Nel Paese è calato il buio, l’ombra diabolica del potere giunge come una mannaia nei luoghi di cultura, affligge i professori, gli studenti, la scuola, l’università, con il pretesto di un’emergenza sanitaria infinita. Ha serrato la mente dei cittadini alitando loro addosso la paura di morire: un virus invisibile gironzola minaccioso tra le strade, forse potrebbe precipitare dall’alto o addirittura annidarsi nelle acque del mare. Ci vuole sorveglianza e distanziamento, la gente si aggira mascherata per il terrore di infettarsi e l’unica salvezza possibile sembra essere un siero magico che scende dal cielo, una manna che anche il sommo sacerdote del tempio è disposto a divinizzare nel nome dell’amore.
Eppure, le persone sembrano aver smarrito l’amore per se stessi, cominciano a dividersi e a litigare. Qualcuno non crede che l’antidoto al virus sia il sacro siero, glielo suggerisce quella sapienza antica profondamente radicata nell’uomo. Ma quelli che sono stati già divinizzati gli si scagliano contro, sono convinti che il virus si annidi proprio dentro di lui, maledetto untore. Lo additano da lontano come fosse un lebbroso, un Essere immondo che diffonde la peste e prova piacere a contagiare gli altri. Chi invece non vuole essere contaminato da questo siero, lo considera un veleno, un intruglio usato dalla casta dominante per controllare i suoi sudditi. E tra i due litiganti il potere si muove agevolmente decidendo quello che più gli aggrada.
Le masse di persone che si sentono oppresse scendono nelle piazze, sono i lavoratori affamati, che non riescono più a mantenere le famiglie e sono una miriade di cittadini spaventati per le misure sempre più stringenti di cui sono vittime. E mentre quelli che sono stati battezzati con il siero benedetto, acclamano il successo della vaccinazione di massa, i giovani sembrano essere totalmente assenti da questa contestazione, sono stati per anni programmati con strumenti che li hanno tenuti attaccati ad uno schermo piatto con cui riescono a fare qualunque cosa. La loro socializzazione è irreale, trasfigurata da un apparecchio che connette da lontano, ma fa perdere il contatto umano più intimo.
Eppure improvvisamente accade un vero miracolo, alcuni di questi giovani pian piano si risvegliano, uno, due, tre, dieci, cento, mille, diecimila… Si confrontano e riflettono, ragionano e argomentano, poi con una piuma magica arrotano le lettere del loro alfabeto e compongono un messaggio, lo mettono in una bottiglia e lo affidano al mare, o all’aria, o forse a un Gesù Cristo digitale che lo moltiplica espandendolo nel Belpaese.
Eccoli, è nato il movimento degli studenti che prolifera nel Paese spontaneamente, gruppi di giovani che s’ergono dalle varie Università, una quarantina su tutto il territorio.
Intervistiamo gli studenti dell’Università di Bergamo, che hanno vergato una lettera per i docenti, il Rettore e tutti gli organi di stampa, una missiva articolata e piena di domande e dubbi:
Quando avete deciso di scrivere questa lettera, quale è stata cioè l’azione che vi ha spinto a farlo?
Abbiamo deciso di scrivere questa lettera verso la metà di agosto, subito dopo i nostri primi incontri. Non c’è stata un’azione particolare che ci ha spinto a scriverla, bensì una nostra presa di consapevolezza collettiva riguardo quello che stava accadendo. Prima che venisse introdotto l’obbligo del lasciapassare verde (come preferiamo chiamarlo), non si erano create le condizioni per una forte cooperazione nell’ambiente universitario.
Quanti studenti hanno redatto materialmente la lettera in rappresentanza di tutti gli altri?
La lettera è stata redatta da un gruppo di lavoro ristretto ma eterogeneo, e ciò per motivi eminentemente pratici. Un gruppo di lavoro di una decina di persone può essere sufficientemente affiatato e coordinato; oltre, la collaborazione proficua diventa progressivamente più complessa. Prima della redazione abbiamo raccolto le idee e le suggestioni di tutto il gruppo.
Siete connessi con le organizzazioni delle altre Università italiane?
Sì, c’è un coordinamento nazionale di cui fanno parte tutti i coordinatori locali.
Come hanno accolto i docenti questa vostra iniziativa?
L’accoglienza da parte dei docenti è stata, in generale, fredda. Alcuni hanno risposto con messaggi di condivisione e appoggio, pochi altri con note di disapprovazione per i contenuti espressi, mentre la quasi totalità non si è espressa.
E la gente che manifestava nelle piazze?
Le persone che in questi mesi hanno manifestato nelle piazze hanno apprezzato la nostra lettera e, soprattutto, la nostra movimentazione. Abbiamo ricevuto da loro messaggi di forte e stimolante incoraggiamento.
Quale considerazione hanno avuto i giornalisti per questa vostra missiva?
