Noi esseri umani tendiamo sempre a “umanizzare” gli animali domestici, soprattutto cani e gatti da compagnia. Lo facciamo anche con gli animali selvatici e, certamente, Walt Disney, in questo campo, è stato l’antesignano e i cartoni animati, sia di ieri sia di oggi, lo dimostrano. Non solo umanizziamo gli animali, ma li facciamo parlare, e in tutte le lingue del mondo. Noi Italiani al cinema sentiamo parlare leoni ed elefanti nella nostra lingua, ma essi parlano anche l’inglese, il francese, il tedesco, il cinese secondo i Paesi in cui si proiettano i film e senza il bisogno di interpreti! Sembra, dopo tutto, una cosa ridicola, ma è così che funziona.
Il fatto è che per parlare bisogna avere un controllo funzionale su un comportamento del genere soprattutto cognitivo. In sostanza, se gli animali parlano, devono essere proprio come noi esseri umani, ma il fatto che spesso dimentichiamo, e soprattutto lo dimenticano i bambini, è che gli animali hanno una loro mente assolutamente non come la nostra e, ovviamente, non parlano e mai potranno farlo. Per esempio gli animali, soprattutto quelli selvatici, non hanno il nostro senso del pudore, non coprono con indumenti i loro apparati genitali e defecano, senza nessun riguardo, sia di fronte a noi sia di fronte ai loro simili. In verità lo fanno anche i nostri cani e gatti, solo che questi ultimi sono, per così dire, più riservati e quando devono fare i loro bisogni in casa vanno nella lettiera, soprattutto di notte, senza che noi ce ne accorgiamo.
Il punto ora è: perché parliamo degli animali e del modo in cui fanno i loro bisogni? Prima di addentrarci in queste spiegazioni dobbiamo dire che tutto in natura, a eccezione di noi esseri umani, esseri culturali per eccellenza, o forse in parte, ha subito un processo evolutivo in cui tutto può avere un senso.
In sostanza, perché gli animali, soprattutto quelli selvatici, vanno in giro per la foresta, per la savana, addirittura nel deserto, disperdendo i loro escrementi praticamente a caso, o almeno a noi così sembra? L’hanno sempre fatto, non perché siano consapevoli e coscienti di quello che fanno, ma semplicemente per concimare il terreno. Fino a poco tempo fa, in parte anche ora, i contadini disperdevano gli escrementi fermentati delle loro mucche insieme alla paglia, un compost naturale, nel terreno, per concimarlo e renderlo più fertile. Ora non si fa quasi più. Tutto è stato sostituito con concimi e fertilizzanti che tra l’altro non fanno bene alla salute dell’uomo. Abbiamo sostituito un sistema naturale e innocuo con uno artificiale, sbrigativo, ma pericoloso.
Noi uomini dovremmo essere animali consapevoli, in quanto abbiamo una coscienza, di tutte le nostre azioni e delle loro conseguenze, ma spesso non ce ne curiamo o non ce ne rendiamo conto, come, per esempio nel caso, ma ve ne sono tanti altri, del ricorso agli alimenti geneticamente modificati che in futuro potrebbero riservarci delle spiacevoli sorprese. Qui non sto parlando di selezione, per esempio quella delle sementi più resistenti alle variazioni climatiche, soprattutto alle siccità, ma dell’azione diretta sul loro patrimonio genetico, che è un’altra cosa.
Noi affermiamo che gli animali non hanno coscienza delle loro azioni e che si comportano sempre istintivamente, ma a guardar bene non fanno mai delle cose che poi gli si possono ritorcere contro. In natura gli animali, soprattutto quelli selvatici, hanno un’altra funzione oltre a quella di concimare il terreno, ovvero quella di disperdere a caso i semi non digeriti, che hanno ingoiato e che si trovavano nei frutti dei quali si erano alimentati magari a chilometri di distanza.
Una pianta da sola, e nemmeno con il vento forte, ha mai avuto questa possibilità dispersiva per la sua rigenerazione. Le piante, per così dire, hanno sfruttato dei “dispersori” naturali per riprodursi altrove. Fenomeni come questi sono fondamentali per la sopravvivenza della foresta. In questo sono soprattutto gli uccelli e anche le scimmie che hanno assunto dei ruoli molti importanti: si cibano in un luogo e poi defecano in un altro. Se poi noi uomini spariamo agli uccelli e uccidiamo le scimmie i dispersori naturali spariscono e con loro spariscono anche le foreste.
