“Copiare il vero è la via maestra per arrivare all'arte. Ma a guardare il vero, una formica, una nuvola, un fiore, sei tu stupefatto come se non avessi mai veduto un fiore, una nuvola, una formica? Se no, anche la copia del vero è monotona calligrafia”. Questo lo afferma Ugo Ojetti (1871-1946), scrittore e giornalista italiano, nel lontano 1937. Lo ricordo anche in quanto autore e ideatore della nota Mostra del giardino italiano tenutasi a Palazzo Vecchio di Firenze nel 1931. Fu l’occasione perduta e mai ripetutasi con così tanta efficacia per scrittori, storici dell’arte, architetti e urbanisti per sollecitare, all’ombra delle glorie del passato, l’assenza di una seria politica degli spazi verdi nelle città italiane del XX secolo.
Molte le critiche di diverse riviste importanti come Casabella in cui Mario Tinti (1885 – 1938), giornalista e critico d’arte, resta scettico sulla capacità dell’evento a suscitare un risveglio nell’arte del giardino. “Una retorica che mirava ad arrestare ogni tentativo di abbandono delle classiche progettazioni ufficiali senza incoraggiare nuove ricerche sui temi del giardino e dei parchi pubblici di cui il Regime non potrà vantare nessuna importante realizzazione perché era stato il primo a disinteressarsene”. Chiude bene Marilù Cantelli, in un saggio su questa Mostra italiana e sulla poca lungimiranza delle istituzioni nel progettare misure e legislazione adeguate alla protezione del territorio attraverso il miglioramento degli spazi verdi nelle nascenti nell’Italia post bellica.
Oggi ci ritroviamo con situazioni estreme nella incapacità di gestire il verde pubblico, nonostante gli sforzi di alcuni capaci, anzi eccellenti direttori tecnici di giardini, il più delle volte schiacciati e umiliati nel loro operare da una burocrazia e una gestione puramente manutentiva, schiava di scadenze, appalti, requisiti di conformità a regole iperperformanti senza più alcuno spazio disponibile per la creatività e la poesia. Il giardino, il “verde” - come non voleva si definisse giustamente il grande storico del paesaggio Ippolito Pizzetti -, il bosco urbano, il parco pubblico devono essere imperniati sulla bellezza, dovrebbero indurre stupore ancor più che meraviglia, per forma, colore, fioriture durante tutto l’anno e alla portata di tutti, bambini, adulti, anziani, e rendere le città, i piccoli centri e tanto più le periferie, luoghi accettabili per la salute fisica e mentale dell’umanità destinata a lavorare più che a vivere. Ecco allora che mi viene spontaneo quando ho visto dopo dieci anni il giardino incantato di una amica paesaggista e agronoma che lo ha creato proprio come un luogo di sperimentazione, dove nulla manca tra alberi, arbusti, rampicanti, bulbose, orticole e aromatiche nonostante fosse stato un luogo poco avvezzo a diventare giardino paesaggistico per l’aridità e la rocciosità del suolo oltre alla scarsità di acqua. Una vera e propria sfida.
In poco meno di due ettari, in una zona collinare vicino a Vicenza, i noti Colli Berici, ancora piuttosto intatti dal punto di vista naturalistico rispetto agli analoghi Colli Euganei, ormai molto cementificati e densamente popolati, Camilla Zanarotti, ideatrice e proprietaria è riuscita a creare un oasi boscosa da una collinetta sassosa con al centro una casa anni sessanta, impreziosita da una bella torre antica in pietra: il giardino della Torre e delle piante tenaci. Mi chiedo spesso quando ho l’opportunità di vedere tanta sapienza, cura e affezione nel creare un giardino con sacrificio, economia di materiali, senso del risparmio delle risorse come l’acqua e l’energia, come l’ente pubblico (in questo caso gli uffici tecnici del verde), non possa concentrare i propri sforzi nel copiare dal bello, dall’ecologicamente concepibile e ammissibile in questi tempi in cui “non c’è più tempo”, ora che le città hanno a disposizione fondi per migliorare la loro veste.
Entrando nel giardino di Camilla un gioco di spazi diversi e ben connessi allo stesso tempo, fa sì che il visitatore perda un po’ il senso del suo orientamento tanta la varietà di scorci, luci, ombre, delicati sentieri, scale e scalette, percorsi ampi prativi, viali e luoghi appartati, per scrutare il paesaggio della pianura aperta che permette l’allungarsi dello sguardo. Non si tratta del giardino d’autore che fa bella mostra di sé con effetti sfacciati di rose dai colori sgargianti o grandi masse di fioriture ripetute qua e là, ma sfrutta l’andamento del terreno per creare piccole aree di sottobosco dove si mescolano tulipani selvatici, palle fiorite di euforbie verde acido contro il viola di lunarie spettinate e Erysimum hybridum ‘Bowle’s Mauve’ le splendide violacciocche. Guardando e studiando la flora spontanea si è limitata a mettere per certe specie proprio quelle del luogo come Euphorbia characias e Euphorbia amigdaloides, le campanule selvatiche a cui ha aggiunto due specie forestiere per fargli buona compagnia, la Campanula persicifolia e la C. medium.
