...La filosofia arriva sempre troppo tardi. Come pensiero nel mondo, essa appare per la prima volta nel tempo, dopo che la realtà ha compiuto il suo processo di formazione ed è bell’e fatta… Quando la filosofia dipinge a chiaroscuro, allora un aspetto della vita è invecchiato, e, dal chiaroscuro esso non si lascia ringiovanire, ma soltanto riconoscere: la nottola di Minerva inizia il suo volo sul far del crepuscolo.
(G.W.F Hegel)
La pandemia da Covid-19 ha provocato un’accelerazione forzata verso la sanità elettronica e in particolare la telemedicina. La vicinanza fisica, cardine della medicina, è stata vissuta come un pericolo, sia per curante che per il paziente. Toccare il corpo dell’ammalato, con il conseguente effetto di rassicurazione e presa in carico, non è stato possibile. Il tatto, la prossimità, sono stati sostituiti da conversazioni a distanza e da immagini sullo schermo, spesso soltanto da telefonate o da applicazioni di messaggistica. Ma la medicina digitale rischia di diventare un ossimoro.
Il termine digitale deriva dall’inglese digit (che significa “cifra”, riferita in questo caso al codice binario), che a sua volta deriva dal latino digitus, “dito” (con le dita infatti si contano i numeri). Nonostante l’etimologia, il concetto di medicina digitale è diventato nell’uso pratico un ossimoro: il tocco umano contro la sua antitesi, il contatto contro il monitoraggio indiretto, con un rischio sempre maggiore di perdita della relazione medico-paziente.
Una barriera all’utilizzo della medicina digitale è sicuramente il digital divide, cioè la tendenza a escludere i pazienti anziani, spesso non padroni della tecnica. Il fenomeno, peraltro, non indica soltanto una diseguaglianza sul piano strumentale, ma incide su tutte le possibilità di innovazione e di sviluppo delle conoscenze che attualmente dipendono da un effettivo accesso a internet.
Le conseguenze hanno dunque un impatto molto ampio e si riflettono anche su un piano culturale, con un divario (cultural divide), all’interno di una stessa società, tra giovani e anziani, colti e incolti, ricchi e poveri, che pone un problema di squilibrio nella distribuzione di beni e risorse.
Usufruendo dell’apporto di care-giver e personale dedicato, il medico “virtualista” potrà gestire malati cronici, anziani, disabili, persone che vivono in zone a difficile accesso, mediante il monitoraggio dei parametri biologici con dispositivi indossabili o app per dispositivi mobili (smartphone, tablet e smartwatch).
I dispositivi indossabili sono costituiti da uno o più biosensori, generalmente indossati al polso e interfacciabili con smartphone e servizi cloud via protocolli wireless quali il bluetooth. Inseriti su capi di abbigliamento quali orologi (smartwatch), braccialetti (fitness band), scarpe, cinture, fasce (smart clothing), occhiali (smartglasses), consentono il rilevamento e la misurazione di diversi parametri biologici (frequenza cardiaca, variazioni spirometriche, saturazione di ossigeno, temperatura corporea, pressione arteriosa, glucosio, sudore, respiro, onde cerebrali) e di informazioni sullo stile di vita (attività fisica, sonno, alimentazione, calorie consumate).
Con la telemedicina potranno essere diagnosticate anche patologie acute minori, ad esempio lesioni cutanee, otiti, faringotonsilliti. In caso di problematiche più serie, non routinarie, che necessitano di contatto fisico e osservazione in presenza, sarà necessaria la visita classica.
Tale approccio richiede modifiche importanti non solo del concetto di clinica e di relazione medico-paziente, peraltro strettamente intrecciate, ma anche dell’assetto organizzativo. La semplice video-visita necessita ad esempio di una metodologia specifica, di spazi, tempi, strumenti idonei (pc, audio, video), oltre che di sicurezza, per evitare fenomeni di data breach, e di rispetto della riservatezza.
Per quanto concerne la responsabilità professionale, in base alla più recente disposizione normativa in tema sanitario, ossia la cosiddetta Legge “Gelli”, all’art. 7 è previsto che la prestazione possa essere erogata anche in forma “digitale”, ossia ricorrendo agli strumenti della telemedicina. In particolare, per i consulti effettuati “a distanza”, valgono le stesse regole previste per le modalità tradizionali di visita, perché si applica a entrambe analoga disciplina.
Il professionista sanitario, in altre parole, deve sempre adottare la soluzione operativa che offra le migliori garanzie di proporzionalità, appropriatezza, efficacia e sicurezza e, soprattutto, deve valutare se le specifiche circostanze del singolo caso concreto rendono possibile ricorrere a un servizio a distanza.
È fondamentale una logica di team multidisciplinare, con figure come l’infermiere di famiglia, lo specialista, lo psicologo, il nutrizionista, il trainer per l’attività fisica.
Il sistema dovrà avvalersi di piattaforme digitali crittografate, condivise e collegate alle cartelle cliniche elettroniche, in grado di gestire i dati provenienti dalle diverse fonti, per realizzare una conoscenza “panoramica” del paziente, una profilazione dei dati biologici e psico-sociali. Fondamentale è l’interoperabilità, sia per i software che per i dispositivi medici, che non devono dipendere dalle app per inviare i dati. La piattaforma dovrà svolgere funzioni educative per il medico e per il paziente, ad esempio mediante tutorial dedicati.
Ci si chiede se i pazienti siano pronti ad accettare questa rivoluzione culturale. Sicuramente, anche con i video/teleconsulti, almeno parte della relazione è conservata, soprattutto quando tra medico e assistito è stata costruita una storia clinica cementata nel tempo. In realtà, il paziente stesso è cambiato, influenzato dalla tendenza a considerare vera la conoscenza solo in quanto oggettivabile, mediante accertamenti che diventano strumenti di “vera” conoscenza, soltanto mediante la tecnologia.
Conclusioni
Nell’ambito della cultura digitale occorre rifuggire tanto dalle visioni apocalittiche del futuro avendo fiducia nella ragione umana, quanto da un accentuato atteggiamento entusiastico nei confronti delle potenzialità della tecnologia, riconoscendone i limiti.
Sicuramente la medicina non potrà mai essere soltanto virtuale né affrontabile soltanto con sensori o algoritmi. L’auspicio è che non tanto la tecnologia cambi la medicina ma che questa possa “modulare” la tecnologia secondo i propri valori: uguaglianza, bisogni reali, accessibilità, continuità di cura. Questa dovrebbe essere la vera innovazione “tecnologica”, ad alto valore aggiunto, flessibile, potente ed economica, orientata ai bisogni veri delle persone.
L’alternativa è perdere la partita o comunque arrivare a conoscere la vastità del fenomeno troppo tardi, a cose fatte, come la nottola di Minerva, che arriva quando la realtà è “bell’e fatta”.