Pensare di applicare l’antico detto “parla come mangi”, ovvero la possibilità di capire un parlar semplice ed essenziale, al mondo dei “quanti” sarebbe uno sforzo senza risultato. Più ci si avvicina a questa particolare branca della fisica postatomica e più sembra allontanarsi la comprensione dell’oggetto. Oggetto sfuggente sia nelle definizioni che nelle spiegazioni, o meglio nei tentativi di spiegazione. Roba da menti raffinate, da scienziati e non certo per l’uomo comune? Al di là della ovvia considerazione che un sapere di qualcuno o a qualcuno riservato contraddice il diritto allo studio e alla comprensione della nostra realtà come strumenti di crescita sia personale che di comunità, resta tuttavia la elevata complessità sia nelle fasi di partenza che nelle evoluzioni che sono molte e di grande rilievo nell’avanzata della conoscenza! Proviamo a fare una sorta di viaggio semi serio da neofiti.
Appare evidente che la gran massa di noi, di fronte a questi temi provi un misto di insofferenza e di non adeguatezza, anche se rimaniamo affascinati da descrizioni e spesso tentativi di immagine di questa realtà. Per tutto basti l’incipit di ogni ragionamento in materia e di indicazioni “concrete” per capire di cosa si parli. Infatti invece di trovare con semplicità la definizione di “quanto”, ci imbattiamo alla prima ricerca su una “teoria dei quanti”, ovvero la denominazione generica – come ci indica il dizionario - “delle teorie sulla struttura dell'atomo e sulla natura della radiazione, caratterizzate dal fatto che una qualche grandezza fisica (energia, azione, momento di quantità di moto, e così via) può assumere soltanto certi valori definiti discreti, cioè non costituenti un insieme continuo”.
Con questa prima approssimazione abbiamo già complicato il nostro tentativo di capire. Ma non ci facciamo intimidire. E sempre nel dizionario leggiamo che “la necessità d'introdurre nella meccanica degli atomi un elemento di discontinuità che non appare nelle leggi che governano i corpi di dimensioni ordinarie fu riconosciuta per la prima volta nel 1900 dal fisico tedesco Max Planck, il quale perciò si deve considerare come il fondatore della teoria medesima. L'indirizzo da lui inaugurato ha avuto poi sviluppo grandissimo ed ha permesso di giungere ad una conoscenza assai vasta e profonda delle leggi che governano il microcosmo, fondata su solide basi sperimentali”.
La esistenza di solide basi sperimentali allevia in parte la nostra angoscia conoscitiva (qualcuno potrebbe pleonasticamente ed in modo elementare dire, ma chi ve lo fa fare). Se questo è il punto di arrivo all’origine “queste leggi furono però scoperte dapprima frammentariamente e in forma imperfetta, e solo gradualmente si sono coordinate e precisate, così che col nome di "teoria dei quanti" si sono designate successivamente diverse teorie applicabili ciascuna a un campo limitato di fenomeni, e non sempre sistematiche e coerenti”. Riassumendo, non appena ci siamo imbattuti in uno schema di riferimento sprofondiamo di nuovo nell’incertezza.
Comunque apprendiamo che “nel 1925-1926 si è riusciti a inquadrarle in una teoria generale e sistematica, che costituisce la forma attuale della teoria dei quanti e si chiama più propriamente meccanica quantistica. Un sospiro di sollievo di coglie ma è solo un attimo. Andiamo avanti e apprfondiamo che in fisica si chiama "nero" un corpo che “assorba completamente qualsiasi radiazione riceva: questa proprietà è posseduta in grado approssimativo dai corpi che comunemente chiamiamo neri (soprattutto dal nerofumo); ma il modo migliore per realizzare un corpo quasi perfettamente nero consiste nel praticare un piccolo foro in una scatola a pareti interne possibilmente scure (teoricamente basta che tali pareti abbiano coefficiente di assorbimento diverso da zero per qualunque frequenza): la superficie del foro, vista dall'esterno, si comporta allora come la superficie d'un corpo quasi perfettamente nero”.
A questo punto le residue certezze già devono misurarsi con grandezze (anche microscopiche), di non facile comprensione. Se poi aggiungiamo che “ha grande importanza in fisica lo studio della radiazione che emette un corpo nero riscaldato, perché si dimostra termodinamicamente (e l'esperienza lo conferma) che l'intensità e la composizione spettrale di questa radiazione sono indipendenti dalla natura del corpo (nel caso della scatola, indipendenti dalla natura delle sue pareti) e dipendono solo dalla sua temperatura e si parla perciò della radiazione del corpo nero” le nostre facoltà mentali vacillano.
