Le stupefacenti prestazioni di ChatGPT e dei suoi cugini Intelligenti Artificiali ci obbligano a riconsiderare con nuove prospettive tre domande: che cos’è il significato? Che cos’è l’intelligenza? Che cos’è la coscienza?
Sulle ultime due domande non mi pronuncio. Le opinioni sono variegate e il dibattito acceso. Per la prima, invece, è possibile fare qualche passo avanti grazie al fatto che ChatGPT riesce a formulare testi in grado di superare il test di Turing. Ricordo che il test di Turing è un esperimento in cui un computer e un essere umano sono in competizione. Un giudice posto in un luogo separato pone una domanda scritta ai contendenti e deve indovinare chi risponde. Se sbaglia attribuzione, vuol dire che il computer ha una competenza almeno equivalente a un umano. Ebbene, ChatGPT supera ampiamente il test di Turing. Anzi, ChatGPT supera egregiamente anche i test di accesso alle migliori università americane.
Il risultato non è privo di conseguenze, e cercherò di spiegare il perché. La comprensione umana del significato di parole, frasi o gesti si radica nella capacità di collocarli all'interno di un contesto appropriato. È questo contesto a segnalare se un'affermazione o un comportamento è congruo o meno. Perciò ci accorgiamo se una frase o un comportamento è fuori luogo. Ecco alcuni esempi, riferiti a notizie riportate da un quotidiano.
Il primo esempio riguarda una ex presidente di Harvard. Invitata a dar conto della mancata condanna di alcuni studenti che invocavano il genocidio degli ebrei, alla domanda: “Invocare il genocidio degli ebrei viola il codice etico di Harvard, sì o no?”, rispondeva “dipende dal contesto”, volendo così sottintendere che non può giudicare chi non conosce il contesto.
Il secondo riguarda il commento di un giornalista a un fatto di cronaca, cioè il ferimento di una persona per uno sparo accidentale in una festa della destra politica. Il giornalista affermava con una certa ironia che il contesto culturale può essere considerato un’attenuante, perché è nota la sottocultura delle armi per certi uomini di destra. La sottocultura ha finito per rincretinire lo sparatore.
In un terzo articolo il giornalista attribuiva alla ‘morte del contesto’ un post sul mancato ostruzionismo della sinistra ad una manovra della destra: “Potevano farla sbavare di rabbia e invece gli abbiamo fatto recitare Marinetti.” Il giornalista notava che l’affermazione poteva essere ammissibile in una cena privata o in una confidenza agli amici, ma fuori luogo nella bacheca più grande del mondo.
Insomma, per dare significato alle parole o ai gesti il contesto è tutto. Lo sa il semiologo che analizza un documento, il criminologo alle prese con un delitto, il critico d’arte che valuta un dipinto, l’archeologo che scopre un reperto. Tutti devono calare il fatto in un contesto, altrimenti l’interpretazione non emerge. Per loro fortuna hanno messo a punto metodi, tecniche e procedure per rendere affidabile la definizione del contesto. Anche noi nella nostra vita quotidiana facciamo riferimento al contesto per valutare e scegliere. Solo che il nostro contesto è implicito, è l’insieme dei fatti che diamo per scontato, il cosiddetto ‘senso comune’.
Ciò detto, la domanda “Che cos’è il significato?” diventa: “Come fanno i sistemi di Intelligenza Artificiale a scoprire il contesto?”. L’inizio della risposta risale a circa un secolo fa, ad una intuizione di Wittgenstein, secondo cui il significato di una parola è nelle relazioni che essa stabilisce con le altre parole all’interno del testo. Ne consegue che per stabilire il senso di ogni parola è necessario osservare come i parlanti utilizzano le parole nelle interazioni linguistiche.
Negli anni ’50 del Novecento prende corpo l’Ipotesi Distributiva, secondo la quale le parole presenti in contesti simili hanno significati simili. Ad esempio, se nelle frasi in cui si parla di animali domestici trovo sia la parola ‘cane’ che la parola ‘gatto’ posso concludere che cane e gatto hanno una qualche correlazione semantica.
La conseguenza decisiva dell’Ipotesi Distributiva è che, per comprendere il significato di una parola, il testo è tutto ciò che serve. Si gettano così le basi concettuali per avviare un esteso programma di ricerca per cogliere le complessità del linguaggio naturale mediante algoritmi che analizzano le relazioni che le parole stabiliscono tra loro. ChatGPT è l’ultimo prodotto di decenni di ricerca. Ovviamente, non è stato semplice arrivare a ChatGPT: è stato necessario trovare le risposte giuste a una quantità di quesiti: come descrivere le parole nel testo? Come cogliere le relazioni tra parole anche lontane tra loro? Come codificare le diverse funzioni delle parole? E, soprattutto, come fare perché il sistema impari da solo attraverso esempi, come farebbe un bambino che imita gli adulti? Infine, è stato necessario avere a disposizione milioni di testi digitalizzati e una enorme capacità di calcolo. Cosa possibile solo negli ultimi decenni, con Internet e potenti microprocessori.
La realizzazione di testi significativi per via tecnologica è la dimostrazione inequivocabile della falsità della divisione cartesiana tra mente e corpo. Cartesio non riteneva possibile costruire un modello meccanico capace di riprodurre il linguaggio e il pensiero. Di conseguenza, affermava, linguaggio e pensiero non appartengono alla realtà materiale (la res extensa); vi è un livello immateriale a cui essi appartengono: la res cogitans. Ora abbiamo la dimostrazione che testi significativi sono il risultato di una sofisticata manipolazione di entità materiali: segnali elettrici nei calcolatori elettronici, e segnali elettrochimici nei cervelli dei viventi. Mi rendo conto che l’eliminazione della res cogitans scatena ondate di interrogativi sulla nostra identità umana. Dopo la rivoluzione copernicana, che ci ha spodestato dal centro dell’universo, dopo essere stati cacciati dal Paradiso Terreste dalla rivoluzione darwiniana (non più figli di Dio, ma figli dei processi evolutivi della materia) ecco che siamo di fronte a una rivoluzione cognitiva, che ci dice che la capacità di costruire significati non ha niente di esclusivo, ma è solo il risultato di una materia che, grazie all’evoluzione, si è auto-organizzata e ha imparato a calcolare significati. Invece di metterci sulla difensiva, propongo di guardare in positivo alla nuova realtà che i sistemi intelligenti ci propongono. Ci dicono che siamo una realtà materiale in grado di sviluppare pensieri bellissimi, di non separare i pensieri dal corpo, e il corpo dalla natura. È che grazie al corpo possiamo pensare, parlare, costruire significati e fantasticare. Ci dicono che l’intelligenza non è un dono speciale fatto a noi umani, e ci invitano a scendere dal piedistallo, dove siamo saliti per osservare e dominare il mondo come padroni svincolati dalle leggi naturali.
Siamo solo all’inizio. Abbiamo appena sfiorato la domanda “Che cos’è il significato?” e già siamo turbati. Cosa accadrà quando sarà necessario riformulare le risposte alle domande sull’intelligenza e sulla coscienza? Forse - ed è questo il mio auspicio -, ancora nel buio, ci stiamo incamminando verso un nuovo umanesimo, in grado di farci uscire dal cul-de-sac antropocentrico in cui ci siamo cacciati, per entrare in un'era di collaborazione con la natura e di coevoluzione con le nostre stesse creazioni.