Certe storie di antica tradizione agricola sarebbero una sceneggiatura perfetta per un film sull’Italia rurale dei primi del secolo scorso, non per rimembrare tempi passati con nostalgia o tanto meno tristezza, quanto per comprendere e discernere la “santa” agricoltura, come bene la definiva l’erudita quattrocentesco Alvise Cornaro (1484 – 1566) , dall’agri-business. “Nella stagione calda le pecore stanno bene in montagna”, si legge nel poetico libretto illustrato del Caseificio Morandi a Borgoforte di Anguillara Veneta, piccolo centro lungo il basso corso dell’Adige che racconta, in forma di fiaba la storia, delicata e appassionante di tre generazioni di donne e uomini agricoltori dell’Italia degli Appennini e le Alpi Venete.
Quando l’ho avuto in mano ho subito pensato ad un film di Pupi Avati o meglio di Alice Rohrwacher che è così capace nel riprodurre con tocco onirico e mitico ambienti dimenticati dell’Italia rurale, come nel capolavoro Le meraviglie, storia di apicoltori alternativi o con Lazzaro Felice, invenzione straordinaria quanto realistica di un mondo di tradizioni agrarie oggi scomparso.
Tutto comincia con la storia di Ernesto Morandi e dei suoi figli che vivono di pastorizia nelle Valli del Frignano, nei primi del Novecento, a poca distanza dal crinale dell’Appennino che separa il versante modenese da quello di Pistoia, da sempre regno di boschi e pascoli. Quelle erano le professioni che andavano per la maggiore: il pastore o il boscaiolo. Ricordo che fui profondamente impressionata quando d'estate in campagna andavo a trovare dei vicini: il capofamiglia per noi bambini era il più coraggioso agricoltore mai conosciuto, che ci risolveva tanti problemi essendo cittadini trapiantati, ci raccontava le storie avventurose e straordinarie di quando a otto anni notte tempo portava al pascolo le mucche nell’Appennino umbro insieme ai fratellini. Ma per tornare ai Morandi, siamo negli anni ’40 del Novecento quando Erardo Morandi, primogenito di Ernesto, a sei anni, come i suoi fratelli, porta al pascolo da solo le pecore. Mentre le sorelle si dedicano di più a lavori come la tessitura a maglia, mantelle e tabarri per riparare i pastori dai venti freddi, o alla trasformazione del latte in formaggi. A settembre, dopo il pascolo estivo trascorso con tutta la famiglia negli alpeggi veneti, i Morandi tornano verso valle per ripartire a maggio inoltrato. Ma finita la guerra negli anni a seguire, grazie alle bonifiche che hanno anche consolidato i grandi fiumi della pianura padana, come l’Adige e il Po, quelle praterie degli argini sono un pascolo così appetitoso per le pecore che riuscivano ad alimentarsi anche quando scendeva la neve!
Così Erardo e Almerina che avevano ben undici figli, quasi la narrazione di un romanzo neorealista se si pensa che gli avevano attribuito undici nomi tutti con la iniziale O (Orazio, Oriella, Osvaldo …), decidono di stabilirsi nella pianura padana per allevare pecore da latte. Le ottime pecore appenniniche di razza massese sono speciali per fare del buon pecorino anche se inizialmente gli agricoltori del luogo non erano così contenti di vedersi aggirare queste mandrie di animali affamati che mettevano anche a repentaglio i loro preziosi raccolti. Me lo racconta anche una agricoltrice di quasi ottanta anni che ricorda ancora le guerre tra proprietari terrieri, mezzadri e pastori proprio per la coltivazione delle terre della bassa padovana e del polesine. Gli accordi erano allora verbali, in cambio dell’uso dei pascoli i pastori e casari lasciavano del buon fertilizzante per le colture a seminativo, cosicché il ciclo naturale della sostanza organica faceva il suo corso, una forma di baratto che con l’avvento degli allevamenti industriali avrebbe preso strade ben diverse, con gravi conseguenze ambientali e di convivenza con gli abitati. Ecco che già negli anni sessanta la famiglia di Oriano, il primogenito, stabilitasi proprio vicino all’Adige porta avanti la tradizione dell’allevamento ovino transumante, produce la famosa ricotta e il formaggio freschi di giornata grazie ad una caldera di rame, il tarel (o taruch), lo spino (o yova), gli attrezzi del mestiere del casaro, portati in groppa dell’asino quando si spostava. Così la transumanza diventa diversa: in inverno si trascorre la vita con i greggi in pianura e in estate si fa la monticazione sulle Alpi con l’aiuto di pastori belga che fanno la guardia alle greggi.