L'emissione di radiazione, secondo le teorie classiche, è dovuta al movimento degli elettroni contenuti entro gli atomi dei corpi (si ricava infatti dalle equazioni di Maxwell che una carica elettrica in moto deve irradiare energia proporzionalmente al quadrato della sua accelerazione): “ma i calcoli fatti su queste basi conducono, per il corpo nero, a uno spettro del tutto diverso da quello osservato, e ciò indipendentemente da ogni particolare ipotesi sulla struttura del corpo”. È evidente che a questo punto possiamo dichiararci persi in un vuoto cosmico da profani.
A soccorrerci apprendiamo che fu Planck il primo che, modificando i fondamenti del ragionamento precedente, riuscì nel 1900 a ottenere una formula in perfetto accordo con le curve sperimentali. “Anziché calcolare l'assorbimento e l'emissione di radiazione da parte di un oscillatore mediante le leggi dell'elettromagnetismo, il Planck - qui subiamo un momento di rincuoramento - tentò di rinunciare a interpretare il meccanismo di questo fenomeno, ammettendo solo che l'oscillatore potesse assorbire o emettere di tanto in tanto una piccola quantità ε di energia raggiante, che egli chiamò "quantum" (parola latina usata in tedesco nel senso sostantivale di "quantità", "dose") e che si proponeva poi di far tendere a zero per giungere all'assorbimento o all'emissione continui”.
Seguendo con qualche apprensione il cammino evolutivo della teoria scopriamo che “l'ipotesi di Planck fu spesso interpretata nel senso che all'energia si dovesse attribuire una struttura granulare come all'elettricità e alla materia, ma essa non implicava necessariamente questo, poiché si riferiva solo al modo come avvengono gli scambî di energia tra campo elettromagnetico e materia, e non alla natura dell'energia. Anzi lo stesso Planck, in seguito, mostrò che bastava riferire la discontinuità alla sola emissione, e cioè ammettere che ogni oscillazione assorbisse l'energia gradualmente e la emettesse invece per quanti”.
Ma, naturalmente a rendere tutto più complesso “tale ipotesi era però sempre in contrasto con le leggi dell'elettromagnetismo compendiate nelle equazioni di Maxwell (dette poi leggi classiche, in contrasto a quelle quantistiche) e il suo successo, troppo completo per essere casuale, dimostrava che quelle leggi non sono applicabili a sistemi di dimensioni atomiche. E invero, l'ammettere che per sistemi di dimensioni atomiche valgano le stesse leggi fisiche che sono state ricavate dall'osservazione di corpi di dimensioni ordinarie (non atomiche) costituisce un'estrapolazione che è ragionevole tentare, e che molte volte ha dato buoni risultati, ma che non è necessariamente destinata al successo. La prima volta che questa ipotesi (generalmente ammessa da tutte le antiche teorie dell'atomo, senza nemmeno rilevarla) si è mostrata in difetto è stato appunto nella teoria del corpo nero: è per questo che la teoria di Planck segna l'inizio di un periodo nuovo nella storia della fisica atomica”.
Eccoci, dunque, almeno ad un punto fermo, l’inzio di una nuova era scientifica che ha segnato e sta segnando nel corso dei decenni l’evoluzione e lo sviluppo sia teorico che pratico di questa complessa ma avvincente branca della fisica e che ha più rilievo anche nella nostra quotidianità di quanto possiamo renderci conto soprattutto nei confronti dell’avanzamento delle nuove tecnologie, nello studio e nell’applicazione di nuovi materiali e sistemi. Tuttavia, la difficoltà di comprendere è ancora alta e richiederebbe non una sommaria analisi come quella condotta ma approfondimenti e riflessioni di livello sempre più alto e specialistico!
Ecco perché a questo punto ci limitiamo a descrivere un esperimento compiuto dagli scienziati e ricercatori italiani dell’Istituto nazionale di ottica del Cnr presso il Lens (Laboratorio Europeo di Spettroscopia Non-lineare) dell’Università di Firenze. Qui si è studiata la dinamica di vortici quantistici utilizzando un simulatore programmabile basato su atomi ultrafreddi di litio. Un lavoro pubblicato sulla prestigiosa rivista Nature, che si sottolinea in un comunicato “offre una nuova finestra sui meccanismi elementari alla base del rilassamento di stati quantistici vorticosi come la turbolenza, che rimane tuttora di difficile comprensione e modellizzazione”. Questo a conferma di quanto abbiamo già osservato, di una realtà che sfugge in parte alle regole di essa stessa realtà e che ci porta necessariamente in altri territori da esplorare.
