Accogliente e piacevole cittadina risalente all’epoca romana, San Giovanni in Persiceto, grazie alla sua posizione strategica è diventata nel tempo uno fra i più interessanti e dinamici centri economici e culturali della regione Emilia-Romagna, capace di attrarre ogni anno migliaia di visitatori al suo storico e coinvolgente carnevale, all’insegna dello svago e del divertimento, a cui si aggiunge un nutrito popolo eterogeneo di fedeli e devoti diretti al Santuario di Santa Clelia Barbieri.
Nel corso degli anni la mia attenzione verso questa vivace cittadina, a cavallo fra Modena e Bologna, è aumentata in relazione alla dimensione laica e mistica del territorio, in cui la gente ha saputo coniugare il Sacro e il Profano con intelligenza, sensibilità, arguzia e buon gusto. Interessante, a questo proposito, la fusione della parola di origine Persiceto (persicetum), ovvero un frutteto con alberi di pesco, col santo Giovanni Battista inserito in seguito. E fu proprio per una diatriba di carattere anticlericale che dal 1912 al 1927 il nome del comune governato da socialisti tornò ad essere solo Persiceto. Oggi, per i suoi trentamila abitanti può essere sia Persiceto che San Giovanni, spesso abbreviato in Sangio.
Già nell’archivio storico dell’800 troviamo scritto: “In una sol cosa i persicetani, nonostante le profonde dissensioni politiche, si trovavano d’accordo e cioè nel divertirsi e nel far divertire in tempo di carnevale”. A conferma che il carnevale è un tempo sospeso che permette la dissacrazione ed il dileggio del potere. Sono ben dieci le società carnevalesche alle quali aderiscono i cittadini che per mesi, nel tempo libero e a proprie spese, si dedicano alla costruzione di elaboratissimi carri, un lavoro spesso notturno che coinvolge ed entusiasma tutti i ceti sociali. Sono costruttori di socialità, volontari che si fanno carico di arricchire e inventare forme di aggregazione che si evolvono con il susseguirsi delle generazioni.
Dopo gli anni difficili della pandemia, il Carnevale di San Giovanni in Persiceto riprende alla grande con il tutto esaurito per questo imperdibile evento. Ciò che rende il carnevale persicetano una festa unica nel suo genere è il caratteristico ed elettrizzante spettacolo dello Spillo, ossia della Trasformazione, in un tripudio di forme, colori e musica che trasforma ogni carro in un palcoscenico. La sfilata dei carri allegorici e le maschere in gruppo sono gli elementi di maggior spicco di questa splendida manifestazione.
Nato ufficialmente nel 1874 e celebrato ogni anno nel mese di febbraio, il carnevale persicetano deve le sue origini alla fondazione della Società del Bertoldo, la prima fra le società carnevalesche che ancora oggi si sfidano durante la sfilata dei carri allegorici. Molto famosa in questa manifestazione è la figura ironica e burlesca di Re Bertoldo, diffusasi nella provincia di Bologna in epoca rinascimentale. Assieme ai coprotagonisti Marcolfa e Bertoldino, questo personaggio divenne nel Cinquecento una maschera simbolo del Carnevale, una sorta di giullare di corte capace di interpretare perfettamente lo spirito carnevalesco.
A presentare la 149ma edizione ci sarà lo speaker storico del carnevale Sergio Vanelli che accoglierà i carri in piazza direttamente dalla tribuna, accompagnato dalla conduttrice e vocalist bolognese Carlotta Voice Savorelli. Nella prima giornata di carnevale, domenica 12 febbraio, ogni carro sfilerà per le vie del centro, ed una volta raggiunta la piazza centrale porterà in scena il proprio Spillo, mentre nel secondo ed ultimo appuntamento di domenica 19 febbraio, al termine della consueta sfilata, un’attenta giuria decreterà il carro vincitore e procederà con l’assegnazione del Gonfalone bianco al primo classificato.
Segue il conferimento di gonfaloni sempre più scuri, fino alla consegna di quello nero al carro ultimo classificato. Il punteggio viene assegnato in base agli aspetti artistici, ingegneristici, scenografici e alla fantasia e maestria delle singole Società.