Venti anni dopo la famiglia si allarga e a Oriano e sua moglie Maria nascono tre bambine e il sogno si avvera: l’apertura del caseificio. Con grande dedizione Angela, Elena e Chiara insieme ai genitori saranno detentrici dei saperi antichi e impareranno l’arte di cagliare e lavorare il latte per trasformarlo in formaggio, come il misto pecora, il pecorino dell’Adige, la ricotta ottenuta dal siero di latte, specializzandosi in prodotti sempre più particolari come la robiola di capra, lo stracchino di capra, la mozzarella filata a mano e molti altri prodotti eccellenti dal punto di vista della qualità organolettica, il sapore, e con una particolare attenzione alla bontà del latte, della naturalità dei processi di trasformazione proprio come era stato appreso dai nonni. Ciò significa niente uso di paraffine, niente aggiunta di grassi come la panna e niente uso di olio in crosta per la stagionatura.
Il loro spaccio, proprio attiguo al caseificio, fondato vicino al fiume negli anni ’80 a Borgoforte, è una piccola elegante rivendita curata anche nei particolari estetici, a cui la clientela è sempre più affezionata, oltre ai numerosi mercati che le attuali imprenditrici riescono a gestire con grande capacità: dallo storico mercato Albani di Bologna, a quello di Monselice, al mercato contadino di Piove di Sacco vicino a Padova, ed un auto negozio a Badia Polesine. Per scelta di principio preferiscono la commercializzazione più sana ed etica: quella dal produttore al consumatore, anche se la grande distribuzione richiederebbe i loro prodotti ormai diventati di fama mondiale grazie ai riconoscimenti internazionali.
Per Angela, Chiara ed Elena Morandi, dette anche “ cheese sisters”, nel 2021 in Spagna un grande successo, ottenuto dopo tanto impegno: su un record di oltre 4000 formaggi, hanno vinto la medaglia d’oro al World Cheese Awards, il più grande concorso riservato ai formaggi al mondo, per il caprino e quella d’argento per il pecorino a latte crudo. Oltre alla loro maestria, capacità commerciale e organizzativa è stata premiata soprattutto la qualità della materia prima fatta di una filiera cortissima e meticolosamente curata, proprio una vera e propria arte … che Angela sta già trasmettendo alle due promettenti bambine!
La poesia e la raffinatezza con cui raccontano la loro storia colpisce qualsiasi acquirente, anche il più distratto, le loro etichette rigorosamente in carta sono dei bellissimi acquerelli, lo yogurt, solo in vasi di vetro, e qualsiasi incarto privo di plastica le rende impareggiabili anche nell’attenzione all’ambiente con la cura e l’affezione al loro territorio, dove sono impegnate con progetti ambientali, didattici e sociali. Un mondo a parte quello dei produttori agricoli speciali e orgogliosi come i Morandi di cui l’Italia avrebbe uno smisurato bisogno soprattutto per il nostro futuro!
Note
Nella prima metà del Cinquecento il nobile veneziano Alvise Cornaro scrisse un piccolo “Trattato su la vita sobria”. Il suo intendimento era di raccontare una propria esperienza e di descrivere un modo per invecchiare bene. Il desiderio di vivere a lungo esisteva anche allora e per Cornaro, che morì a 98 anni, questa meta era raggiungibile con un corretto stile di vita e soprattutto con una dieta alimentare attenta. Vivere a lungo e bene. Dalla vita sobria di Alvise Cornaro ai giorni nostri,Centro Studi Alvise Cornaro (a cura di) Renzo Scortegagna, Marsilio, Venezia 2014.
Caseificio Morandi, merita la lettura del grazioso e delicato racconto illustrato da Marina Girardi che trovate qui e pubblicato in forma cartacea nel 2017 per i clienti.