Oggi siamo abituati a chiamarlo tzunami il fenomeno che provoca altissime onde che travolgono la costa. La sera del 9 ottobre di sessant’anni fa, alle 22.39, parte del Monte Toc al confine tra le province di Belluno e Pordenone cominciò a scivolare a circa 110 chilometri all’ora nel bacino della diga del Vajont da poco creato, provocando un’onda di circa 250 metri di altezza che superò la diga in parte risalendo verso i comuni di Erto e Casso, al di là della montagna, in parte si riversò nella Valle del Piave abbattendosi con inaudita violenza sul paese di Longarone che ne venne quasi completamente distrutto, con oltre duemila vittime, così come vennero spazzati borghi e frazioni lungo il percorso dell’acqua.
La diga del Vajont resse, malgrado la forza dell’acqua oltre venti volte superiore al previsto, subendo lievi danni. Ed è ancora lì, visitabile in un interessante percorso che permette di vedere posti bellissimi, anche se non hanno dimenticato la tragedia accorsa. Si tratta di uno di quegli accadimenti che fanno pensare a quanto si deve essere a contatto con la natura e non soltanto studiarla a suon di calcoli. La costruzione aveva provocato il movimento di un’antica frana di un Monte che già dal nome indicava come non fosse stabile, come i “vecchi” della zona ben sapevano.
A volte le storie e le leggende fanno più storia dei libri di testo. Le cause del disastro sono molteplici, compresa la scelta di alzare il livello del lago artificiale creato, oltre la soglia di sicurezza allo scopo di creare una frana controllata, per eliminare il pericolo. Tuttavia in quei giorni le piogge erano state molto abbondanti e forse non erano stati presi sufficienti provvedimenti quando si sentivano scosse e rumori nell’area.
I lavori per la costruzione della diga iniziarono nel 1957, subito tenendo sotto controllo il versante montano che la sovrastava: studi specifici non rivelarono la paleofrana che poi divenne la causa principale del disastro. Non vennero taciuti i rischi di possibili frane, più volte smentiti da vari esperti chiamati in causa, anche se varie documentazioni attestano che erano state ipotizzate, dalle analisi del territorio. La diga venne finita nel 1959 e cominciarono le prove d’invaso, mentre l’ipotesi di frana incontrollata non era stata esclusa, tanto che gli esami accurati continuarono rivelando anche roccia fratturata agli studi geosismici.
Vennero impiantati marcatori per tenere controllato il movimento del Monte, fino allo svuotamento di alcuni metri del bacino che permise alla frana di fermarsi per qualche tempo. Anche il disboscamento ebbe una parte nel disastro, così come lo sbancamento e le incisioni provocati dalla costruzione delle strade e dei canali, e tante altre concause che insieme contribuirono all’evento. In ogni caso la storia è maestra, infatti delle frane c’erano già state sin da tempi remoti, e poi nel Trecento, nel Settecento, nell’Ottocento, nel 1908 e nel 1925, quindi in tempi abbastanza recenti rispetto alla costruzione della diga e al disastro.
Ma nel 1959 una frana si staccò e cadde nel lago di Pontesei, uno dei bacini artificiali, provocando la formazione di un’onda di circa sette metri. Dal Monte Toc si staccò una frana nel 1960 e cadde nel bacino artificiale creando un’onda di almeno dieci metri: insomma i precedenti c’erano stati e chiari per avvisare dell’instabilità del territorio. Il terreno cedeva con rumore di sassi, con l’apertura di fenditure che non facevano restare tranquilli i popolani molto allarmati. Alla fine dell’estate del 1963 si intervenne proprio per cercare di porre rimedio a quanto stava per accadere, mentre rapporti e riunioni erano all’ordine del giorno.
Eppure la frana di oltre due chilometri staccatasi dal Monte Toc il 9 ottobre fu spaventosa, con 25 milioni di metri cubi d’acqua che investirono il fondovalle con una potenza d’urto dovuta allo spostamento d’aria pari a circa il doppio dell’intensità della bomba atomica sganciata su Hiroshima. Nei difficilissimi soccorsi, alcune persone non vennero trovate perché letteralmente polverizzate dall’impatto dell’acqua. Tra i soccorritori arrivati, gli alpini che riuscirono a fatica a giungere sul posto alle prime luci dell’alba del 10 ottobre, trovandosi in uno scenario impressionante. Generale e grande il cordoglio, mentre da subito la popolazione volle che Longarone risorgesse, come infatti iniziò dal 1965.