Ci sono luoghi in cui la tradizione è in punta di forchetta, la tagli con la lama sottile del coltello, l’assapori in sfumature nuove tra i dettagli e i profumi che sono lo scrigno dei ricordi, diventano valori da trasmettere alle nuove generazioni.
Il ristorante l’Officina dei Sapori, nel cuore del centro storico di Gubbio, in Umbria, è una vera e propria fucina di racconti, nuove prospettive e provocazioni sostenute dai ricordi personali. Giacomo e Veronica, fratello e sorella, chef e sommelier, sono gli artigiani che forgiano la raffinata cornice di un’esperienza gastronomica inconfondibile e unica in città; sono due vulcani di idee e organizzazione imprenditoriale, capaci di trasmettere la loro personale visione in un lavoro che esige molto e nello stesso tempo è capace di stimoli continui. In sala e in cucina solo giovani che hanno fatto di questo mestiere una scelta lavorativa capace di dare tante soddisfazioni: otto ragazzi e ragazze, per quella che è la brigata più giovane di un ristorante in Umbria. Il valore aggiunto a una dimensione tutta locale ma che nello stesso tempo si presenta come alta ristorazione. E quando l’intera brigata di un ristorante è giovane, si guarda al futuro e alle prospettive con un’energia talmente viva che riesci ad assaporarla nel piatto, fuori dagli schemi più conosciuti e solo tipicamente locali.
Non basta essere contemporanei, all’avanguardia; ci vuole il cuore per portare il commensale a vivere una vera e propria esperienza, frutto di convivialità, passione e di continua formazione che si incontrano per creare un’esperienza culinaria autentica e indimenticabile, dove entrano in gioco anche le scienze sensoriali. Anche la cornice fa la sua parte: il locale medievale, con gli archi e le pietre nel cuore del quartiere più antico; i monti, il torrente e le case che vedi fuori dalla finestra, illuminate di notte; la piazza vivace e le persone che ne diventano l’anima.
Quello che i giovani riescono a trasmetterci attraverso l’accoglienza e il menu è una raffinata organizzazione di sensazioni e di gusto. Non c’è nulla di lasciato al caso, niente dilettantismo, tutto è studiato, preciso e impeccabile. In primo luogo, la professionalità, la scuola su tutto. Poi la sperimentazione in cucina, alla ricerca del piatto perfetto, un equilibrio di materia e aromi, un piacere al palato, un’armonia che sia capace di trasmettere un’emozione, il senso dello stupore e portare un ricordo, anche negli accostamenti meno usuali. La passione è motivazione a fare sempre meglio, cercare nuove sfide e mete da raggiungere, nuovi progetti per il futuro che si costruisce già da ora.
Una cucina a vista che è un vero e proprio laboratorio di sperimentazione, è separata dalla sala attraverso il tagliere con il prosciutto crudo da affettare solamente al coltello, e dalla cella-vetrina di frollatura delle carni, dove i diversi tagli attendono con cura il tempo, anche più di venti giorni, capaci di trasformare il sapore in morbidezza e succulenza gustative.
La carne qui è l’elemento cardine, è la tradizione stessa del territorio, dove l’interpretazione lascia il passo all’attenzione della marezzatura e del taglio, alla cura della cottura con un focus sulla griglia. Razze scelte locali, regionali, nazionali ed estere, anche poco conosciute ma sempre selezionate stando ben attenti al produttore, alla metodologia di allevamento. Non mancano naturalmente i piatti di pesce, legati alle radici e alla storia di Gubbio.
Ricerca particolare e quasi maniacale ai prodotti regionali, alle ricette della tradizione, Giacomo e Veronica dimostrano così il voler essere il più fedeli possibili ai propri luoghi, scegliendo anche prodotti slow food, divenendo promotori capaci così di creare una filiera virtuosa e ricercata; l’impegno a rispettare la terra è messo in pratica utilizzando le erbe spontanee.
Il piatto sa parlare già attraverso la presentazione, dal profumo; quando arriva in tavola, stuzzica l’acquolina in bocca senza che ci si accorga, non si resta indifferenti, eppure mancano le parole per lo stupore.
Qui non c’è la volontà di rivisitare la cucina tradizionale, lo staff è esso stesso interprete della tradizione, le ricette vengono accolte e con la genialità della giovinezza vengono cucinate: viene tolto tutto ciò che è in eccesso, rispetto per la materia prima sempre fresca e dei risultati delle consistenze, estro e cura nella presentazione del piatto finito. Troviamo, insomma, tutti gli ingredienti fondamentali della felicità. La tradizione non è rivisitazione, ma è una voce propria, un’esperienza vissuta e sentita, mediata attraverso le proprie emozioni, restituita attraverso la coscienza di una brigata che fa tendenza, una nuova generazione. Quello che viene ripreso dalla tradizione spesso sono gli ingredienti, ma non la procedura per realizzare tutta una ricetta.
Le preparazioni gastronomiche esprimono una nuova sperimentazione, un equilibrio dinamico attraverso una determinazione fatta di senso di appartenenza e concretezza, senza perdere di vista le proprie capacità e possibilità, la concretezza è un nucleo che si scrive con la lettera maiuscola: Famiglia. E c’è dentro proprio tutto: senso di appartenenza, radici, ricordi, voglia di evasione e di andare lontano, qui tutto parla di casa, di ricordi d’infanzia, di una spensieratezza di cui in questo momento ce ne è proprio bisogno; volontà di esprimersi con coscienza. La voglia di trasmettere e tramandare aspirazioni e passioni ci vengono subito incontro, appena si entra, espresse attraverso le metamorfosi culinarie di Giacomo in cucina.