La reazione della stampa mainstream è stata, come immaginavamo, molto spesso di indifferenza e, come nel caso del Corriere della Sera‒Bergamo, di forte e quasi denigratoria critica. Gli autori sono stati definiti “anonimi studenti” ed è stata messa in dubbio la paternità della lettera, secondo molti redatta con uno stile e una capacità argomentativa che non avrebbero potuto essere frutto di un gruppo di studenti.
La vostra università conta 25.000 persone, con quali azioni pensate di coinvolgere gli altri colleghi?
Coinvolgere i colleghi, purtroppo, non è facile. Al momento stiamo tentando di raggiungere tutti coloro che condividono le nostre stesse opinioni, provando a conoscerci tutti di persona e iniziando a lavorare insieme.
La mobilitazione dei giovani inizia solo ora, quali fattori impedivano che vi accorgeste delle manipolazioni politiche che stavano minando il diritto allo studio?
Per quanto riguarda i più attivi tra noi, la consapevolezza della manipolazione mediatica e politica c’era da molto tempo. Purtroppo la didattica (o, meglio, paradidattica) a distanza non ha consentito agli studenti di conoscersi, confrontarsi, pensare e criticare insieme i fatti politici e sociali. La chiusura delle università per due anni, ovviamente, non è stata una scelta politica casuale: sono state impedite a lungo una presa di consapevolezza collettiva e la formazione stessa del dissenso.
Col senno di poi, credete che l’istruzione abbia subìto un processo di trasformazione e non sia più orientata allo sviluppo dello spirito critico?
L’istruzione è ormai diventata mera riproduzione meccanica del sapere. La valutazione è diventata fine, e non mero mezzo, riducendo l’università ad un esamificio.
Quanto è vivo il senso di appartenenza, la tensione verso la collaborazione e la cooperazione tra voi studenti?
La cooperazione e il senso di collaborazione tra noi studenti si sta vieppiù risvegliando. La consapevolezza della necessarietà di una collaborazione continuativa e inclusiva sta crescendo progressivamente.
La creatività del genio italico è ancora il motore della classe studentesca?
La creatività del genio italico riveste sicuramente un ruolo predominante nelle forme di azione ed evoluzione del pensiero critico studentesco italiano. La fantasia e la creatività sono le migliori doti che vengono applicate a questo confronto politico.
Da cosa nasce il vostro pensiero rivoluzionario?
Ognuno ha un differente percorso di crescita, ha vissuto esperienze diverse e ha caratteri e predisposizione profondamente eterogenei. Il nostro gruppo è variegato tanto dal punto di vista politico, quanto da quello caratteriale. È sicuramente la nostra forza.
Quanto incide l’elemento femminile nel risveglio studentesco?
L’elemento femminile ha un ruolo importante. Purtroppo, le ragazze sono in minoranza rispetto ai ragazzi, forse per una minore predisposizione sociale all’attività politica latamente intesa. La componente presente, però, è particolarmente attiva e incisiva.
Riuscirete a risvegliare anche la classe docente addormentata o spaventata?
La classe docente, con il manifesto firmato ormai da oltre 500 docenti, ha già visto l’inizio del proprio “risveglio”. Ci preme sottolineare, tuttavia, che la classe docente subisce il ricatto dello stipendio e dello stigma sociale, tutte limitazioni de facto della libertà di espressione della categoria.
Quale speranza volete portare nel futuro di tutti noi?
Speriamo di portare, per quanto ci è possibile, un vento di cambiamento e nuova consapevolezza. Dobbiamo però, in primis, lavorare su noi stessi e sulla nostra comprensione del mondo e dei fatti sociali. Da un percorso di crescita ed evoluzione personale non possiamo permetterci di prescindere.
Sapete cosa mi colpisce di più di questi ragazzi? L’onestà intellettuale delle loro risposte, che dicono esattamente quello che è successo anche quando potrebbe non essere per loro conveniente. Gli studenti affermano di avere avuto larghi consensi nel movimento studentesco italiano, ma attacchi negativi dai giornalisti del mainstream, limitati appoggi dai docenti dell’ateneo, ecc.: non temono di esporre i fatti veri, anche del dissenso mediatico, oltre che del consenso. E se ascoltate l’intervista che hanno rilasciato a Byoblu, secondo Federico il ruolo degli studenti universitari deve essere quello culturale di una battaglia di civiltà, di “armare il pensiero” operando un cambiamento concreto all’interno della società, mentre secondo Andrea per vincere sulla discriminazione e far valere la libertà di istruzione bisogna farsi al modello caldeggiato dal Presidente della Repubblica Mattarella in occasione della Festa delle Liberazione del 25 aprile 2019:
La Storia insegna che quando i Popoli barattano la propria Libertà in cambio di promesse di ordine e di tutela, gli avvenimenti prendono sempre una piega tragica e distruttiva…
Chi può dar torto al nostro Presidente? Peccato che ultimamente si sia dimenticato delle sue stesse parole…