un’ulteriore comprensione della mentalità e della visione del mondo dei popoli antichi che vivevano in quelle regioni. Per questo l’epopea è considerata dagli studiosi un’affascinante finestra sull’antichità vista attraverso la lente della letteratura e della mitologia mesopotamica.

La mitologia greca ha naturalmente stretti collegamenti con Gilgamesh. Quelli più vistosi riguardano Eracle e Orfeo. Così come il re di Uruk, anche Eracle e Orfeo sono eroi leggendari di antiche tradizioni mitologiche. A cambiare è solo la cultura. Ma tutti e tre gli eroi sono noti per la loro forza e per le abilità sovrumane. Eracle è famoso per le sue dodici fatiche, che dimostrano la sua straordinaria forza fisica. Gilgamesh viene descritto come un re potente e coraggioso, mentre Orfeo è noto per il suo talento musicale e l’abilità con cui incanta gli animali e persino le divinità suonando la lira. Ognuno di questi eroi affronta una serie di avventure e prove nel corso della sua vita. Eracle deve compiere le sue famose fatiche, mentre Gilgamesh intraprende un viaggio alla ricerca dell’immortalità e Orfeo scende negli inferi per cercare di riportare indietro la sua amata Euridice. Ritorna il tema della mortalità e il tentativo di scoprire se in qualche modo è possibile oltrepassarla. Gilgamesh scopre la fugacità della vita con la morte del suo amico Enkidu. Eracle viene reso mortale dall’inganno di Deianira. Orfeo tenta di riportare in vita Euridice, ma fallisce a causa della sua mancanza di fede. Le avventure e le prove affrontate da questi eroi spesso portano a una trasformazione personale. Nonostante le differenze culturali e geografiche, questi eroi condividono molte caratteristiche e temi simili nelle loro storie, che sono state tramandate attraverso le generazioni e hanno influenzato molte altre tradizioni mitologiche e letterarie nel corso dei secoli.

Nell’Epopea di Gilgamesh, il rapporto tra l’uomo e il divino è un tema centrale e complesso. Gilgamesh stesso è rappresentato come un semidio, poiché sua madre, Ninsun, è una dea. Questo attribuisce a Gilgamesh una posizione unica, poiché possiede caratteristiche sia umane che divine. Essendo il figlio di una dea, Gilgamesh ha una connessione intrinseca con il divino. Questa discendenza contribuisce alla sua straordinaria forza, intelligenza e al coraggio, che sono spesso descritte come superiori a quelle degli esseri umani comuni. Nel corso dell’epopea, Gilgamesh interagisce direttamente con le divinità sumere per cercare risposta alle preoccupanti azioni oppressive che è costretto a porre in essere per raggiungere l’immortalità. Inoltre, Gilgamesh cerca la protezione e il consiglio delle divinità durante questo suo viaggio. Nonostante la sua discendenza divina, Gilgamesh è spesso ritratto come un eroe che sfida gli dei e le loro decisioni. La sua stessa ricerca è una sfida diretta alla volontà divina, poiché gli dei hanno deciso di mantenere l’immortalità come un privilegio proprio. Alla fine dell’epopea, dopo aver affrontato molte prove e aver guadagnato saggezza, Gilgamesh comprende che la morte è inevitabile per gli esseri umani e che la vera realizzazione sta nel lasciare un’impronta duratura attraverso le proprie azioni e il proprio retaggio. Nell’Epopea di Gilgamesh il rapporto tra l'uomo e il divino è dunque complesso e dinamico.