Aiuta solo in parte sottolineare che lo studio si è concentrato sui cosiddetti vortici, ovvero il moto a spirale di un fluido attorno a un asse definito e che essi fanno parte della nostra vita quotidiana. Per capire meglio si sottolinea nello studio che “li osserviamo quando mescoliamo il caffè o quando nuotiamo, ed appaiono nell’atmosfera come cicloni. Nel nostro corpo, la dinamica dei vortici favorisce il trasferimento di ossigeno nei vasi sanguigni e gioca un ruolo cruciale nel tessuto cardiaco, in connessione con l’insorgere di patologie e malfunzionamenti.
Nei fluidi classici, il moto vorticoso tende a scomparire grazie alla diffusione dell’energia rotazionale del fluido causata dalle forze di attrito che gli conferiscono viscosità.
Nel mondo quantistico, invece e non ci dobbiamo stupire per questo, in cui le particelle si comportano come onde e le leggi della fisica sono dettate da passi discreti, cioè quantizzati, i vortici si comportano in maniera differente. “La velocità del loro moto rotatorio non può assumere qualsiasi valore, ma appunto solo valori “discreti”. Nei superfluidi e nei superconduttori, la dinamica dei vortici quantistici gioca un ruolo fondamentale nell’insorgere di processi dissipativi che ne limitano le proprietà di conduzione senza viscosità e resistenza.
La natura quantistica dei vortici, inoltre, influenza il modo in cui essi perdono energia interagendo tra di loro. In particolare, la dissipazione può avvenire trasformando l’energia rotazionale in onde sonore nel fluido quantistico, anch’esse quantizzate in “quasi-particelle” dette fononi. Lo studio del meccanismo di conversione tra energia vorticosa e onde sonore nei fluidi quantistici è oggetto di un’intensa attività di ricerca multidisciplinare, resa però difficile dalla complessità dei materiali ordinari in cui disomogeneità e imperfezioni impediscono l’osservazione diretta di tale meccanismo fondamentale”.
La particolarità della ricerca dell’Istituto Nazionale di Ottica del Consiglio Nazionale delle Ricerche (Cnr-Ino) presso il Lens, in collaborazione con il Campus BioMedico di Roma e con l’Università di Newcastle (UK), sta nel fatto che è stato osservato per la prima volta il decadimento di vortici quantistici in onde sonore, in campioni di atomi di Litio raffreddati a temperature prossime allo zero assoluto (-273 °C). “Abbiamo utilizzato delle tecniche ottiche innovative per realizzare un acceleratore di vortici quantistici, che vengono creati in numero controllato e fatti collidere con energia definita”, ha spiegato Woojin Kwon, ricercatore del Cnr-Ino presso il Lens. “Il nostro protocollo è l’analogo a livello atomico di un acceleratore di particelle: introducendo i vortici uno a uno nel superfluido atomico in maniera controllata, e osservandone l'evoluzione nel tempo, abbiamo potuto osservare la generazione di onde sonore a seguito del processo di mutua annichilazione tra vortici di circolazione opposta (vortice ed anti-vortice)”, aggiunge Francesco Scazza, ora professore all’Università di Trieste e associato a Cnr-Ino.
“Il nostro lavoro rappresenta una svolta per la comprensione dei meccanismi fondamentali della dinamica dei vortici quantistici collegandosi agli esperimenti effettuati sui campioni di elio liquido, ed offre nuovi scenari agli studi su stelle di neutroni e superconduttori ad alta temperatura” il commento di Giacomo Roati, dirigente di ricerca Cnr-Ino presso il Lens e responsabile del gruppo di ricerca. “Ancora una volta si dimostra come la simulazione quantistica con materia ultrafredda offra un grande potenziale per future indagini in diversi ambiti di ricerca interdisciplinare, dalla materia condensata fino a sistemi biologici, con una prospettiva completamente nuova ed estremamente efficace”, quello che ha sottolineato Massimo Inguscio, professore emerito presso il Campus Bio-Medico di Roma, past president Cnr e responsabile dell’Area di Ricerca di Quantum Science and Technology presso il Lens di Firenze.
Una notazione simpatica e conclusiva. Nel corso della sperimentazione per la prima volta si è potuto ascoltare e registrare quello che è stato definito il “sussurro” dei vortici quantistici, una sorta di impronta che essi hanno lasciato, come un linguaggio tra di essi! Un dato scientifico, certo, ma anche qualcosa di più affascinante!