L’ingresso alla manifestazione è ovviamente gratuito, ad eccezione dei posti sulla tribuna installata in piazza del Popolo. Il carnevale si chiude nel pomeriggio di domenica 19 con la tradizionale bruciata di Re Bertoldo. La festa continua però fino a tarda sera tra gli stand di specialità enogastronomiche tipiche della regione, dai dolci Africanetti alla birra Beertoldo. Il carnevale di San Giovanni in Persiceto è anche una ghiotta occasione per visitare le caratteristiche viuzze del suo vecchio nucleo dalla forma circolare, detto appunto “borgo rotondo”, che pare risalga al periodo della occupazione longobarda, nella prima metà dell’VIII secolo.
Da non perdere i suggestivi murales dell’allegra fattoria dipinta dallo scenografo di Hollywood Gino Pellegrini, dove predominano animali da cortile e piante giganti che si arrampicano sui muri delle case di piazza Betlemme. Pellegrini ha lavorato a famosi film, tra i quali Mary Poppins, l’ammutinato del Bounty, Il pianeta delle scimmie, 2001 Odissea nello spazio e tanti altri. Per restare in tema urbanistico, passando per via Gramsci è impossibile non notare il magnifico porticato con i cinque alti pilastri in mattoni che sorreggono il Palazzo dell’Abate del XIII secolo, meglio noto come “Palazzaccio”, oggi di proprietà della Partecipanza, rappresentata dall’antico consorzio agrario che ha contribuito a rendere prospere queste campagne.
Altra immagine insolita da vedere è la statua di Re Gino, un monumento ad un gatto eretto proprio davanti al palazzo comunale. Gino era un gatto bianco e rosso coccolato da tutti, entrava nei negozi, nei bar e ristoranti, in farmacia, dal macellaio, nelle boutique e aveva il permesso di accedere anche sulle poltrone di velluto rosso del Palazzo comunale. Purtroppo, una notte di novembre è stato investito da un’automobile e la sua morte ha lasciato un vuoto enorme non solo nelle persone che lo conoscevano ma anche in quelle che seguivano i suoi movimenti su una pagina Facebook. Una creatura vissuta tra la gente, amata e rispettata, tanto da renderla quasi eterna.
Continuando ad esplorare, ci troviamo di fronte a due fra le diverse eccellenze gastronomiche nel cuore della cittadina, a pochi passi, in via Rambelli si trova l’antica osteria e drogheria Bergamini, un ambiente ricco di atmosfera d’altri tempi grazie alla sua tradizionale e secolare arte culinaria. In quanto a frappè e gelati la gelateria di Claudio in via Croce 13 non ha rivali. Titolare immensamente onesto, “maestro” del biologico di produzione propria, Claudio saprà stupirvi con le sue erudite tesi sul perché è meglio naturale.
Fuori dal centro cittadino, ad una manciata di chilometri, in località Budrie troviamo il curatissimo Santuario dedicato a Santa Clelia Barbieri, fondatrice delle Suore Minime dell’Addolorata e canonizzata da papa Wojtyla nel 1989. Santa Clelia è la fondatrice più giovane nella storia della chiesa ed è molto amata e venerata anche in terre molto lontane. In questo territorio solcato dal torrente Samoggia, Clelia nacque il 13 febbraio 1847, visse e morì di tubercolosi all’età di 23 anni, il 13 luglio del 1870. Un anno dopo la sua morte, mentre si stava pregando nella stanza dove la giovane era morta i presenti udirono distintamente la sua voce.
Questo fenomeno, riportato numerose volte anche a distanza di molti anni e anche da persone assolutamente incredule, fu tenuto presente dalla Santa Sede nel processo di canonizzazione con la verifica di moltissime testimonianze. Nell’oratorio sulla destra della chiesa parrocchiale è conservata l’urna con le spoglie della santa ed è meta di un perpetuo pellegrinaggio alla ricerca di una dimensione spirituale sempre più difficile oggi da trovare. Il complesso religioso, abitato e curato da un nucleo multietnico di suore provenienti dalle missioni di India, Tanzania e Brasile, comprende anche la Casa del Maestro in cui è racchiuso un piccolo museo accanto alla stanza in cui spirò Clelia.
Il 13 luglio di ogni anno alle Budrie si festeggia la sua festa liturgica con celebrazioni religiose che attraggono migliaia di fedeli provenienti da tutta Italia. A lei sono intitolate la chiesa parrocchiale di Cavazzona di Castelfranco Emilia e una chiesa sussidiale di Castel San Pietro Terme, entrambe nell'Arcidiocesi di Bologna.