Dopo la morte di Enkidu, spedito a Gilgamesh dagli dei per avere compagnia e un maggior controllo della sua rabbia, la paura e l’ossessione raggiungono l’apice. Gilgamesh decide di cercare l'unico uomo che, secondo le leggende, è stato reso immortale. Quest’uomo è Utnapishtim, sopravvissuto al Diluvio Universale. Gilgamesh intraprende un lungo viaggio verso la terra degli dei per incontrare Utnapishtim e chiedergli il segreto dell’immortalità. Durante il viaggio, incontra vari personaggi che mettono alla prova la sua determinazione e il suo desiderio di raggiungere Utnapishtim. Da questi incontri Gilgamesh impara importanti lezioni sulla vita e sulla condizione umana. E quando finalmente incontra Utnapishtim, questi gli rivela che l’immortalità è un che non può essere degli umani. Utnapishtim spiega a Gilgamesh che esiste un’erba miracolosa che può conferire la giovinezza eterna. Ma si trova in fondo agli oceani. Gilgamesh ottiene l’erba, ma la perde mentre si lava in un lago, a simboleggiare la futilità della sua ricerca. Alla fine del viaggio, Gilgamesh torna a Uruk con una comprensione più profonda della vita e della morte. Pur non potendo raggiungere l’immortalità fisica, Gilgamesh realizza che il vero significato della vita risiede nel lasciare un’impronta positiva sul mondo. Un insegnamento per tutti noi, valido oggi più che mai.

Nell’Epopea di Gilgamesh viene descritto un periodo che potrebbe essere considerato il prima della civiltà, nel senso di una fase primordiale o pre-civile. In particolare, l'incontro tra Gilgamesh e Enkidu rappresenta il racconto di un tempo in cui gli esseri umani vivevano in uno stato più naturale, lontani dalle convenzioni sociali e culturali della post-civiltà. Enkidu è introdotto come una creatura selvaggia, vive con gli animali selvatici, è privo di una cultura umana. La sua esistenza è caratterizzata dalla libertà e dalla spontaneità. Quando Enkidu viene civilizzato, attraverso l’incontro con una prostituta di nome Shamhat, che lo introduce ai piaceri e ai modi degli uomini, viene proposto un tema importante. Il passaggio dall’età selvaggia all’età civile. Enkidu diventa un membro della società umana, ma perde anche la sua connessione naturale con la terra e gli animali. Questo episodio suggerisce che in un periodo primordiale, prima della formazione della civiltà, gli esseri umani potrebbero aver vissuto probabilmente uno stato di natura. Ciò che più di tutto si avvicina alla vera felicità in vita. L’incontro tra Gilgamesh e Enkidu e il loro viaggio insieme possono essere interpretati come una transizione dalla vita selvaggia alla vita civilizzata, con tutte le conseguenze che tale transizione ha comportato sull’essere umano e sulla sua relazione con la natura.

L’Epopea di Gilgamesh, scritta migliaia di anni fa, va letta e studiata per diversi motivi. Ci dà informazioni sulla vita prima che arrivasse l’epoca dei greci e dei romani. Ci spiega come l’uomo, anche se non civilizzato, aspirasse comunque a valori elevati, come eguagliare gli dei ed evitare la morte. È la pima grande opera letteraria umana, da cui poi derivano tutte le altre. E per questo ha catturato l’attenzione di numerosi studiosi. Andrew George, accademico britannico, Benjamin R. Foster, autore rinomato, Stephanie Dalley, autrice di diversi articoli e libri, Samuel Noah Kramer, famoso assiriologo e studioso delle civiltà antiche del Vicino Oriente, e Jean Bottero, esperto francese di mitologia. Sono tutti autori che si sono inoltrati dentro questa epopea. L’interesse ha a che fare con i diversi campi che l’opera è in grado di toccare. Fantascienza compresa. E una domanda dovrebbe sorgere spontaneamente arrivati a questo punto. Cosa avrebbe fatto Gilgamesh se avesse vissuto nei tempi nostri, con la possibilità dei viaggi spaziali? Gilgamesh cercava disperatamente il segreto dell’immortalità. Ma essendo un semidio poteva farlo solo entro i confini terrestri. E, infatti, l’erba miracolosa la trova in fondo all’oceano. Ma sembra quasi che questo pianeta sia un limite per la sua forza e per la sua determinazione. Come se si sentisse in trappola. Quindi dobbiamo chiederci cosa avrebbe fatto oggi di fronte al palesarsi della possibilità di incontri con specie extraterrestri più evolute della nostra. Cosa di fronte alla possibilità di trovare davvero il segreto dell’immortalità attraverso questi incontri. L’epopea non appartiene direttamente al genere della fantascienza nel senso moderno del termine. Alcuni studiosi però questi ragionamenti li hanno fatti. Hanno individuato dei paralleli tra le tematiche e i motivi presenti nell’epopea e quelli della fantascienza contemporanea.