Così ha preso spunto dai tanti alberi della nebbia, gli scotani, che nascono sulle rocce dei Berici come Cotinus coggygria, inserendo le varietà Royal purple o C. coggygria x Grace. Il cipresso, quello mediterraneo (Cupressus sempervirens), non manca a segnare un percorso in ghiaia chiara che è come la spina dorsale del giardino da cui si diramano tutte le parti a valle e a monte, visibili e godibili camminando con la giusta lentezza mentre Camilla ti spiega il perché di certe specie ritrovate, scambiate, restituite dal bosco circostante dopo tanti sforzi e attenzioni. Vedi mi dice, questa specie non voglio perderla, è una Melittis melissophyllum (assomiglia ad una melissa ma non lo è, ma ci si può fare una tisana depurativa), che ho trovato anni fa nel bosco e se faccio bene il mio lavoro mattutino di diserbo del vilucchio o dei troppi tarassaci, lei si riproduce e fa delle delicate fioriture bianco rosate, è mellifera e attrae le farfalle.
E poi le specie riseminanti e vagabonde come i grandi papaveri rossi che nascono nelle scalette ripide salgono alla casa non si possono tagliare, sarebbe un delitto proprio adesso che stanno per fiorire! La Stachis lanata, la chiamano orecchio di coniglio per la sua pelosità, crea un tappeto grigio che fa risaltare i rosa delle lavande, tutte con poca necessità di acqua come i tappeti ridondanti del Cerastium tomentosus che dipinge cuscini di fiori bianchi, ma che senza qualche spruzzata di acqua scomparirebbe, perché sulla la roccia in estate può bruciare tutto. L’orto non manca, anzi ricordo che l’autrice del giardino partì proprio da quel bello spazio davanti casa vicino alla torre in pietra, creando riquadri all’italiana, con pergole leggere in legno decorate da rose diverse nei colori e nel portamento; ancora oggi stupiscono in questo mese di maggio generoso di piogge.
C’è anche Rhapsody in blu, quella con il fiore più blu tra tutte le rose che fa capolino tra i cespugli e la stupefacente Rosa shropshire Lad, una rampicante inglese di David Austen con fiore a coppa densa di petali revoluti al centro color pesca e madreperla sui bordi. Ben centocinquanta le varietà della collezione di Camilla. Il prezzemolo andato a fiore fa la sua bella figura mentre aspetta che arrivino le specie estive, i pomodori, le solanacee come la melanzana e poi cipolle tutto tra cortine di bosso che rendono l’orto concluso più elegante e solenne. Si può tornare poi verso il boschetto, che guarda la valletta con un percorso reso elegante da uno steccato di grandi pali di bambù proprio a contenere delle siepi di Fargesia robusta, che Camilla ha voluto mettere essendo molto simili a Phyllostachis aurea, il bambù chiaro che non può permettersi, tanto il basso e arido terreno per poter sopravvivere.
Sempre con maestria nell’uso dei materiali ha regalato all’ospite il bel teatro all’aperto, realizzato sulla pendenza del terreno con una scalinata e sedili in traversine riciclate e trattate, delle ferrovie dismesse, come ha recuperato per tutti i muretti al limite dei viottoli tutta la pietra presente nel terreno, un suolo così duro a lavorarsi che il padre le ha regalato una sorta di “martello pneumatico”, indispensabile poter fare adeguate buche e piantare nuovi alberi o cespugli. L’idea a mio vedere geniale è il recupero di strutture e arredi vecchi raccolti tra mercatini dell’antiquariato e dell’usato, come i vasi urna in ghisa, le piccole vasche per l’acqua o addirittura un portale in pietra bianca, perché restituiscono ad un luogo semplicemente naturale privo di ostentazione quel senso di antico, di magia e di scoperta davvero coinvolgenti.
Non manca la serra come neanche un grande prato naturale che fa da asse verde del giardino, mentre la grande Clematide armandii, sempreverde, crea un drappo elegante alla casa e la mimetizza nel bosco come meglio non avrebbe potuto ottenere. Questo orto-giardino è molto apprezzato nei circuiti dei giardini aperti in Italia e non solo, qui si può godere di una lezione botanica all’aria aperta, vista l’attenzione dei proprietari, anche suo marito è un collaboratore e consigliere esperto, ai cartellini che Camilla sfodera dalla tasca dei jeans, se vede che qualcuno è scolorito o magari spostato da uno degli altri abitanti del giardino: quattro allegri felini ! La proprietaria oltre ad aver realizzato e restaurato molti e importanti giardini privati e pubblici è appassionata studiosa di storia del paesaggio e i suoi contributi anche sul giardino veneto sono spunti interessanti per chi voglia conoscere un mondo a cui ispirarsi per rendere migliore con molta inventiva e fantasia anche un piccolo spazio aperto di cui abbiamo tutti sempre più necessità ! Grazie Camilla !