Mi siedo a tavola, il cliente è sempre al centro dell’esperienza gustativa; l’attenzione puntuale ed educata vuole riportarci alla cura delle persone, alla piacevolezza del momento del pasto, alla conversazione naturale davanti un buon vino scelto tra etichette ben studiate, con una predilezione per la regione e per i vini naturali capaci di regalare un sorso di sincerità, armonizzare le scelte gustative.
Tutto mi porta ad essere cullata, dai profumi, i sapori, dallo spessore della pasta fatta a mano che trattiene il sugo denso, e l’olio buono che sa regalare una nota di sapore nuovo del frantoio; le erbe di campo che profumano della natura e rinfrescano gli aromi, hanno l’odore del cambiamento inesorabile ma necessario delle stagioni. Così fiori ed erbe commestibili, citronella, borragine, senape, ortica, piccoli frutti selvatici si esprimono nel piatto con il loro potere di caratterizzare ma con la risolutezza di non sovrastare mai le pietanze perché abbinati saggiamente.
Lo studio è fondamentale, sempre e continuo, dalle tecniche, alla tecnologia, dalle innovazioni alle sperimentazioni, agli abbinamenti, alle espressioni, per guardare anche alle mode del momento, avvicinarsi, distaccarsi secondo il proprio criterio di ordine. Tutto porta a scegliere la strada, quella che si vuole percorrere, senza conoscenza non c’è attualità e nemmeno futuro, è qui lo spartiacque, la decisione di quello che vuoi ottenere da una preparazione, quello che si vuole portare in tavola, con il piacere dell’esperienza.
La filiera regionale e i produttori locali sono fortemente valorizzati, nella costruzione del menu sono utilizzati prodotti che provengono da presidi Slow Food umbri come il mazzafegato di Città di Castello, servito affumicato direttamente al tavolo, o le lenticchie di Castelluccio di Norcia. Un impegno, quindi, non solo verso il consumatore finale, ma anche verso la comunicazione del territorio umbro e delle sue eccellenze; delle persone, piccoli produttori che lavorano con valori.
L’Officina dei Sapori rappresenta la sintesi della storia e dei ricordi di Veronica e Giacomo. L’infanzia trascorsa tra le colline intorno Gubbio li ha ispirati fin da piccoli: passeggiate in mezzo alla natura, raccogliere le erbe selvatiche profumate e le merende con il pane e i salumi, momenti di serena intimità che sono stati capaci di trasmettere i valori della condivisione e dell’amore per la buona cucina; in modo particolare quella della nonna. È la preparazione del quotidiano ad essere continua fonte di ispirazione di una cucina semplice e genuina che perfeziona i prodotti del territorio e prosegue le tradizioni più intime.
Poche ed essenziali materie prime, lavorate o rielaborate per accogliere un gusto nuovo, ma non stravolto, perché l’esecuzione deve essere fatta come ricetta comanda, sempre con l’ingrediente segreto: il cuore, la passione oltre che la professionalità. La contemporaneità qui si lega alle origini, ai ricordi, alle date significative delle celebrazioni sia laiche che religiose, al rispetto per gli insegnamenti. Tutto diviene essenza, anche la tradizione, non c’è apparenza ma concretezza nelle scelte e nelle proposte.
Il ristorante sa divenire un laboratorio alchemico di nuove esperienze in cui ognuno apporta qualcosa di proprio che sa essere sempre nuovo; come il secondo chef, Francesco Ercoli, che ha impegnato le proprie vacanze nella cucina stellata di Enrico Recanati, del ristorante Andreina, nelle Marche, riportando nuove tecniche e visioni che allargano i propri punti di vista, un entusiasmo rinnovato insieme alla formazione indiscussa. Un investimento a livello sia professionale che di vita.
Veronica mi propone un percorso degustazione unico nel suo genere, dedicato esclusivamente ai vegetali del territorio: è il percorso “Erbe Campagnole”. È il risultato della passione dei fratelli Ramacci per questo mondo, farlo diventare un’esperienza culinaria: piccole primizie che danno forma oppure un tocco insolito, ma le erbette e i fiori vanno utilizzate in modo accurato, con saggezza, altrimenti possono stravolgere l’intero equilibrio di un piatto. Il percorso esperienziale è dedicato interamente alla natura: un’insalata di erbe spontanee dell’orto sinergico La Clarice con un dressing allo sciroppo di sambuco e barbabietola; la consistenza di cavolfiore in crema e brasato al miso con cappero e paprika; la Tartelletta alle lenticchie mirtilli e nocciola tenera, ideata dal Pastry chef Lorenzo Pisapia. Per lui il dessert è tutto un mondo a sé, una storia creata personalmente, fatta di stupore e attenzioni.
Guardo il piatto del dolce e so già che è buonissimo; si provano quelle emozioni semplici e sincere, quelle più vere, senza pensieri, come da bambini quando la mamma o la nonna portavano il dolce in tavola il giorno del compleanno. E ricomincia un’altra storia.
Fondamentale è il rispetto della materia prima, come dei genitori che hanno insegnato a Giacomo e Veronica. Figli d’arte quindi. Sempre attenti all’umiltà. Perché i valori e la visione vanno trasmessi ai figli, ma anche ai clienti, ai collaboratori, ai cuochi, ai lettori.