Ci sono forme di religiosità guardate con sospetto da preti e vescovi, considerate alla stregua di superstizioni o eresie da sradicare. Si tratta di manifestazioni di religione popolare, poco interessata ai dogmi e più vicina all’intimo sentire dei fedeli, ai suoi impulsi e ai suoi timori, e per questo più difficili da sradicare: basta pensare ad esempio al culto delle capuzzelle a Napoli, un rito che è diventato occulto dal 1969, da quando la Chiesa ne impose la chiusura e lo censurò.
È un culto, questo delle capuzzelle, che nasce dall’esigenza di una consolazione collettiva per i tanti lutti anonimi causati dalle epidemie che hanno gravato sulla città, e che continua nonostante la censura. Questo perché per credere si ha bisogno di segni tangibili: è la religione delle cose, quell’insieme di credenze e comportamenti fatta di oggetti, immagini sacre, reliquie da venerare, che ha reso più concreto il messaggio salvifico del cristianesimo, trasportando, per così dire, pezzi di paradiso nella vita quotidiana dei fedeli.
Si tratta di una religiosità intima, molto spesso nascosta per evitare la condanna e la censura, ma che sopravvive tutt’oggi nella memoria. Memoria che oggi rischia di sparire se non viene preservata e studiata dagli storici, spazzata via dalla modernità. Ed è volto a ricostruire e a identificare proprio questa religione delle cose il libro della professoressa Gea Palumbo, Quadrilli. Le donne e la religione delle cose nell’Isola di Procida e al di là dei suoi confini.
Il volume è frutto di una ricerca su una tradizione antica e poco conosciuta al di fuori dell’isola campana, e ci aiuta a collocare geograficamente e storicamente questo culto. Ma cosa sono i quadrilli? Qual è il loro legame con la Madonna dei Sette Veli di Foggia alla cui antichissima Iconavetere rassomigliano? Come si è diffuso il loro culto?
I quadrilli, o con una lieve modifica dialettale quadriddi, sono piccoli quadri reliquari che al centro hanno una reliquia del velo della Madonna, e intorno delle decorazioni, come fiori ricamati, simboli sacri, stelle, perline, strass e a volte immagini o reliquie di santi.
Ne esistevano di vari tipi, e ancora oggi a Procida si conservano alcuni di questi oggetti usati in tempi più antichi, ereditati da un parente sacerdote o ottenuti in dono.
Come il culto della capuzzelle, anche quello dei quadrilli era appannaggio femminile: le donne, che secondo la consuetudine li potevano leggere, erano le bizzoche, o monache di casa, che conducevano vita devota e povera, con o senza voti di povertà e castità.
Per lo più per diventare bizzoca si rivolgeva una domanda al vescovo corredata da attestazioni di vita devota rilasciate generalmente da un sacerdote. Cosa che a Procida spesso non succedeva, dimostrazione di un’indipendenza femminile ancora oggi difficile da raggiungere. Donne selvagge, queste bizzoche procidane, che più volte l’autorità vescovile tentò di domare e più volte fallì.
L’autorità religiosa, poi, non vedeva tanto di buon occhio la lettura dei quadrilli, attività reputata ai limiti della pratica magica. Nonostante il possibile sconfinamento con pratiche di magia, alcuni tra i più bei quadrilli procidani si ricollegano a un’eredità clericale, sono cioè dono di un parente prete a una monaca di casa o ad una parente anche sposata.
Secondo le interessanti testimonianze riportate nel libro della professoressa Palumbo, si iniziava sempre con la recita di alcune preghiere, che potevano essere anche in latino e ripetuti segni della croce sul quadrillo. Poi la lettrice, guardando fissamente il quadrillo, invitava la richiedente a concentrarsi sulla sua richiesta, fino a quando non vedeva delle immagini, che descriveva ad alta voce.
Il significato delle immagini viste dalla lettrice era simbolico: per esempio, se appariva un uccello, significava una notizia che si aspettava da tempo, o se si vedeva la grata di un carcere i significati potevano variare dall’arresto di un parente o all’ottenimento di un posto come guardia carceraria.
Un’altra questione affrontata nel libro è quella della datazione di questi oggetti.
Non è semplice, infatti, datare un quadrillo: non ci si può basare sugli elementi stilistici se non raramente e un’analisi storica dei contenuti risulta più affidabile. Talvolta, il nome dei santi citati nel quadrillo può permettere una datazione, sia pur con qualche oscillazione, orientandosi sulle date di canonizzazione: un esempio è la datazione del quadrillo de Rubertis-Ambrosino, il cosiddetto Quadrillo del prelato in cui sono presenti delle reliquie di Leonardo di Porto Maurizio e di Maria Francesca delle Cinque Piaghe.
Dunque, se Leonardo di Porto Maurizio fu canonizzato il 29 giugno 1867 e Maria Francesca, qui definita beata e non santa, basta restringere l’arco di tempo e possiamo desumere che questo quadrillo sia stato costruito tra il 1843, anno della beatificazione della bizzoca napoletana, e il 1867 epoca della sua canonizzazione.
I quadrilli non costituivano un fenomeno isolato nel contesto procidano ma, al contrario, essi erano distribuiti nei confini del regno di Napoli, come a Sansevero, San Giovanni Rotondo e Napoli. La sostanziale differenza era che al di fuori di Procida si usava il quadrillo come oggetto devozionale davanti cui pregare, non cedendo alla tentazione di provare a leggervi il futuro.
Un’ipotesi che è stata avanzata è che la Madonna dei quadrilli procidani sia legata alla Madonna di Foggia, detta anche “Iconavetere”, denominazione in uso almeno dal 1300, quando Bonifacio VIII concede indulgenze perpetue ai fedeli che compiano opere di devozione in onore della Beata Vergine d’Iconavetere. L’icona, datata fra XI e XII secolo a seguito del restauro effettuato nel 1980, non è visibile: è coperta da veli e da una veste in stoffa. Il culto è molto forte in tutta la Puglia e in articolare nella città di Foggia, di cui la Madonna è protettrice insieme a due santi compatroni, san Guglielmo e san Pellegrino, secondo la tradizione padre e figlio.
La Madonna dei sette veli apparve in diverse occasioni nella storia della città di Foggia: la più importante per la storia dei quadrilli si verificò nel 1731 dopo un terremoto, nella cappella della famiglia Celentano, presso il convento dei Cappuccini, dove il Sacro Tavolo era stato portato in salvo. Le testimonianze riportavano del volto della Madonna resosi visibile nel foro ovale del Sacro Tavolo. Il volto apparve a sant’Alfonso de’ Liguori nel 1732, mentre era impegnato in una predica, e nel 1745, durante una missione di evangelizzazione.
Grazie a sant’Alfonso il culto della Madonna foggiana potrebbe essere arrivato a Procida, dando inizio così al rito dei quadrilli: sant’Alfonso, infatti, venne a Procida per una missione di evangelizzazione nel 1732, creando, nella Confraternita dei Turchini, una Congregazione sotto la protezione della Madonna Addolorata, ancora oggi una delle devozioni più radicate nell’isola. Questa fondazione potrebbe aver favorito una prima diffusione di alcune reliquie foggiane, trovando una possibile conferma nel quadrillo conservato dalla Famiglia Romeo, che rimanda alla piasora in cui la Madonna di Foggia è rinchiusa.
Il legame tra passato e presente è vivo più che mai, e ci viene chiesto di non dimenticare i culti antichi, e di preservarli al meglio delle nostre capacità. Il passato va ripescato, e le antiche tradizioni tutelate. Tutto sotto il manto della Madonna.