Gilgamesh intraprende un viaggio epico alla ricerca dell’immortalità, esplorando terre remote e incontrando esseri soprannaturali lungo il cammino. Questo tema dell’esplorazione dell’ignoto è centrale anche nella fantascienza, dove i personaggi spesso esplorano mondi alieni o dimensioni sconosciute. Nonostante l’epopea non presenti tecnologie futuristiche nel senso moderno, alcune descrizioni di oggetti o eventi potrebbero essere interpretate come avanzate per l’epoca. Per esempio, l’epopea menziona il Ponte dei Cieli, un ponte celeste che Gilgamesh e Enkidu attraversano per raggiungere la foresta dei Cedri. Questo ponte potrebbe essere interpretato in chiave fantastica o futuristica. È grazie a queste esperienze che Gilgamesh ed Enkidu subiscono profonde trasformazioni nel corso dell’epopea, attraverso prove e avventure. La tematica della trasformazione dei personaggi è comune anche nella fantascienza, dove i protagonisti spesso attraversano cambiamenti radicali nel corso della storia.

Il tema di Gilgamesh e delle sue avventure può essere associato a diverse interpretazioni e ispirazioni, inclusa l’esplorazione spaziale. Sebbene l’epopea di Gilgamesh in sé non sia direttamente collegata agli attuali viaggi spaziali, i suoi temi di ricerca dell’ignoto, dell’esplorazione, del potere e della mortalità, possono essere reinterpretati e adattati in contesti moderni, compresi quelli dell’esplorazione spaziale. Come Gilgamesh intraprende un viaggio epico per cercare l’immortalità e affronta terre remote e avventure, così anche i viaggi spaziali rappresentano un’epica esplorazione dell’ignoto. Gli astronauti esplorano nuovi mondi, scoprono nuove forme di vita e cercano di comprendere l’Universo che ci circonda. Sebbene l’immortalità fisica sia un tema soprannaturale nell’Epopea di Gilgamesh, il desiderio di estendere la vita e superare la morte è un tema ricorrente nella letteratura dei viaggi spaziali. Molte storie simili esplorano la possibilità della vita eterna attraverso tecnologie ancora sconosciute. In alcuni racconti, i protagonisti intraprendono viaggi nello spazio profondo che ricordano il viaggio di Gilgamesh verso terre remote e misteriose. In 2001: Odissea nello spazio, di Arthur C. Clarke, un gruppo di astronauti parte per un viaggio nello spazio profondo dopo la scoperta di un misterioso monolito sulla Luna. Il loro viaggio li porta in luoghi remoti e sconosciuti dell’Universo, dove affrontano enigmi cosmici e incontrano forme di vita aliene. Dune di Herbert, Hyperion di Simmons, Il ciclo di Fondazione di Asimov, sono tutti basati sui viaggi verso l’ignoto. Queste storie ci avvicinano a mondi alieni e incontri con culture extraterrestri, che richiamano gli incontri di Gilgamesh con esseri sovrannaturali e divini nel suo viaggio epico. Ma tra noi e l’epopea sono trascorsi 5 millenni, e questo fatto è qualcosa di enorme. Oggi Gilgamesh sarebbe un astronauta che va alla ricerca della conoscenza per liberare l’uomo dalla morte. Ma soprattutto per liberare sé stesso da un mondo che è troppo piccolo, decisamente troppo piccolo. Fisicamente e metaforicamente. Se un personaggio del genere è davvero esistito e se l’epopea è nata ispirandosi a lui, possiamo decisamente dire che si è trattato del primo astronauta della storia umana. Se non per via dei viaggi, sicuramente per lo spirito e la propensione a inseguire i sogni. Proprio come i vari Eracle, Orfeo o Icaro che abbiamo conosciuto molti anni dopo.