Quando Adriano Piazza ha inaugurato Pronto Italian Deli, tutto immaginavo fuorché apprendere un nuovo lessico del cibo. Laureato all’Università di Scienze Gastronomiche di Pollenzo con una tesi sull’apertura di uno slow fast food italiano in USA, Adriano Piazza ha da poco aperto a San Clemente in California un locale che è una rivisitazione moderna del classico deli, un mix di rosticceria, tavola calda, ristorante, mercato di prodotti gastronomici e birra e vini italiani, un deli con la mentalità del ristorante, come ribadisce.
Lavorando al deli amiamo sederci con gli avventori nello stile delle vecchie osterie italiane, ricreando quell’atmosfera tipica del Bel Paese in cui l’oste è anche amico con cui chiacchierare della vita e dell’amore, tra un piatto di spaghetti e un bicchiere di Chianti. Ci sono moltissimi italoamericani e da quando abbiamo aperto stiamo apprendendo un lessico sconosciuto.
Il capocollo diventa gabagool, le zucchine sono le gagootz (ovvia discendenza dal siciliano cucuzza), il prosciutto è prujoot, prozhoot o brosciutt’ e la pasta e fagioli diventa pastafazool.
Non solo gli immigrati italiani negli USA hanno conservato delle parole dialettali ma ne hanno anche mantenuto l’accento originale: un giorno una signora dall’aspetto assolutamente americano mi ha chiesto se avessimo spoygadell’, davanti al mio sguardo perso ha cambiato termine e ha detto sfoojatell’, incredibile come nella pronuncia di quella parola mantenesse l’accento napoletano dal quale siamo risaliti alle sfogliatelle. Quando gliele ho mostrate, un sorriso le ha illuminato il volto e raggiante mi ha detto che le stava cercando da tanto tempo.
Se si ha familiarità col dialetto napoletano e siciliano è molto più facile capire i riferimenti. Per esempio, le melanzane sono moolinjohn (dal siciliano mulinciana), la mozzarella è mootzarell’ o mootsadell’ e banelli sono le panelle. I manicotti diventano manigawt e la soppressata soopersahd o supersod, mentre nel caffè si inzuppano i bisgott’.
Alcuni sostengono che il troncare le parole eliminando la vocale finale viene spiegato come un desiderio di creare un suono più inglese ma secondo me si tratta invece di un’americanizzazione dovuta all’ascoltare delle parole con forte inflessione dialettale meridionale. Infatti, nel dialetto napoletano l’ultima vocale è appena pronunciata e all’orecchio di chi non lo conosce è quasi inaudibile per cui ricotta diventa ricott’ e mozzarella diventa mozzarell’.
Un signore ha ordinato della salsa e alla domanda sulla quantità, ha risposto con accento siculo-americano “a guppin, capisch?” che per noi siciliani è immediamente riconosciuto come cuppino, cioè mestolo.
Quando gli è stata servita, “asodida”, ha detto ridendo, “you understand”. Devo dire che asodida è stato difficile ma, pensando in dialetto, si comprende che questo termine deriva dal napoletano a soreta.
Gli italoamericani usano un pidgin, linguaggio semplificato appreso nelle comunita di immigrati soprattutto meridionali del Nord-Est americano dove si è tramandato l’uso di parole che oggi sono spesso scomparse dal dialetto moderno. Come, per esempio, il siciliano buffetta, di chiara derivazione francese, per indicare la tavola da pranzo, ma anche ammuccaturi, anche questo siciliano dal francese mouchoir, per fazzoletto.
Fondamentale, nel rapportarsi con la clientela italoamericana, è la comprensione di questi termini, derivati dal dialetto e quasi sempre basati sulla trasposizione del suono in parola scritta secondo le regole dell’inglese (cioè la doppia “oo” che si legge “u”, etc). I cavatelli diventano gavadeel e la cipolla, dal siciliano cipudda, è gibude; schoolabast è scolapasta e quando un italoamericano mangia molto vuole sentirsi “panzajin”, cioe’ con la pancia piena, termine di certa derivazione siciliana che ha, per lo stesso significato, il modo di dire “panza china”, cioè pancia piena. Senza esagerare perché altrimenti si rischia di avere “agita”, cioè acidità.
Come aperitivo, vengono richieste le “broscette”, evitando di interpretare il termine e invece immaginando come deve essere scritto per essere pronunciato così, si capisce che si tratta di bruschette, mentre i cannoli di ricotta diventano rigawt o rigott’ ganol o cannelloni.
La parola di più difficile comprensione è ganocci, non strettamente italoamericana ma molto diffusa per indicare gli gnocchi. Esente da modifiche linguistiche è invece il tiramisù che perde l’accento ma, a differenza dalla preparazione tradizionale, vede aggiungersi una grande quantità di panna nella composizione.
D’altronde, fa spesso la stessa fine il cannolo di ricotta che viene farcito con una crema mista di ricotta e panna e, talvolta, ricotta e mascarpone, “marscapon”, come viene spesso pronunciato.
La cosa più divertente che è successa non è dovuta a un lessico italoamericano ma all’influenza di una grossa catena. Uno dei primi giorni due clienti hanno chiesto un “latte”, detto in italiano, e un “macchiato”, anche questo detto in italiano. Pensavamo fosse qualcuno che volesse usare una parola in italiano come tutti quelli che dicono grazi (con la “e” non pronunciata) invece di thank you. Così abbiamo versato del latte in un bicchiere e glielo abbiamo porto. Ha guardato stranizzata e ha detto: “That is not latte”, quello non è latte. “Oh yes it is”, le è stato risposto, certo che è latte. Nel frattempo, avevamo chiesto alla seconda cliente se volesse un macchiato caldo o freddo; caldo, ok, fatto. Le presentiamo il macchiato Italian style e guarda anche lei stranizzata. “That’s not macchiato”, non è macchiato. Certo che sì. Sarebbe durata all’infinito se non avessimo pensato che ormai, dopo i menu di Starbucks, il latte è il nostro caffelatte, e il macchiato di Starbucks è un beverone di almeno 150 ml, entrambi spesso modificati con l’aggiunta di sciroppi.
Molti sono gli stravolgimenti delle parole legate al cibo non di origine italoamericana come, per esempio, panini, al plurale anche per indicarne solo uno, che non significa sandwich ma panino sottoposto alla tostatura nella pressa, il che lo differenzia dal primo creando le due categorie.
Ma queste sono differenze che nulla hanno a che vedere con la terminologia che si è venuta a formare nelle enclave italoamericane dell’Est degli Stati Uniti e che ancora oggi è diffusa soprattutto nel New Jersey.
Un contributo decisivo alla diffusione di questi termini è stato dato dalla serie televisiva The Sopranos, in onda dal 1999 al 2007, in cui il comfort food del protagonista, Tony Soprano, è il capocollo, il gabagool.
In un procedimento inverso, la diffusione mediatica dei termini ha contribuito a creare la curiosità per i prodotti nell’ambiente esterno a quello esclusivamente italoamericano. Una curiosità per prodotti, come la rigott’, la mootzarell’ e il gabagool, che sono autentici della gastronomia italiana e che contribuiscono a mantenere in vita la tradizione più antica.