In sostanza, in natura esiste un equilibrio in cui tutti gli animali hanno delle funzioni importanti e fondamentali. Nell’uomo è proprio la stessa cosa? Se lo è stato fino a qualche secolo fa ora non lo è più. Dall’inizio della cosiddetta era industriale, dalla fine del XVII secolo, l’uomo ha cominciato a trattare il suo ambiente a suo uso e consumo senza riflettere sulle conseguenze delle sue azioni che ora sono tutte sotto i nostri occhi: inquinamento dell’atmosfera, buco dell’ozono, emissioni di gas serra, dispersione nell’ambiente di materiali inerti irrecuperabili e tanti altri prodotti nocivi di questo genere. Ora che siamo arrivati al limite della sopportabilità del nostro Pianeta c’è una presa di coscienza e si comincia a guardare l’ambiente con un altro occhio, a prenderlo sul serio e a prendersene cura perché, tra l’altro, potrebbe anche convenire economicamente, potrebbe diventare un’opportunità (con una ragionevole speranza, come sosteneva il filosofo Paolo Rossi).
Ma siamo ancora in tempo per farlo? C’è veramente una presa di coscienza soprattutto politica per ribaltare la situazione? Qui sta il problema. Inoltre i vantaggi di una politica seriamente ambientalista purtroppo non sono immediati, e non si potranno vedere nel giro di pochi decenni e quindi l’operazione di recupero diventa sempre più difficile, diventa più difficile risparmiare sui materiali industriali che vengono prodotti, più difficile ridurre gli inquinanti, aumentare il riciclo dei rifiuti, ridurre gli sprechi, consumare meno idrocarburi eccetera.
Certo, con un sistema politico e economico basato fondamentalmente sulla crescita, sul PIL, sul rapporto costi/benefici e sul guadagno immediato, per alcuni sfrenato, è difficile che questo si possa fare seriamente, almeno fino a quando i nostri rifiuti ci sommergeranno, ma a quel punto sarà ormai troppo tardi. In alcuni Paesi questo sta già avvenendo. Basta recarsi nelle periferie delle grandi città dell’India o dell’Africa o del Sud America (in Brasile, in primo luogo) per accorgersene. In Africa, per esempio, alcune zone periferiche della città di Nairobi, solo per citare questa megalopoli che fino a poco tempo fa aveva poco più di un centinaio di migliaia di abitanti (ora sono più di 3 milioni) sono diventate delle immense discariche.
È stato soprattutto l’Occidente che ha utilizzato i Paesi più poveri del mondo come se fossero delle pattumiere. Basta frugare in una di queste discariche per accorgersi che i rifiuti di ogni sorta, plastiche, oli inerti, veleni vari e rifiuti pericolosi derivanti dall’industria farmaceutica e altro ancora, provengono principalmente dai Paesi più ricchi e ad alto reddito pro capite dell’Europa e del Nord America. Se poi di questi Paesi distruggiamo persino le foreste (solo nel 2016 è scomparsa una parte della foresta amazzonica grande quando le Marche, poco meno di 10 mila Km2), come possiamo pensare di risolvere il problema? Lo possiamo fare, per esempio, con il “Programme for Endorsement of Forest Certification” con i suoi protocolli di gestione sostenibile delle foreste, quando questo organismo internazionale, ammesso che funzioni dappertutto, nonostante tutte le buone intenzioni, interessa solo l’11% delle foreste mondiali e solo di quelle che stanno ancora in piedi?
Come possiamo immaginare un futuro migliore soprattutto per i Paesi più poveri, quando tutti i loro rifiuti vengono abbandonati per le strade, o gettati nei fiumi che poi vanno a finire nei mari con una deturpazione del paesaggio, un degrado ambientale e umano immensi?
Torniamo per un attimo al punto dal quale eravamo partiti (a parte la questione della umanizzazione degli animali), cioè ai rifiuti, o meglio, alle deiezioni degli animali, soprattutto a quelle degli animali selvatici. Essi non inquinano, non recano danni all’ambiente, anzi lo rendono più vivibile, più verde e più salubre, nonostante nessuno di loro possegga una vasca da bagno, un bidet e un water!