Una piccola barca con la vela bianca
avanza sul mare sospinta da una lieve brezza.
Non c’è ombra di tensione,
nessun rumore,
nessun suono gridato,
solo silenzio attraversato dal brivido del vento
Dice un saggio Maestro che questa è l’immagine da evocare nel nostro cuore quando sentiamo di essere presi dalla rabbia, un sentimento colmo di forza eppure capace di non farsi scoprire, di acquattarsi in quel piccolo solco che attraversa la fronte e la incide con un segno profondo, inumidito da piccole gocce asciugate in fretta per non rivelare il livore improvviso suscitato da qualcosa o da qualcuno.
La rabbia è piena di sfumature, impossibile a definirsi nella sua ampiezza, capace di restare a lungo in attesa prima di manifestarsi, o di sconvolgere l’animo come un turbine che attraversa la mente rapinandola di ogni misura.
Talora si insinua nel corpo e sembra sgretolarlo in un vortice di emozioni che si fatica a governare; a volte sembra scorticare le ossa e si vorrebbe gridare questo sentimento che ci coinvolge e ci spinge là dove albergano le ragioni profonde dei conflitti, della sopraffazione, dell’ostilità.
Un sentimento che sembra trovare giustificazioni infinite per manifestarsi e farsi accettare, giustificazioni che sconfinano fino a toccare il diritto di farsi giustizia o l’astio che nasce dall’invidia e legittima lo scontro con chi appare più fortunato, toccato dal privilegio.
La rabbia è contenuta nell’odio e, come l’odio, sa aspettare, sa insinuarsi, si confonde con altri sentimenti, talora la si descrive come un gesto liberatorio.
È un sentimento ingannevole che si legittima nell’asserzione secondo la quale tutti hanno il diritto di arrabbiarsi per difendere una sorta di incolumità, un diritto ad affermare le proprie ragioni e le proprie motivazioni.
“Tutto comincia con un’alterazione della coscienza, e ciò accade ogni volta che il mondo attorno non danza al ritmo della tua musica. Ogni volta che ti arrabbi è perché nella tua mente c’è un’immagine di come le cose dovrebbero essere, di come la gente dovrebbe comportarsi, di come gli eventi (persino quelli climatici) dovrebbero dispiegarsi; e la realtà esterna non è mai conforme all’immagine che si è formata nella mente. La rabbia giunge quando interiormente non siamo abbastanza flessibili da accettare che la realtà esterna sarà sempre diversa dalle nostre aspettative, preconcetti e desideri. In effetti la rabbia è segno che stai tentando, senza riuscirci, di esercitare il tuo controllo sugli altri e su ciò che accade. Non ti sei ancora reso conto che non puoi controllare la gente e gli eventi. Il mondo non è fatto per ballare il valzer al ritmo del tuo swing.”
La rabbia mette il cuore in uno stato di guerra e non importa se si tratti di una scaramuccia passeggera o di un conflitto di antica data: l’atteggiamento bellicoso è lì dove l’abbiamo lasciato emergere e, fino a quando non venga sradicato, rappresenta un pericoloso focolaio di scontro, quando non di odio e di collera.
“La guerra comincia nella mente degli uomini”
Se si pensa alla guerra come forma eclatante di crudeltà, come gioco spietato di potere, esplosione incontrollata, inevitabile e necessaria, non è difficile condannarla, non mancano mai le parole che prendono le distanze dagli orrori, che ne denunciano la disumanità, ma non è altrettanto facile accettare di riconoscere le cause remote, sottili ed insinuanti, di questo dirompente effetto; cause che mettono radici nella povertà di amore, nel tumulto della collera, nella gelosia che si alimenta di rancore e di invidia, nella dimenticanza della generosità e della pazienza, che è una potente arma di pace poiché chi sa “patire” sa anche essere compassionevole.
Sono sentimenti che agiscono sul nostro corpo e lo ammalano; una condizione dell’anima che sembra lasciare traccia sul corpo sottraendolo alla bellezza e all’armonia.
Sono tanti i piccoli gesti quotidiani, le parole non dette, i pensieri inconfessati che, aiutati dalla rabbia, si coagulano a formare un corpo oscuro, pesante, che preme sul cuore e toglie leggerezza al pensiero, che riescono a sfuggire abilmente alla coscienza.
Rabbia è una parola della quale sempre meno ci si interessa, non perché il potere del suo contenuto si sia ammansito, ma perché, come molte parole, non si sa più dove collocarla, non si sa se vada interpretata alla luce dell’etica o sia un usuale comportamento da accettare senza resistere.
Ho trovato molto interessante questo esercizio di sostituzione della rabbia con una visione lieve e suadente che coinvolge lo sguardo, il respiro del mare e la quiete che lo accompagna quando è un’opalescente distesa di luce riflessa.
Sento il desiderio che altre immagini lucenti vengano a prendere il posto di sentimenti che allignano nel nostro inconscio, in quella zona oscura, l’ombra, nella quale si nascondono tutte le passioni che la società, la famiglia, le convenzioni ci hanno impedito di confessare, di incontrare e conoscere perché degradanti, disdicevoli e pericolose. Sentimenti che si depositano a formare uno strato viscoso nel quale restano impigliate le ragioni della discordia.
C’è una rabbia silente che tesse la sua ragnatela quasi senza farsene accorgere; risale lontano nel tempo dimenticato, eppure è ancora lì, non è stata sciolta, allontanata, non ha perdonato, si è alimentata con infinitesimi granelli di ricordi e prima o poi troverà la via per essere riportata alla luce: la sua forza non sarà stata toccata, la sua intensità metterà in moto altri pensieri, altri sentimenti ed ecco che di nuovo si aprirà un terreno di guerra, si troveranno ragioni in grado di offrirsi come paladine di giustizia.
Prima che il conflitto trovi in sé i motivi dello scontro teniamo pronta la visione lieve che sostituisce la collera e la sua irritante maschera. È un prato costellato di fiori gialli e azzurri che hanno formato una sorta di piramide dalla quale entrano ed escono farfalle di tutti i colori. Mi metto ad osservare la scena e quella rabbia silenziosa che mi ha perseguitato per giorni sembra sciogliersi, sento la gentilezza entrare nel cuore, mi sento liberata da un peso, alleggerita di un sentire che ora sembra non appartenermi.
Mi preparo pensieri felici, visioni che fronteggiano la rabbia e i sentimenti che la accompagnano. Sono frasi intessute di luce, armonie che fanno risuonare l’anima e la conducono là dove ogni voce, ogni suono ha inizio.
Stiamo vivendo un tempo di grandi sconvolgimenti, di profonda sofferenza: ci rifiutiamo di definirla guerra, ma l’orrore e la violenza che vediamo scatenarsi sulla Terra ne hanno l’odore, il sentore, il volto tragico che lascia annichiliti, incapaci di comprendere, di spiegare gli eventi e soprattutto incapaci di governarli.
La rabbia si fa strada nella mente e il pensiero messo davanti alla propria immagine specchiata, gettato nel groviglio di scomode verità si autoalimenta, si espande, non è arginabile, si riproduce e quella rabbia tutta interiore esplode fino a trasformarsi in azioni rovinose.
Due bambine raccolgono lucidi sassolini lungo le rive del fiume: innocenza e trasparenza mi attraversano come un raggio di sole e sento allontanarsi il conflitto che ho coltivato per molto tempo e che ora può uscire dalla mia anima che gioisce per il senso di libertà che emana dalla purezza di quell’immagine. Sento il cuore vibrare in consonanza: c’è un riconoscimento pieno di magia e il corpo gioisce e trova nuova luce, si muove come accompagnato per mano dalla musica e ti abbandoni al suo fluire lieve, odoroso, senza alcun ostacolo.
Quello che si compie attraverso le nostre paure, attraverso la scoperta dei nostri segreti è un viaggio dentro la nostra interiorità, un immergersi dentro acque sconosciute, talora torbide, talora agitate, eppure capaci di farci ritrovare la pace che purifica.